8 dicembre a Venaus: Immacolata Ribellione

redazione

Non c’erano ancora i social network nel 2005, e men che meno le chat. C’era internet, c’erano i messaggini… e c’era un movimento fortissimo, una galassia di movimenti che anche dopo la mattanza dei giorni di Genova non mostrava segni di debolezza. C’erano le condizioni che permisero di convocare in sole 48 ore da quella notte dei pestaggi del 6 dicembre, la più incredibile, corale, determinata, partecipata manifestazione in Val Susa, in risposta alla requisizione di quei terreni, lassù a Venaus, che il Movimento NoTav aveva occupato e cercato di difendere.

E così dopo il blocco di tutte le attività il giorno immediatamente successivo ai pestaggi, dopo le tante e immediate manifestazioni di solidarietà raccolte, tutta la valle e un’enorme quantità di simpatizzanti NoTav da Torino, Milano, Firenze, Roma, persino dal Sud d’Italia, si diede appuntamento quell’8 dicembre a Bussoleno, per mettersi di nuovo in marcia verso Venaus.

Da un articolo di Massimiliano Borgia per la testata valsusina Luna Nuova, raccolto poi in un bel libro intitolato L’Autunno Contro (Ed Luna Nuova, 2006), attingiamo qualche brano per il racconto di quella giornata letteralmente epica, che ben fotografa anche il disorientamento delle FFOO, di fronte alla forza d’urto di una popolazione così convintamente legata alla propria terra e determinata a difenderla.

“Il popolo NoTav si è ripreso i terreni di Venaus. Del cantiere della Cmc restano solo mezzi distrutti e attrezzature sfasciate. Per le forze di polizia è stata un’altra giornata da dimenticare (…)

A mezzogiorno, dal corteo sulla statale 25, in alto, iniziano a scendere a centinaia. Filtrano dai cordoni di polizia al bivio “Passeggeri”, ma soprattutto passano dai boschi, dai sentieri.

Calano dall’alto, dalle montagne, come i galli sui romani invasori. Nel giro di mezz’ora i terreni conquistati dalla polizia e cintati dalla Ltf e dalla Cmc con una lunga rete rossa da cantiere sono completamente circondati. Cinquantamila persone contro un centinaio di agenti, divisi in diversi plotoni da una ventina di uomini ciascuno, che da dentro capiscono che non potranno mai reggere l’urto. 

Questa volta la rabbia è forte, anche perché un’ora prima al bivio ‘Passeggeri’ la polizia ha manganellato e la folla non è indietreggiata (ed è stato in quel punto che una manganellata ha colpito in pieno viso Nicoletta Dosio, ndr). (…)

La gente preme, la rete viene giù. (…) Entrano tutti. I due plotoni indietreggiano, si riparano con gli scudi (…) Un plotone si salda con un altro dei carabinieri e si attesta al ponticello della bealera del Molino. Qui piovono sassi e petardi. Dai carabinieri partono due lacrimogeni che fanno subito il loro effetto, disperdono un po’ la folla ma complicano la situazione.

Intanto il cantiere Aem è ormai occupato, come i terreni (…) le forze dell’ordine sono circondate: dietro hanno gli anarchici, davanti i valsusini. (…) Si tratta di nuovo. E’ chiaro che questa volta Antonio Ferrentino (all’epoca Presidente della Comunità Montana “Bassa Valle di Susa e Val Cenischia, ndr) e Sandro Plano (all’epoca Sindaco di Susa, ndr) fanno una fatica enorme a fare accettare gli accordi con le forze dell’ordine. C’è il blitz di lunedì notte di mezzo e l’occasione per vendicarsi è ghiotta. (…)

Inizia la nuova trattativa che finisce con il compromesso. Via tutti, via i manifestanti, via la polizia, almeno dalle baracche rovinate del cantiere Aem. La giornata è finita mentre in cielo volteggiano due elicotteri: uno dei carabinieri e uno della polizia. Per loro, la rete rossa che delimita i terreni, quella che Cmc ha messo con le manganellate della polizia, è tutta stesa nel prato a formare una grande scritta: NoTav.”

