Storia di una fabbrica di bombe in Sardegna

Enzo Ferrara

…e delle donne e gli uomini che la contestavano

La civiltà nuragica e Barumini, il parco naturale di Tepilora, il canto a tenore e le macchine dei santi presenti sul territorio della Sardegna sono considerate patrimonio dell’umanità dall’UNESCO, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura. La stessa UNESCO ribadisce nel preambolo alla propria Costituzione un obbligo morale e pratico universale per le donne e gli uomini del mondo: poiché le guerre cominciano nelle menti degli uomini – si afferma – è nelle menti degli uomini che si devono costruire le difese della Pace (1945).

Premessa

In seguito ai provvedimenti adottati a favore di RWM Italia Spa da Regione Sarda, Comune di Iglesias e Provincia del Sud Sardegna per l’espansione dello stabilimento di Domusnovas-Iglesias dedicato alla produzione di ordigni bellici, il 12 gennaio 2019 fu presentato da parte dell’Associazione Italia Nostra, dal Comitato riconversione RWM, dall’Unione Sindacale di Base per la Regione Sardegna, dall’ARCI Sardegna, dall’Associazione Assotziu  Consumadoris Sardigna, dall’Associazione Legambiente Sardegna e dell’Associazione Centro Sperimentazione Autosviluppo, ricorso al Tribunale Amministrativo della Sardegna per l’annullamento del Provvedimento.

I provvedimenti autorizzativi di cui è stato richiesto l’annullamento sono stati concessi, senza ulteriori istanze di documentazione sulla base dell’argomento sostenuto dall’azienda secondo cui: “RWM non può farsi rientrare tra le aziende dell’industria chimica che producono o fabbricano esplosivi”. Alle organizzazioni ricorrenti spettava dimostrare la non correttezza delle affermazioni in base alle quali l’azienda RWM Italia Spa non ospiterebbe impianti chimici per la fabbricazione di esplosivi, né la produzione rappresenterebbe rischi rilevanti per l’ambiente e per la salute della cittadinanza locale.

Riportiamo la relazione svolta in tale circostanza da Enzo Ferrara – chimico-ricercatore – in qualità di consulente tecnico di parte assieme a Massimo Coraddu e Giovanni Murgia, per attestare la produzione di esplosivi e la denotazione della fabbrica di Domusnovas/Iglesias come classificabile fra quelle in cui avvengono trasformazioni chimiche. La sentenza del TAR sardo rigettò le istanze dei comitati locali in modo sbrigativo, rinnegando il legittimo diritto di approfondimento e le preoccupazioni del Comitato di Riconversione della RWM in quanto è noto che l’industria bellica e militare produce i due terzi circa del gas CFC-113, depletore dell’ozono, assieme a enormi quantità di rifiuti pericolosi; il Pentagono negli USA produce sostanze inquinanti cinque volte più elevate delle cinque maggiori industrie chimiche assieme, e le forze armate USA sono la più rilevante singola fonte di emissione di inquinanti ambientali.

Tutte argomentazioni che non sono mai state esposte, né discusse stante la mancata convocazione del Comitato Conversione RWM nella conferenza del TAR e la modalità cosiddetta “asincrona” della stessa, che prevedeva il solo scambio di documentazioni per via informatica. Aggiungiamo un riferimento al precedente inquinamento grave riguardante la Valle del Sacco, ora Sito di Interesse Nazionale per la bonifica ambientale, dove nel corso di un secolo l’industrializzazione con una forte componente di industrie belliche ha compromesso l’integrità del territorio e la saluta della popolazione residente, e dove oggi prosegue la produzione a servizio della chimica di guerra, ma il segreto militare resta impenetrabile e ancora non consente di offrire le reali dimensioni del fenomeno.

