Il male invisibile | Walter Falgio
A foras. Una prima indagine sull’antimilitarismo in Sardegna dagli anni sessanta all’attualità (seconda parte). Qui potete leggere la prima parte.
L’opposizione della regione
Negli anni ottanta si assistette a una più decisa opposizione alla presenza militare da parte dell’istituzione autonomista regionale soprattutto sotto i governi guidati dal leader sardista Mario Melis (1982, 1984-1989). La regione contrastò le richieste del governo in diverse forme e nei limiti concessi dalla legge 898 del 1976 che si proponeva di armonizzare paritariamente gli interessi della Difesa con quelli dello sviluppo del territorio riconoscendo il principio dell’indennizzo a fronte di un danno causato dai vincoli militari. Un ordine del giorno approvato dall’assemblea legislativa sarda datato 10 aprile 1981 impegnava la giunta a indire una conferenza regionale sul problema delle servitù e installazioni militari, coinvolgendo «primariamente le forze vive della società sarda» e i comuni. Melis, allora assessore dell’Ambiente, in apertura della conferenza che si tenne lo stesso anno, pretese dal governo una drastica riduzione della presenza militare che, per modalità, intensità e ampiezza del suo realizzarsi, aveva assunto caratteristiche «nettamente autoritarie e colonialiste», in una regione considerata come “area di servizio”. Melis fa riferimento alla pesante sproporzione di servitù e demanio della Difesa rispetto alle altre regioni italiane descrivendo le imposizioni militari come responsabili del freno allo sviluppo, del blocco dell’espansione turistica, dell’abbandono di terre fertili come la piana di Teulada o quella di Santadi. Mare e cieli inibiti portano limiti alla pesca e al traffico aereo con allungamenti di rotte e conseguenti aumenti delle tariffe. Il 5 e 6 maggio del 1981 seguì la conferenza nazionale sulle servitù militari per effetto della quale il ministro della Difesa Lelio Lagorio si impegnò a favorire una «riduzione quantitativa e qualitativa dei gravami connessi con le esercitazioni a fuoco delle unità terrestri e aeree della Sardegna». Impegno rimasto di fatto inattuato. Altri accordi si susseguirono come quello tra il presidente della giunta regionale Melis e il ministro della Difesa Giovanni Spadolini del marzo 1986 che portò all’insediamento di una commissione stato-regione dal luglio 1986 al gennaio 1987 e a una mappatura di tutti i beni militari considerati dismissibili con illustrazioni e cartografie.
La legge 104 del 2 maggio 1990, che tra l’altro riconosce diverse modifiche alla norma del 1976 e un contributo annuo in base alla percentuale dei gravami militari da destinare ai comuni interessati, si può considerare un effetto formale e parziale dell’annosa vertenza sarda con lo stato. Così come i numerosi protocolli d’intesa tra Roma e Cagliari: sulla regolamentazione e sui criteri degli indennizzi che includevano i pescatori (ottenuti dopo una protesta delle marinerie che comportò il blocco delle esercitazioni) del 1999 (governi D’Alema e Palomba) e del 2005 (governi Berlusconi e Soru). Gli accordi Parisi-Soru (2006) e l’intesa Pinotti-Pigliaru (2017). Questa mole di provvedimenti ha in parte consentito la dismissione di piccole porzioni di beni militari lasciando tuttavia irrisolto il nodo centrale sul riequilibrio reale del demanio asservito, delle esercitazioni e di altre attività operative tra l’isola e il resto d’Italia, considerazione emersa anche dall’indagine conoscitiva della Camera del 2014. Non bisogna poi dimenticare il ruolo assunto dagli amministratori locali che in certi casi hanno rappresentato un importante e unico punto di riferimento per la ricerca di informazioni e per la tutela della trasparenza. Beniamino Camba, sindaco di Teulada per svariate consiliature e memoria storica del Comitato misto paritetico per le servitù militari della regione, ha denunciato in più occasioni riserve di legittimità sulle modalità che hanno governato gli espropri per la costituzione del poligono nel sud ovest dell’isola descrivendo «l’abbandono forzato delle case da parte dei contadini di alcune frazioni» e ha richiesto la bonifica del vasto territorio e del mare inquinato da «discariche di vecchi ordigni» (Quaderni della Sardegna, 2000). Pasqualino Serra, primo cittadino de La Maddalena dal 1993 al 1997, commissionò nel 1999 uno studio su costi e benefici dovuti alla comunità dalla presenza americana riscontrando che si procurava una perdita netta di 928mila euro per il bilancio pubblico (Mostallino, 2012). Antonio Pili, ex sindaco di Villaputzu dal 1997 al 2002, medico oncologo, nel 2001 aveva rilevato l’alta e inspiegabile incidenza di tumori al sistema emolinfatico nel territorio comunale di Quirra, una frazione di 150 abitanti confinante con il poligono, avviando il lungo percorso di ricostruzione degli effetti del grave inquinamento ambientale causato dalla base militare. «C’è qualcosa laggiù che sta uccidendo uomini e donne», affermava Pili.
