La guerra tra Ucraina e Russia e il ritorno della Leva

Rita Vittori

Da quando si è aperta la guerra tra Ucraina e Russia abbiamo assistito a una pericolosa campagna mediatica tesa a sostenere «la guerra come necessità ineluttabile» e non come la risposta più crudele e orribile che i governi possono mettere in atto di fronte anche a invasioni di nazioni confinanti.

Che fosse la soluzione già decisa a livello internazionale è stato chiaro fin dall’inizio. La distinzione netta tra aggressore e aggredito ha spinto l’opinione pubblica a immedesimarsi nella «vittima». Putin era l’aggressore l’Ucraina la vittima. Poi si è fatto un salto ulteriore: il regime di Putin è diventato di colpo «autoritario» mentre Zelensky il simbolo della democrazia occidentale. Di fatto le pagine dei giornali e le televisioni di Stato hanno impostato una comunicazione per rendere «mostro» un regime che mai aveva nascosto il suo volto, e difensore di valori «democratici» di fatto molto opachi Zelensky.

Quindi altro salto logico: L’Europa, come membro della NATO, deve difendere l’Ucraina in quanto l’avanzare della Russia di Putin avrebbe messo in pericolo il modello di democrazia occidentale. Due anni di minacce reciproche tra NATO e Russia, l’entrata della Finlandia nella stessa NATO, pericoli immaginati o fondati hanno continuato a far crescere la tensione intorno a questa guerra, come la minaccia dell’uso delle armi nucleari.

Ma, fin dall’inizio, non si è spesa nessuna energia per tentare negoziati. Molte parole si sono spese per affermare che la guerra finirà solo con la vittoria dell’Ucraina sulla Russia. Scenario veramente allucinante.

E mentre gli Stati Uniti cercano di allentare il proprio impegno nello scenario Ucraina-Russia, l’Europa (o meglio i Governi europei) è già pronta ad armarsi ancora di più per difendersi. La proposta di Macron di inviare addirittura truppe per rafforzare l’esercito ucraino è stato un fulmine a ciel sereno, ma probabilmente ha il fine di preparare l’opinione pubblica a questa futura scelta. Le reazioni degli altri Paesi sono state tiepide o comunque di rifiuto di questa idea, ma guarda caso ora sta tornando l’idea di una Leva obbligatoria.

La Leva in Europa

Ormai si sa, la guerra va preparata prima che diventi realtà effettiva nella mente dei cittadini. Da evento improponibile comincia a diventare pensabile perché responsabilità dell’Altro (definito prima «avversario» poi «nemico»); poco per volta si trasforma in unica possibilità perché l’interpretazione dei fatti porta a vedere tutto come provocazione. Questo sta succedendo all’Europa che, dopo l’invasione russa dell’Ucraina, si considera sempre più esplicitamente in una condizione «prebellica», reclamando in questo periodo una forza armata comune all’altezza delle più gravi minacce. Certo, nella maggior parte dell’Europa la Leva non è più obbligatoria. Ma in questo quadro si comincia a riconsiderare, oltre all’incremento della spesa militare, il ritorno alla leva obbligatoria in Paesi come la Germania, la Francia e l’Italia.

Se ne comincia a parlare seriamente: su vari quotidiani il dibattito ha avuto molto spazio, e il 27 marzo su «La Stampa» è comparsa un’intera pagina dove si illustra in modo chiaro la necessità di reintrodurre la Leva obbligatoria, come richiesta all’Europa da Estonia, Lettonia e Lituania, che non l’hanno mai abolita.

Così vediamo che la Danimarca, che ha il servizio obbligatorio per i giovani di 18 anni, ha annunciato che introdurrà il servizio militare obbligatorio anche per le donne dal 2026: «Non ci stiamo riarmando in Danimarca perché vogliamo la guerra. Ci stiamo riarmando proprio adesso per evitare la guerra e in un mondo in cui l’ordine internazionale è messo in discussione», ha detto da parte sua la premier Mette Frederiksen.

In Germania, di fronte al crollo dei reclutamenti, si valuta di reintrodurre la Leva semi-obbligatoria, ispirata al modello svedese, dove esiste una selezione dei giovani in base alla cultura, allo stato di salute e alla motivazione.