Una particolare debolezza sostanziale e fattuale del progetto di ampliamento dell’impianto è legata all’assenza assoluta di protezioni dello stabilimento da possibili attacchi di tipo terroristico, in tempo di guerre di proiezione a cosiddetta bassa intensità, o di tipo militare in caso di conflitto con coinvolgimento del nostro paese. Né la Repubblica Italiana, né il Regno d’Italia nella sua esistenza dal 1861 al 1948, hanno mai ricevuto una dichiarazione di guerra; l’Italia nei conflitti bellici a cui ha partecipato è sempre stata un paese aggressore. L’ultima inutile e indecorosa dichiarazione di guerra italiana fu fatta il 14 luglio 1945, quando il governo guidato da Ferruccio Parri schierò (a parole) l’esercito contro i resti dell’Impero Giapponese solo per cercare di conquistare lo status di alleato. Meno di un mese dopo sarebbero state sganciate le bombe nucleari alleate, appunto, su Hiroshima (6 agosto 1945) e Nagasaki (9 agosto 1945).

All’inizio dello scorso secolo sostenevano l’impegno bellico numerose fabbriche che, secondo le esigenze del mercato, orientavano la produzione verso prodotti esplosivi, oppure verso sostanze chimiche più o meno tossiche, essendo i processi industriali e la materia prima facilmente convertibili per l’uno o l’altro impiego. Il 26 marzo 1882 il comune di Cengio autorizzò la costruzione di una fabbrica di dinamite, il dinamitificio Barberi, su un’ansa del fiume Bormida, a poche centinaia di metri dal confine con il comune di Saliceto, tra Piemonte e Liguria, dove la grande disponibilità d’acqua e di manodopera a basso costo, assieme al collegamento ferroviario con il vicino porto di Savona garantivano condizioni ideali per lo sviluppo industriale.

Nel 1890 gli operai erano già 700, quando Cengio contava circa 1300 abitanti. E nel 1906 il dinamitificio Barberi fu rilevato dalla Società Italiana Prodotti Esplodenti. Nel 1908 gli impianti industriali occupavano 50 ettari. Erano gli anni delle guerre coloniali in Libia, gli esplosivi venivano usati massicciamente nelle guerre per la creazione dell’Impero coloniale italiano. Venivano prodotti acido solforico, oleum e tritolo. La fabbrica raggiunse il massimo numero di occupati, circa 6000, nel 1918, in piena guerra mondiale. Nel 1925 l’Italgas rilevò l’impianto, per riconvertirlo alla produzione di coloranti. Nel 1929 viene costituita l’ACNA, acronimo di Aziende Chimiche Nazionali Associate. La produzione fu nuovamente convertita in esplosivi e gas tossici negli anni della guerra in Abissinia e in Eritrea (1935-1936). Non va trascurata nella analisi degli sviluppi storici dell’ACNA di Cengio anche la sua posizione geografica, difficile da attaccare via mare o via terra, e – ben diversamente dal territorio di Domusnovas e Iglesias – protetta anche da possibili attacchi aerei essendo incastonata in territorio montano.

Si pone pertanto un dilemma etico contraddittorio qualunque sia il punto di vista adottato: o la situazione geopolitica internazionale è davvero tale per cui la produzione bellica costituisce un “male minore” necessario alla salvezza della nazione italiana, e allora non si capisce perché il sito strategico RWM non sia protetto dal rischio di possibili attacchi militari (il cui pericolo esiste a prescindere); oppure questo rischio è relativamente basso, non vi è necessità di ulteriori garanzie di protezione da attacchi militari, e allora la produzione bellica è svolta per mero interesse di parte e nulla ha a che vedere con gli interessi di sicurezza della nazione.

Per tutte queste ragioni, lo scorso 25 febbraio 2021 lo studio legale degli avvocati Andrea e Paolo Pubusa ha impugnato, davanti al Consiglio di Stato, la sentenza n. 422/2020 del TAR Sardegna dello scorso luglio che ha rigettato le numerose ipotesi di illegittimità, sollevate dai ricorrenti, relative all’ampliamento dello stabilimento dell’azienda RWM Italia Spa, la fabbrica di esplosivi e ordigni per uso militare di Domusnovas-Iglesias. La presentazione del ricorso è stata possibile grazie al sostegno di numerosi cittadini, associazioni, comitati e gruppi che, nonostante le continue intimidazioni, si sono mobilitati e hanno partecipato attivamente alla “campagna Stop-RWM”, organizzando incontri e iniziative informative, nazionali e internazionali, finalizzate alla sensibilizzazione sull’argomento e alla raccolta dei fondi necessari per coprire le spese legali. 