 E insomma capiamo che La Val Susa è un fiume in piena, il governo annaspa. Si può vincere”, come titola il giorno dopo il quotidiano Liberazione con un lungo articolo a firma di Claudio Jampaglia.

La Val Susa si è ripresa Venaus come voleva, scendendo dai monti, resistendo a cariche e arginando anche tafferugli e scontri (minimi). Una vittoria totale che merita un racconto. La mattina è fredda, ma alle 10 la piazza di Susa ribolle di musica e camion, ad accogliere le migliaia della valle, i centri sociali romani, diversi lombardi, la Cub, i Cobas, Askatasuna. Davanti i sindaci, una trentina, con la deputata del Prc Marilde Provera, l’eurodeputato Vittorio Agnoletto, il senatore dei verdi Zancan, il segretario generale della Fiom Gianni Rinaldini (…). Davanti a loro e poco dietro una talpa-treno di cartapesta con scritto “la Tav-talpa mangia soldi e scava veleni” portato come un dragone cinese.

Si parte e si capisce subito che due chilometri avanti la polizia blocca l’accesso (…) Tre file di polizia e carabinieri pronti al peggio bloccano la discesa. Davanti si mettono i sindaci e comincia la trattativa, ma la gente preme e si posiziona tutt’intorno, scalando piccoli declivi, issandosi sui tetti. Urlano alle forze dell’ordine “buffoni, vergognatevi”… Non vogliono sentir ragioni: dopo aver visto picchiare donne e vecchi, dopo gli inganni e la militarizzazione (e nemmeno una scusa, una parola distensiva) vogliono riprendersi Venaus e i terreni del cantiere.

La polizia accetta che passi il camion con il container per ripristinare il presidio con qualche centinaio di persone, non di più. Ma dietro ce ne sono altre 49mila, come si fa? Gli animi si scaldano; quando i carabinieri richiudono il varco si trovano davanti la folla e reagiscono: manganellate sulle macchine dei fotografi e a chi capita a tiro. Sono cinque brutti minuti, ne fa le spese Nicoletta Dosio, segretaria del Prc di Bussoleno e una delle primissime NoTav: un manganello le rompe occhiali e naso.

Sanguina, ma questa signora di sessant’anni con le mani alzate, non molla e comincia a incamminarsi verso la statale come fanno tanti altri. Intanto nevica, è tornata la calma, ricomincia la trattativa, ma ormai il corteo comincia a salire per la statale del Moncenisio, fino a un sentiero da cui si vede tutta la Val Cenischia. Giù c’è Venaus, con i terreni recintati, i caschi blu, qualche centinaio di abitanti che protestano con le bandiere. In tantissimi, sui sentieri e per i boschi. La strada è libera, in dieci minuti eccoci a Venaus.

(…) Ci si ritrova davanti ai terreni abbandonati la notte delle botte. Abbassare le recinzioni è un attimo e dopo qualche esitazione di fronte alle tre squadre di celerini pronti a caricare a una trentina di metri, la gente comincia a invadere il terreno da ogni lato al grido di: “Sarà dura!” e via riprendersi la propria terra. La polizia arretra, la gente urla: “Siete venuti di notte, ve ne andrete di giorno”. (…) Una cinquantina di giovani mascherati attacca il cantiere da dietro. Le FFOO sparano una trentina di lacrimogeni. Nessuno arretra, loro non avanzano.

(…) Si organizza un microfono aperto in mezzo al terreno. Antonio Ferrentino, presidente della Comunità montana, parla alla gente: “Bisogna assolutamente evitare che ci siano scontri. L’aver ripreso il pieno possesso del territorio del Comune di Venaus dimostra che questo cantiere non si può aprire contro la volontà della comunità”. Applausi, sono tutti d’accordo, giovani e anziani, centri sociali e valligiani.

