Chi o che cosa farà quel che va fatto?
In un precedente editoriale (What Must Be Done TMS 11.09.23), ho sostenuto che il discorso pubblico può non manifestare fatti oggettivi sottostanti che pure hanno un ruolo chiave nel causarlo. Per esempio, qualcosa che per me è oggettivo, cioè la necessità oggettiva di spendere denaro pubblico per compensare l’insufficienza cronica di domanda effettiva, può gonfiare le vele di un discorso bellicoso che svilisce una potenza straniera a nemico e chiede un costoso intervento militare.
Paradosso che appare in una luce differente se si considera che la logica del sistema ne implica il necessario aumento del debito pubblico in un modo o nell’altro. Finché ci sia un sistema diverso con una logica diversa, quello è il modo di salvare posti di lavoro e permetter che continui, altro che s’interrompa, la produzione allo scopo di vendere.
Randall Wray ha di recente dimostrato che, coerentemente con l’assunto teorico che ci sia una carenza cronica di domanda effettiva nel settore privato, in questo nel suo insieme può esserci un surplus quando ci sia un deficit nel settore pubblico. Insorgono allora opportunità di create impieghi nelle forze armate e nelle aziende private che fabbricano armi con argomentazioni politiche la cui attrattiva è rafforzata da quella sottaciuta al principio generale che si debba comunque spendere denaro pubblico per cercare di stabilizzare e far crescere un’economia intrinsecamente tendente a vacillare per carenza di domanda — a fermarsi quando bisogna che vada – per mantenere impieghi e profitti.
Gli stessi che lamentano il costo del welfare state, magari spingono per maggior spesa pubblica a finanziamento di uno stato militare. Alcune famiglie diventano magari aduse a vivere per generazioni sulla prodigalità della frazione militare del settore pubblico. Altre possono vedere una carriera militare come migliore opzione per giovani con opportunità ristrette nel settore privato. in ambo i casi può trovare motivi una postura aggressiva verso nemici reali o sospetti, rafforzata o addirittura talvolta indiscutibile a causa di sottaciuti e forse inconsci interessi personali.
Ne consegue che i pacificatori, pacifisti e non, non dovrebbero badare troppo ai tratti superficiali del discorso bellicista, pur essendo tentati dal rispondere quando i pacificatori sono attaccati come codardi o traditori o sbeffeggiati da idealisti ingenui. AI ragionare paziente dei pacificatori si può rispondere con argomentazioni assurde o di post-verità, come quella che l’intenzione segreta di Vladimir Putin sia invadere, dopo la conquista dell’Ucraina, Polonia e poi Finlandia. Argomentazioni magari facili da confutare – sempre che importi a qualcuno la verità ad uno stadio di polarizzazione politica avanzata – ma nascondono più di quanto rivelino le cause che spiegano perché vengono sostenute.
I pacificatori dovrebbero dedicare più attenzione a cause meno visibili ma più potenti della guerra e della retorica di guerra, come le carenze corniche di domanda effettiva, e quelle conseguenti di impieghi civili che permettano livelli di vita degni, e come la grave umiliazione di coloro respinti regolarmente dal mercato del lavoro o tenuti al guinzaglio corto con lavori part-time e/o come inquilini che stentano o proprio non riescono a pagare l’affitto. Mentre altri godono il privilegio instabile di cavarsela bene in un’economia di guerra, volendo credere di servire il proprio paese e difendere cause giuste per il mondo. E probabilmente arrabbiandosi quando sia minacciata la visione del mondo che ne sostiene il benessere e l’autostima.
D’altronde, fra i pacificatori ci sono ottimisti economici come Bob Reuschlein e Kenneth Boulding che credono che minor spesa pubblica, militare od altro, non rallenti affatto l’attività economica, bensì liberi semplicemente risorse adesso sprecate a fini inutili, e prontamente usate nel settore privato per creare nuovi posti di lavoro con prodotti utili.
Nella sua Storia dell’analisi economica classifica tali economisti “senza sbalzo [impulso accidentale /estraneo alla dinamica teorizzata – ndt]” rispetto a quelli “con sbalzo” che leggono la logica dei mercati come tale per cui le vendite tendono ad essere indietro rispetto al bisogno che esse generino posti di lavoro e profitti. Teoricamente, l’argomentare fra questi e quelli può proseguire per sempre, come avvenne infatti fra Friedrich von Hayek (senza) e John Maynard Keynes (con), terminata solo con la morte prematura di questi.
Io sostengo che abbiano ragione gli economisti con sbalzo, che la spesa miliare sia un modo importante ma di solito inconsapevole o dissimulato di usare i deficit pubblici per tentare di stabilizzare un sistema per sé instabile (e per sé ingiusto), e che i pacificatori non debbano farsi distrarre dal discorso pubblico odierno post-verità molto polarizzato, focalizzandosi invece di più more su – per dirne una– come pagare mezzi di sussistenza degna per tutti conformi ai diritti umani sociali.
Penso infatti che sia dovere etico di chi ha più di quanto ha bisogno condividere con chi ha meno – specificamente donando a enti non-profit, contribuendo così a creare posti di lavoro pagati più (se non del tutto) da donazioni e meno (se mai) da vendite; o fornendo sostegno in silenzio agli sforzi dei respinti dal mercato del lavoro per organizzarsi e risolvere da sé i propri problemi (come in Asset Based Community Development [Sviluppo comunitario su base patrimoniale], organizzazioni senza ‘confini’ e in innumerevoli altri modi).