Ieri, 10 novembre 2021 grazie alla sentenza del Consiglio di Stato sappiamo che quelli avanzati dalla RWM di Domusnovas/Iglesias e approvati da comune, provincia e regione senza proferire parola, non erano interventi separati e singoli, ma parti di un progetto generale. In realtà dietro le mura inaccessibili della fabbrica, c’è uno stabilimento nel quale avvengono trasformazioni chimiche e produzioni di esplosivi come bombe del peso di mezza tonnellata. Per questo il Consiglio di Stato ha annullato i provvedimenti di comune di Iglesias e Regione che avevano dato il via libera all’ampliamento della fabbrica delle bombe della Rwm, tra Domusnovas e Iglesias. 


Attività svolte da Rwm Italia Spa presso
lo stabilimento di Domusnovas/Iglesias

di Enzo Ferrara

Introduzione

Un materiale esplosivo è una sostanza – o una miscela, o un miscuglio di sostanze – a elevato livello di energia chimica, che per effetto di decomposizione – solitamente una reazione chimica di ossidazione – sviluppa energia termica (reazione esotermica) con estrema rapidità. Le esplosioni si distinguono dalle altre reazioni esotermiche proprio per l’estrema rapidità del loro svolgersi e i materiali esplosivi si distinguono dalle altre sostanze combustibili per la presenza di ossigeno legato all’interno delle proprie molecole. L’ossigeno nativo, infatti, quando si libera per decomposizione, reagisce legandosi con gli elementi circostanti a velocità elevatissime generando istantaneamente ingenti quantità di calore.

La decomposizione del materiale esplosivo in sostanze a livello energetico più basso, quando opportunamente innescata, si diffonde poi per auto-propagazione sviluppando, a partire da un solido di dimensioni limitate, grandi quantità di gas (o vapori) e di calore, generando così un’onda di pressione con effetto distruttivo nell’ambiente circostante. Un’esplosione, nell’ampio senso del termine, è dunque un processo chimico-fisico di rapida trasformazione di un sistema chimico con generazione di calore – e quindi repentino aumento di temperatura – e conseguente lavoro meccanico (l’onda d’urto).

Tecnicamente, l’efficienza di un sistema chimico esplosivo è determinata da tre fattori: 1) l’esotermicità del processo (ovvero l’evoluzione di calore durante la conversione), 2) l’alta velocità di propagazione e 3) la presenza di gas (vapori) nei prodotti di reazione. A seconda delle energie sviluppate e della velocità dell’onda d’urto, gli effetti distruttivi si distinguono in: deflagrazione, esplosione o detonazione.

Sulla fabbricazione di esplosivi presso la RWM di Domusnovas

Rilevato che nessuna delle amministrazioni coinvolte ha fornito elementi tali da confutare la tesi RWM della “semplice miscelazione” presso il proprio stabilimento in Sardegna di esplosivi acquistati da fornitori esterni, senza tuttavia fornire approfondimenti di terzi sulla natura e le modalità della produzione effettiva nella fabbrica, da quanto è stato possibile comprendere esaminando gli atti a disposizione dei ricorrenti, nei nuovi reparti R200 ed R210 autorizzati si svolgerebbero, fondamentalmente, “attività di miscelazione, caricamento e finitura di manufatti esplodenti, con particolare riferimento agli esplosivi di tipo PBX”, mentre nel Campo Prove 140 si eseguiranno “attività di detonazione di limitate quantità di esplosivi o manufatti esplodenti per ragioni di controllo qualità o attività di ricerca e sviluppo”.

Quanto sopra citato è riportato nella Relazione Tecnica RT4900297 “Nuovi Reparti R200 e R210 da adibirsi alla miscelazione, caricamento e finitura di manufatti esplodenti” presentata da RWM il 12 luglio 2018 al servizio di valutazione dell’impatto ambientale della Regione Sardegna. Nella suddetta Relazione, si legge che nei nuovi reparti R200 ed R210 si realizzerà un incremento di produttività della linea per esplosivi di tipo “Casted-Cured PBX” – ovvero esplosivi di tipo PBX ottenuti per percolazione (“casting”) e successiva reticolazione di indurimento (“curing”, processo definito anche “stagionatura”) grazie ai processi di polimerizzazione, direttamente utilizzati per il caricamento dei relativi ordigni. La società RWM Italia produce già tali tipi di esplosivi nel suo stabilimento di Domusnovas-Iglesias, classificandoli con denominazioni PBXN-7, PBXN-109, PBXN-110, PBXN-111.