La Francia, che ha abolito il servizio di Leva obbligatorio nel 1997, ha istituito il «Servizio Nazionale» che è partito su base volontaria, ma diventerà presto obbligatorio: si rivolgerà agli adolescenti dai 15 ai 17 anni e contemplerà due fasi. La prima (obbligatoria) dove ci sarà una formazione sportiva e civica, la seconda (facoltativa) prevede una missione di «interesse generale» non ben specificato.

In Italia?

Il Ministro della Difesa Guido Crosetto è stato a Pristina per trascorrere il Venerdì Santo con i militari italiani (CC-BY-NC-SA 3.0 IT)

Fino ad oggi l’Italia, tramite il ministro Crosetto, rifiuta l’idea del ripristino della Leva obbligatoria che, ricordiamo, che la legge Martino, n° 226 del 23 agosto 2004, ha sospeso, anche se non soppressa. Infatti, il Codice dell’Ordinamento Militare all’articolo 1929 elenca i casi in cui può essere ripristinata:

Comma 2

Il servizio di leva è ripristinato con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, se il personale volontario in servizio è insufficiente e non è possibile colmare le vacanze di organico, in funzione delle predisposizioni di mobilitazione, mediante il richiamo in servizio di personale militare volontario cessato dal servizio da non più di cinque anni, nei seguenti casi:

a) se è deliberato lo stato di guerra ai sensi dell’articolo 78 della Costituzione;

b) se una grave crisi internazionale nella quale l’Italia è coinvolta direttamente o in ragione della sua appartenenza ad una organizzazione internazionale giustifica un aumento della consistenza numerica delle Forze armate.

Comma 3

Nei casi di cui al comma 2, al fine di colmare le vacanze di organico, non possono essere richiamati in servizio gli appartenenti alle Forze di polizia ad ordinamento civile ed al Corpo nazionale dei vigili del fuoco.

L’Italia per ora si sta orientando verso la creazione di una riserva militare da mobilitare rapidamente in caso di grave minaccia per la sicurezza del Paese o di stato di emergenza con il progetto di legge (Modifiche al codice dell’ordinamento militare, di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, in materia di istituzione di una riserva ausiliaria dello Stato) presentato alla Camera dal Presidente della Commissione Difesa, il leghista Antonino Minardo, e che prevede che i componenti della riserva militare siano scelti tra cittadini italiani che hanno già prestato servizio come volontari e attualmente in congedo.

L’articolo 1 di questa proposta assegna al governo la possibilità di mobilitare la riserva «in tempo di guerra e di grave crisi internazionale o in caso di situazioni di grave crisi suscettibili di ripercuotersi sulla sicurezza dello Stato», per la «difesa dei confini nazionali», ma anche per presidiare il territorio «in concorso con le Forze di polizia», in caso di dichiarazione dello stato di emergenza nazionale da parte del Consiglio dei ministri. Ma la decisione, si legge, «è comunicata tempestivamente alle Camere, che l’autorizzano o la respingono entro quarantotto ore dalla data della sua formalizzazione».

Il fatto che l’azione dei riservisti sia richiesta non solo in caso di guerra lascia lo spazio per domande che diventano perplessità, come nel caso di una tecnologia dual use:

  1. per quanto riguarda la difesa dei confini nazionali: difesa nei confronti di chi? In questi ultimi anni le persone che fuggono dai loro Paesi a causa di guerre, cambiamenti climatici, povertà si individuano come «invasori». Quindi i riservisti potrebbero essere impiegati anche contro di loro?
  2. per quanto riguarda «il presidio del territorio in concorso con le Forze di polizia in caso di dichiarazione di emergenza nazionale […]», se andiamo a leggere la definizione di emergenza nazionale disciplinata dal Codice della Protezione Civile leggiamo che le emergenze di rilievo nazionale sono quelle connesse con eventi calamitosi di origine naturale o derivanti dall’attività dell’uomo che in ragione della loro intensità debbono essere fronteggiati con poteri straordinari. Non dimentichiamo che nell’aprile 2023 il Consiglio dei ministri ha dichiarato uno stato di emergenza immigrazione per gestire gli arrivi via mare, criticato da molti giuristi perché ha peggiorato l’accoglienza e la gestione degli arrivi.

Allora sorge l’altra domanda… le manifestazioni di dissenso che si stanno moltiplicando – soprattutto riguardo alle scelte scellerate di continuare ad alimentare le guerre in varie forme – potranno essere considerate un’emergenza nazionale?


 

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