Il pubblico impego (per il welfare non la guerra) sarà sempre fondamentale, ma mai abbastanza. Dato che fondi sufficienti a risolvere il problema dell’occupazione non possono provenire dalle vendite, né dal fisco, i fondi necessari devono provenire dal sovrappiù là dove lo si può trovare.
Un altro lato del mio argomentare è che serve a poco semplicemente insistere che la politica pubblica faccia più attenzione ai temi economici e non si faccia distrarre dalle guerre culturali. Perché no? Perché gli opinionisti mainstream, e anche le ben note scuole di pensiero dissenzienti, non sanno come costruire una società giusta ecologicamente sostenibile pur decidendo di fare della prosperità condivisa sostenibile il loro obiettivo. Nessuno, neppure gli economisti della crescita zero che peraltro fan notare validamente che una crescita continua indefinita non sarebbe possibile quandanche fosse desiderabile.
Se si concorda dunque che hanno ragione gli economisti dello sbalzo, e che la dignità per tutti non si può pagare col reddito generato dalla vendita dei prodotti; e se possiamo fornire esempi di altri modi di pagarsi dignità e sicurezza, resta però ancora la questione “chi o che cosa farà quel che va fatto?” Una delle grandi disillusioni del ventesimo secolo è stato imparare dall’esperienza delle socialdemocrazie che non si possa conseguire una prosperità condivisa né tassando né spendendo.
Ho sollevato inizialmente le questioni di chi farà quel che va fatto e di come lo si pagherà (nel mio editoriale del 11.09.23) in collegamento a quanto va fatto per invertire il riscaldamento globale. Che con l’umiliazione di milioni di persone nel mercato del lavoro sono solo due di numerose aree tematiche in cui l’umanità è ora chiamata a reinventarsi. Una delle maggiori sfide che non ho ancora citato: probabilmente che la Terra possa continuare a sostenere la vita umana indefinitamente solo se gli esseri umani sul pianeta saranno molto meno di adesso.
Non è probabile che qualcuno o qualche gruppo possa saltar fuori con soluzioni realizzabili alle sfide esistenziali dell’umanità – e ancor meno che si scopra un modo per risolverle tutte insieme lì per lì. Però a metà degli anni 1940 i filosofi Karl Popper e John Dewey promossero approcci più promettenti, leggibili come l’eventualità che società organizzate o nazioni maggiori, o l’umanità, si organizzino in modi da facilitare sistematicamente la soluzione di problemi collettivi.
In entrambi una filosofia della democrazia è integrate con una filosofia della scienza, e in Dewey con una filosofia dell’educazione. Popper ci aggiunge una filosofia dei nemici, al meglio da lasciar perdere. Nella società aperta di Popper le innovazioni sociali vengono collaudate in àmbiti pilota prima di andare a regime. la scienza guida la prassi come nel Progetto Drawdown. La libertà di parola protegge i giornalisti investigativi e l’autonomia delle università. Chi di noi non concorda con la versione di Popper del metodo scientifico è libero di partecipare a discussioni accademiche dedicate al miglioramento delle pratiche scientifiche migliorandone le teorie e i metodi. Per Dewey, ogni istituzione sociale è un esperimento, da giudicare secondo i suoi risultati, e da modificare quando si trovino modi per risultati migliori con istituzioni migliori.
Pressapoco nello stesso periodo altri chiedevano di riprendere attivamente lo studio dei grandi libri della tradizione occidentale, risalendo a Socrate e Platone. Per alcuni, studiare i classici antichi era considerate un pretesto per mantenere le istituzioni odierne come sono. Per altri, era una opportunità riprendere attivamente le Grandi Conversazioni ormai di oltre duemila anni, che secondo Paulo Freire, creano un tipo diverso di verità.
Lo spirito di dialogo – varato dall’ idea di Socrate che i partecipanti non dovessero essere difensori incondizionati del proprio punto di vista ma piuttosto cercatori obbedienti alla guida del logos ovunque la logica dell’argomentazione potesse condurre –finisce per creare più verità di quanta ne scopra; critica le norme esistenti alla luce della ragione e porta a comprensioni che facilitano la collaborazione per trasformare istituzioni oppressive e disfunzionali.
La ripresa attiva dell’idea di Grande Conversazione può essere estesa al rilanciare lo studio dei classici cinesi, dell’Ubuntu, del Dharma, del Buen Vivir, cosmologie affini, e così via; ed estese oltre, all’incoraggiare un nuovo pensare contemporaneo, come nei femminismi e negli ecologismi.
Una società come un insieme, deliberatamente organizzata come società in apprendimento che incoraggia sistematicamente l’autocritica per amore del miglioramento di sé, potrebbe sì essere il tipo di società che verosimilmente si adatti di più e sopravviva in armonia – non in conflitto—con madre natura.
EDITORIAL, 9 Oct 2023
#817 | Howard Richards – TRANSCEND Media Service
Traduzione di Miki Lanza per il Centro Studi Sereno Regis
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