Gli esplosivi PBX

L’attuale sfida della cosiddetta innovazione tecnologica per l’industria nel settore degli ordigni bellici è costituita dalla formulazione di miscele chimiche esplosive meno facilmente soggette a eventi di detonazione accidentale ma con caratteristiche esplosive analoghe o superiori rispetto alle formulazioni già esistenti basati sull’impiego di trinitrotoluene (TNT).

Gli esplosivi PBX (esplosivi a leganti polimerici o Polymer Bonded eXplosive), presentano rispetto agli esplosivi convenzionali – direttamente colabili negli involucri degli ordigni – il vantaggio tecnico di essere meno vulnerabili a inneschi involontari, possedendo una maggiore stabilità termica associata a una più elevata inerzia chimica e a una buona resistenza meccanica per il loro carattere polimerico, caratteristiche che si aggiungono a un effetto deflagrante analogo o superiore.

A fronte di questi vantaggi tecnici qualitativi, la preparazione degli esplosivi PBX presenta serie limitazioni nelle fasi di manifattura e riempimento degli ordigni, che richiedono stabilimenti specializzati e passaggi produttivi per stadi successivi (batch processes), più lunghi e costosi rispetto alla semplice preparazione tramite percolazione della sola carica esplosiva nell’involucro dell’ordigno, e anche maggiormente problematici per i processi di bonifica da effettuare al termine di scadenza (shelf life) e demilitarizzazione degli ordigni, proprio per la loro intrinseca omogeneità e stabilità fisica finché contenuti e protetti dall’involucro.

Composizione chimica degli esplosivi PBX

Le sostanze PBX (Polymer Bonded eXplosive) sono costituite da solidi cristallini esplosivi ricoperti e inglobati da una matrice polimerica. Oltre alle sostanze chimiche esplosive, nei PBX sono presenti altri ingredienti primari costituiti da: 1) sostanze chimiche plastificanti, p.es. DOA, liquido incolore; 2) sostanze carburanti, p.es. polvere di alluminio, per aumentare e omogeneizzare l’effetto di propagazione della reazione di decomposizione; 3) sostanze ossidanti, p.es. perclorato di ammonio, per aumentare l’effetto di innesco del processo esplosivo. Ingredienti minori sono costituiti da sostanze antiossidanti che proteggono il solido da processi di ossidazione involontaria, e da catalizzatori della reazione chimica di polimerizzazione.

Le reazioni di polimerizzazione

Con il termine polimerizzazione si intende la reazione chimica che porta alla formazione di una catena polimerica, ovvero di una molecola estesa (polimero) costituita da molte parti uguali che si ripetono in sequenza, a partire da molecole più semplici (monomeri). I precursori del processo di polimerizzazioni sono solitamente costituiti da molecole organiche monomeriche più o meno complesse con doppi o tripli legami (detti insaturi) tra atomi di carbonio adiacenti. Il processo è solitamente innescato dalla formazione di una specie chimica attiva, chiamata iniziatore, costituita da una molecola con atomi di carbonio terminali facilmente ionizzabili o riconducibili a radicali (p.es. ammine o poliammine).

L’iniziatore avvia il processo, rompendo nel monomero il doppio legame fra atomi di carbonio adiacenti. Dalla rottura di questo legame si genera una specie chimica instabile (detta radicale) a cui possono addizionarsi monomeri addizionali, allungando la catena del polimero. Il processo prosegue inglobando nel reticolo polimerico tutte le sostanze presenti nella mescola fino quasi all’esaurimento completo dei monomeri presenti.

Un noto esempio di reazione polimerica è quella applicata industrialmente per la produzione del polivinile di cloruro PVC (CH2=CHCl)n, a partire dal monomero cloruro di vinile MVC (CH2=CH–Cl). Il prodotto finale ha consistenza solida e rigidità variabile a seconda della mescola, della percentuale di reattivi polimerizzanti presenti e della loro natura chimica. I reagenti e i sottoprodotti delle reazioni di polimerizzazione possono essere tossici, si veda p.es. la vicenda del petrolchimico di Marghera (Ve).