(…) Intervengono sindacati di base, comitati di Roma, Milano, gente qualunque. Arrivano altri carabinieri e polizia (oltre 800 uomini in tutto), cominciano a dare segni d’impazienza. Ci dicono che ci sono 12 feriti tra di loro, ma Agnoletto che va all’ospedale di Susa a sincerarsi delle condizioni non trova alcun ricoverato (nemmeno a Rivoli e Avigliana): “Hanno medicato solo contusioni per manifestanti e poliziotti. Non ci sono altri feriti e non ci sono facinorosi, qua c’è un solo movimento, unito, che evita la violenza”. Il container per il nuovo presidio viene piazzato e i manifestanti in assemblea decidono quello che nessuno si aspetta: un corteo di rientro. Quelli che Pisanu continua a demonizzare come infiltrati e pericolosi sovversivi decidono con i sindaci di liberare l’area. Sta scendendo la notte, nessuno vuole rischiare una carica di vendetta e comunque: hanno vinto…”

Stessa valutazione anche sulle colonne de Il Manifesto, 14 dicembre 2015, con una riflessione di Marco Revelli che senza mezzi termini scrive: La Val di Susa ha vinto. Ha vinto su tutta la linea,(…)

ha vinto innanzitutto sul piano culturale. Di quello che si chiama il “comune sentire”. In questo mese di passione ha ribaltato d’un colpo la percezione del problema. Ha conquistato un’opinione pubblica sonnolenta e pigra, richiamata da quei “montanari testardi” alla concretezza di ragioni e verità prima inascoltate. (…) Quando l’8 dicembre sono tornati in 50.000 a riprendersi i territori sottratti, la retorica dello sviluppismo senza argomenti (quella dell'”Europa lo vuole”, e del “progresso passa di qui, toglietevi di mezzo”) si era già sciolta come neve al sole. E alla favola bella della modernità osteggiata da pochi nostalgici villani egoisticamente aggrappati al loro giardino di casa credevano ormai in pochi (…). In tanti, ma davvero in tanti (si veda il sondaggio del “Corriere”), hanno incominciato a pensare che l’interesse generale, il “bene comune” non abitasse nei palazzi dei decisori pubblici, ma stesse lassù, in quelle strade e piazze e municipi di montagna. Non era scontato, che la gigantesca macchina della manipolazione venisse inceppata. E’ successo, ed è un punto fermo da cui partire.”

Sono passati 18 anni. Sono successe tante cose. Il cantiere ha poi trovato casa a Chiomonte ed è stato uno sfregio di inaudita violenza. Per incredibile che possa sembrare a chi questa assurda storia ha smesso di guardarla, in 18 anni la strombazzata Tav è ancora ferma al tunnel cosiddetto geognostico, con incertezze di ogni tipo circa il come proseguire… ma intanto l’intera valle è già un cantiere unico, con impatti insostenibili per l’ambiente, per la salute, per i più fondamentali diritti.

Come Marco Revelli aveva previsto nei paragrafi successivi del suo editoriale, il partito dei pro-Tav non si è fermato davanti alle ragioni: tenteranno di corrompere e di dividere. Hanno denaro e potere in abbondanza. Cercheranno, passata la festa, di gabbare lo santo, (…)  torneranno a risalire la valle con le ruspe. Manovreranno “tavoli” e “osservatori” (…) forti di complicità amplissime nel mondo dei media.” Ed è quel che è successo.

Revelli concludeva augurandosi “che la Val Susa sappia salvaguardare il bene più prezioso che ha accumulato nei mesi passati: la propria unità. Quell’intreccio tra sindaci, comitati, popolazione (compresi i ragazzi dei centri sociali) che ha permesso di vincere.” E anche questo è successo, nonostante la più incredibile durezza, repressione, irresponsabilità ambientale da parte di tutti i governi che si sono succeduti dal 2005 in poi.

Restano più che mai valide le parole che scorrono alla fine di un bel servizio che Candida TV realizzò, su quella memorabile giornata:

“ L’otto dicembre del 2005 Venaus viene riconquistata da un popolo
che ha reagito alle ingiustizie di un potere arrogante e lontano dai desideri dei cittadini.
Resta il ricordo di una giornata di ribellione indimenticabile.
Molto è accaduto prima e molto deve ancora accadere…”

 

(5 – continua)


 

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.