Proprietà meccaniche

Per poter procedere all’inserimento come cariche esplosive negli ordigni bellici, i PBX devono possedere, in alternativa o assieme, le seguenti caratteristiche meccaniche:

1) Devono essere meccanicamente comprimibili entro l’involucro dell’ordigno in miscela con leganti adatti, p. es. Viton, un polimero fluorurato con eccezionali proprietà plastiche, ma che, in caso di combustione, produce di acido fluoridrico tossico e corrosivo.

2) Devono essere percolabili nell’involucro dell’ordigno per i processi produttivi in cui il polimero, ovvero la reazione di polimerizzazione, si forma “in-situ”, per esempio con leganti come HTPB / IPDI.

RWM trova sul mercato internazionale numerosi acquirenti per questi prodotti, non solo per le forniture di ordigni finiti e pronti all’impiego bellico, o per la componente esplosiva che l’azienda produce e commercializza anche singolarmente, ma per tutte le diverse parti componenti vendute assieme alle istruzioni necessarie per assemblarle in modo da ottenere ordigni funzionanti.

Tossicità delle sostanze esplosive e dei prodotti di trasformazione per esplosione

Fra le differenti sostanze esplosive, alcune delle più comuni come TNT, RDX e HMX sono classificate come altamente tossiche e le agenzie internazionali di controllo e protezione dell’ambiente (p.es. l’Environmental Protection Agency – EPA, negli USA) definiscono limiti di contaminazione per la loro presenza nell’ambiente[i]. La stessa RWM Italia Spa attesta la pericolosità delle sostanze esplosive utilizzate nello stabilimento di Domusnovas riportando come Allegato-C alla relazione tecnica RT 4900460 le schede di sicurezza dei materiali che intende far detonare nel Campo Prove 140, ricche di dettagli sui pericoli di esplosione e di tossicità in diverse forme (per inalazione, ingestione, contatto) e specificità (per diversi organi umani o per specie animali, acquatiche etc.). La stessa relazione RT 4900460 rende conto, inoltre, delle trasformazioni chimiche che si possono verificare in seguito a detonazione, aggiungendo nell’Allegato-B il calcolo stechiometrico effettuato mediante software della composizione chimica e delle quantità di massa ipoteticamente prevedibili, ma non certe, dei prodotti di trasformazione dei materiali esplodenti; questi ultimi sono elencati nell’Allegato-A.

Va osservato che le sostanze e le masse elencate nell’Allegato-B sono solo teoriche, il calcolo è infatti basato sul metodo della minimizzazione della energia libera nell’ipotesi che tutte le reazione chimiche ipotizzate raggiungano l’equilibrio, ma il punto di equilibrio chimico dipende dalle condizioni di pressione e temperatura che sono impossibili da definire a priori nella realtà che contempla esplosioni con variazioni continue delle condizioni ambientali. In ogni caso, fra le numerosissime sostanze indicate nell’Allegato-B come potenzialmente rilasciate nell’ambiente, assieme a gas tossici come CO e NH3 e a numerosi composti organici volatili anche a base azoto e fosforo, si notano ossidi, sali e acidi di cloro e fluoro, metalli pesanti (Al, Pb), oltre ad acido cianidrico HCN – composto molto reattivo e estremamente tossico, letale per inalazione e ingestione, con limiti di soglia di esposizione di poche ppm – e tetracloruro di carbonio CCl4 – anch’esso altamente tossico e noto come cancerogeno per gli animali e potenziale cancerogeno per l’uomo.

La gestione di tutte queste sostanze esplosive e/o tossiche è vincolata da linee guida internazionali che definiscono il livello di rischio associato anche al trattamento di munizioni inesplose. Le contaminazioni dell’atmosfera, delle acque, del suolo e del cibo sono indicate come rischi standard per la salute e l’ambiente dovuti alla semplice esposizione nei pressi di siti contenenti sostanze altamente esplosive e si prescrive l’identificazione delle tecnologie più adatte da un punto di vista economico, pratico e ambientale per la gestione di così ingenti quantità di materiali pericolosi[ii]. In un documento dell’EPA, si può leggere che “è necessario che chiunque lavori in un sito a rischio di contaminazione da residui di esplosivi – potenzialmente, quindi, anche l’area adiacente la fabbrica RWM – sia attentamente informato delle proprietà fisiche e tossiche delle sostanze eventualmente presenti a che adotti tutte le misure di prudenza o di obbligo per legge per la protezione della propria incolumità, dell’ambiente e dei beni circostanti”[iii].

Classificazione degli esplosivi solidi polimerici secondo le sigle “PBX L – nnn”

Secondo quanto è riportato nei rapporti tecnici RWM, la denominazione PBX è seguita da una lettera “L” che indica la tipologia produttiva secondo la seguente tabella:

            C         sperimentale, sviluppata nell’impianto di China Lake, USA California,

            W        sperimentale, sviluppata nell’impianto di White Oak, USA Maryland,

            IH        sperimentale, sviluppata nell’impianto di Indian Head, USA Maryland,

            N         tipologia qualificata per l’utilizzo negli specifici sistemi d’arma.

Nei prodotti d’arma commerciali (N), la denominazione PBXN è seguita da una numerazione che indica la modalità di preparazione dell’ordigno secondo la seguente tabella:

            0-99                 esplosivi preparati per pressatura meccanica (solido)

            101-199           esplosivi preparati per colatura (liquido)

            201-299           esplosivi preparati per estrusione (solido)

            301-399           esplosivi preparati per iniezione di materiale liquido

PBXN-7, è un esplosivo solido polimerico inerte prodotto per pressatura meccanica di TATB al 60 % RDX al 35 % e dal polimero Viton-A al 5%.

PBXN-109, è un esplosivo a frammentazione, solido polimerico inerte costituito da RDX al 64 %, Alluminio al 20%, Polibutadiene con radicali ossidrilici terminali (HTPB) al 7,5 %, Diottile adipato (DOA) al 7,5 %, Isoforone Diisocianato (IPDI) all’1%.

PBXN-110, è un esplosivo solido polimerico inerte costituito, prodotto per percolazione di HMX 87 % con legante al 13 %.

PBXN-111, è un esplosivo solido polimerico inerte costituito, prodotto per percolazione di RDX al 20 %, AP (Perclorato di Ammonio) al 43 %, alluminio (Al) al 25 % e polimero legante al 12 %.

Processo di lavorazione a stadi per la produzione di manufatti caricati con esplosivo PBX

Per analogia produttiva si richiama quanto indicato alla AIA predisposta dalla società SEI nel 2010, Determinazione n. 146 della Provincia di Carbonia e Iglesias, con riferimento alla sezione informativa, paragrafo C5 – descrizione dell’impianto e delle attività svolte, pag. 44-47.

Per la preparazione dell’esplosivo PBX viene indicato l’uso delle seguenti materie prime:

Esplosivi: CMX-7, HMX, RDX.

Leganti polimerici: Di (2-etilesil) adipate (DOA), Trifenilbismuto (TPB), Isophorone Diisocianato (IPDI), Polibutadiene (PoliBD), N,N,2-Idrossietil dimetilhidantoin (DHE), Alluminio, 2,2 – metilenebis (4-metil-6-tertariobutil Fenolo).

Additivo antiossidante: (AO 2246).

Additivo ossidante: Perclorato di ammonio.

I passaggi di lavorazione sono riassunti in sette fasi principali:

  1. preparazione delle materie prime non esplosive
  2. preparazione delle materie prime esplosive
  3. miscelazione
  4. caricamento
  5. curing
  6. controlli
  7. finitura ed imballaggio

Queste medesime fasi di produzione sono previste anche per i nuovi reparti R200 ed R210, destinati alla fabbricazione di esplosivo di tipo PBX e degli ordigni con esso caricati, come descritto in dettaglio nella già citata Relazione Tecnica RWM RT 4900297 “Nuovi reparti R200 e R210 da adibirsi alla miscelazione, caricamento e finitura di manufatti esplodenti” del 10.10.2017 (paragrafi 3 e 4).

Nella Fase 5 di lavorazione del manufatto, definita “curing”, tecnicamente traducibile correttamente con il termine “indurimento” – fa pensare il rimando al discutibile termine stagionatura proposto da RWM[iv] riferito ad assimilabili processi di rassodamento di prodotti alimentari o comunque naturali, che avvengono per trasformazione chimica (p.es. perdita di acqua di composizione) e biochimica (p. es. peptolisi e fermentazione da gliceridi ad acidi grassi) attivata da batteri o lieviti – i manufatti riempiti con le mescole di sostanze esplosive e agenti polimerizzanti, vengono definitivamente chiusi e trasferiti in apposite celle riscaldate a temperatura costante per circa 3/4 giorni.

È qui che all’interno del prodotto avviene un processo di polimerizzazione in cui il prepolimero HTPB e l’agente reticolante reagiscono tra loro. L’HTPB si trasforma in gomma poliuretanica. La reazione di polimerizzazione avviene autonomamente all’interno del manufatto, senza ulteriori interventi dei macchinari o dell’operatore. L’aumento di temperatura a circa 40 °C – 60 °C mantenuto per 3/4 giorni ha infatti come obiettivo la velocizzazione e il completamento ottimale del processo endotermico (ovvero, favorito dal calore) di polimerizzazione.

Conclusioni

Riassumendo, i passaggi cruciali e i componenti del ciclo di lavorazione su cui occorre soffermarsi per la definizione del processo produttivo sono:

1) La miscelazione dei reagenti esplosivi con agenti leganti chimici in presenza di opportuni polimerizzanti, che prefigura lo sviluppo di reazioni chimiche di polimerizzazione o plastificazione; operazione da svolgersi con personale a distanza e preferibilmente in condizioni di vuoto per il rischio di esplosioni (innesco di reazioni incontrollate);

2) La produzione di PBXN-109, PBXN-110, PBXN-111 per percolazione di una miscela fluida che indurisce non per processi fisici di trasformazione di fase da liquido a solido, ovvero per solidificazione esotermica che rilascia calore, ma per reticolazione del legante, ovvero per una trasformazione chimica endotermica che richiede calore, tanto che per il completamento del processo è previsto il riscaldamento della miscela e non il suo raffreddamento. Il risultato finale è la formazione di un polimero inizialmente assente nella miscela, prodotto per trasformazione chimica dei monomeri già presenti nella miscela come reagenti, che si aggregano in un’unica catena molecolare grazie alla formazione di legami chimici covalenti l’uno con l’altro, e conseguente produzione di sottoprodotti di scarto;

3) Il passaggio di “curing”, ovvero lo stoccaggio al termine del ciclo di lavorazioni meccaniche degli ordigni contenenti tonnellate di materiale esplosivo in forni in condizioni controllate di umidità e temperature (60 °C – 70 °C) per diversi giorni in condizioni utili per il completamento e la stabilizzazione delle reazioni di polimerizzazione o plastificazione.

4) La presenza, nelle miscele per la produzione di esplosivi PBX, di catalizzatori, ovvero di sostanze chimiche che pur non prendendo parte alla reazione chimica ne facilitano l’innesco e aumentano la resa (prodotti/reagenti), e come ampiamente dimostrato da un attestato di invenzione registrato dall’apposito ufficio USA, il 1 maggio 1990, reg. n. H778, intitolato “Microencapsulated Catalyst and Energetic Composition Containing SAME”, che parla esplicitamente di una o più reazioni chimiche che sovrintendono al processo di curing;

5) Il fatto che sono parte integrante del processo produttivo anche a) l’attività di test di detonazione di limitate quantità di esplosivi o manufatti esplodenti per ragioni di controllo qualità o attività di ricerca e sviluppo e b) la distruzione degli scarti, contaminati da esplosivo, come indicato nel ciclo produttivo della ex SEI. Se la lavorazione fosse di tipo solo meccanico e non si avesse produzione di esplosivi ex novo rispetto alle miscele iniziali i test di detonazione sarebbero inutili e inefficaci ai fini del lavoro di ricerca e sviluppo; egualmente, se gli scarti fossero prodotti solo dal processo di lavorazione meccanica, e non p.es. da errori nei dosaggi delle miscele che portano a formulazioni chimiche differenti da quelle originarie, questi potrebbero essere vantaggiosamente recuperati e reimpiegati negli stadi iniziali del processo produttivo, né vi sarebbe necessità della loro distruzione.

Difficile pertanto, sulla base delle documentazioni acquisite dai ricorrenti e da RWM, delle indicazioni riportate nel documento H778 (Allegato 1) e dei ragionamenti tecnico-scientifici sopra illustrati accettare il giudizio del TAR secondo cui “RWM Italia Spa nello stabilimento di Domusnovas, non fabbrica esplosivi”, “non ospita impianti chimici” e “Le attività di produzione e prova ivi svolte non comportano rischi di inquinamento ambientale e pericoli per la salute della cittadinanza rilevanti”.

È necessario aggiungere osservazioni sulla sistematica sottovalutazione dell’impatto ambientale delle industrie chimiche e/o di esplosivi sul territorio italiano e sull’evidenza dei fenomeni di degrado successivi al rilascio nell’ambiente delle sostanze costituenti gli esplosivi solidi polimerici di tipo PBX.

Sottovalutazione dell’impatto ambientale delle industrie chimiche e/o di esplosivi

Come dimostrano le numerose trasformazioni produttive di aziende italiane da industrie chimiche a industrie di esplosivi (p.es. dinamitifici), o viceversa secondo le esigenze del mercato bellico o civile – si vedano le storie dell’ACNA di Cengio in Val Bormida, e delle aziende belliche della Valle del Sacco, a Colleferro nel Lazio, – non solo la distinzione fra l’una e l’altra produzione, di reagenti chimici o di esplosivi, è sottile, ma la riconversione è facilmente effettuabile, mediante sostituzione dei prodotti reagenti, utilizzando gli stessi impianti e stabilimenti.

Oltretutto, la sistematica sottovalutazione dei problemi di inquinamento ambientale per le ingenti quantità di sostanze tossiche coinvolte nella fabbricazione e/o prodotte come rifiuto, considerati inoltre gli scarsi livelli di cautela e sicurezza che si accompagnavano a queste lavorazioni, assieme a pretese di segretezza dei procedimenti di lavorazione e a una gestione non trasparente dei rapporti tra interessi pubblici e privati, ha portato a situazione di inquinamento diffuso e pervasivo tanto che entrambi i territori – area di Cengio in Val Bormida e Valle del Sacco nel Lazio – sono oggi classificati come Siti di Interesse Nazionale – SIN per la bonifica ambientale.

Degrado ambientale degli esplosivi PBX

Dalla letteratura disponibile, si rileva che le sostanze esplosive PBX sono soggette a degrado per esposizione ad acqua (pioggia), ossigeno (aria), riscaldamento a temperature anche inferiori a 50 °C, radiazioni UV (luce solare). Soprattutto, le cariche inesplose (UXO) – che potrebbero giacere anche nelle aree del Campo prove R140 – costituiscono fonte di pericolo per:

1) Il percolamento atteso, dapprima del suolo e successivamente nella falda idrica, delle sostanze costituenti l’ordigno del tipo IM (insensitive munition – munizioni inerti).

2) L’ignoranza delle eventuali trasformazioni chimiche a cui sono sottoposti una volta liberati nell’ambiente gli esplosivi “tradizionali” basati su TNT.

3) Assenza di dati tossicologici sui diversi reagenti e sulle possibili sostanze sinergiche che potrebbero derivare dal loro mescolamento.

Pur escludendo eventi legati a precipitazioni di piogge acide o ad attività metaboliche dei batteri del suolo, si specifica che i fenomeni di degrado sono accelerati – maggiori quantità di RDX percolano nel suolo – in ambienti con temperature elevate ed elevata esposizione alla luce solare, come nel caso del territorio sardo.


Note

[i]   Si vedano i dati disponibili sul sito dell’EPA IRIS, Integrated Risk Information System, http://www.epa.gov/iris

[ii]  Jeffrey I. Daniels, John P. Knezovich, Human health risks from TNT, RDX, and HMX in environmental media and consideration of the U.S. regulatory environment, Proceedings Dentil ’94, Luxembourg, November 14-16, 1994.

[iii] EPA-505-S-11-001January 2012: EPA federal facilities forum issue paper: site characterization for munitions constituents, January 2012, p.4.

[iv] Memoria difensiva per RWM Italia S.p.A. avverso ricorso al TAR presentata al Tribunale Amministrativo Regionale della Sardegna il 15 febbraio 2019, pag. 7. 


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