Gettiamo le basi
È sulla scorta di questo profondo vulnus ai danni della sovranità territoriale della Sardegna, mai superato in decenni di confronti istituzionali e dissenso, che nel 1997 si costituisce a Cagliari il comitato sardo Gettiamo le basi. L’iniziativa fece seguito all’omonimo convegno nazionale che si tenne a Pordenone dal 6 all’8 dicembre dello stesso anno. Forse il più fecondo e longevo gruppo antimilitarista indipendente di formazione regionale, ancora operativo dopo quasi 23 anni di attività ininterrotta. L’organizzazione fondata da Mariella Cao, insegnante e a lungo militante nell’associazionismo di base, ha concentrato subito gli sforzi su un approfondito lavoro di documentazione e di ricerca.
Un opuscolo autoprodotto di sedici pagine pubblicato nel 1998 ha rappresentato una fonte di informazione alternativa alle scarse notizie divulgate dalle fonti ufficiali e un testo aggiornato rispetto ai lavori degli anni settanta e ottanta. La presenza militare in Sardegna era il titolo e riportava al centro della copertina una cartina dell’isola costellata dalle numerose installazioni della Difesa sparse in tutto il territorio e segnata dalle sconfinate zone aree e marittime proibite durante le esercitazioni. Un’immagine che diverrà il logo del comitato. Dopo un elenco molto particolareggiato delle decine di strutture militari presenti nell’isola, l’opuscolo evidenziava i numeri dell’occupazione militare del territorio sardo: «Il demanio permanentemente impegnato consta di 24mila ettari, il 60 % del totale nazionale, a fronte dei 16mila di tutto il restante della penisola». A questa cifra vanno aggiunti i 12.000 ettari gravati dalle servitù. Mentre gli spazi aerei interdetti sono di fatto incommensurabili, quelli a mare, con 2.800.000 ettari, superano l’intera superficie dell’isola. Con numerose iniziative pubbliche e attraverso un costante rapporto con la stampa (tra le prime testate a raccogliere le denunce del comitato, si ricordano «L’Unione Sarda», «La Nuova Sardegna», «Liberazione», «il manifesto», «Metro», «Peacelink»), Gettiamo le basi ha indagato sull’impatto sanitario e ambientale delle basi e sull’incompatibilità tra lo sviluppo sostenibile e i vincoli militari.
Sono state di particolare rilievo le segnalazioni documentate, e sostenute dalle famiglie delle vittime, di soldati e civili colpiti da patologie tumorali a seguito dell’esposizione a contaminanti usati in zone di guerra e in aree addestrative. Anche per merito dell’attività del comitato, a partire dalla fine del 1999, iniziano a diffondersi nell’isola i primi dati sulle morti correlate all’attività bellica, come il caso del caporalmaggiore della brigata Sassari, Salvatore Vacca, originario di Nuxis (Sud Sardegna), mancato a 23 anni nel settembre 1999 a causa di una leucemia linfoblastica acuta di ritorno da una missione in Bosnia. Per questa vicenda il ministero della Difesa è stato condannato a maggio del 2016 dalla Corte d’appello di Roma a versare un risarcimento ai familiari di Vacca per condotta omissiva, ovvero per non aver protetto adeguatamente il commilitone dalle polveri nocive rilasciate dalla deflagrazione delle munizioni. Dopo i precedenti della Gulf war syndrome, le notizie sui casi di tumore riconducibili agli effetti tossici di armi contenenti metalli pesanti o alla dispersione di nanoparticelle nei teatri di guerra dei Balcani si susseguirono sino a far scoppiare un caso internazionale. Le prime segnalazioni partite dalla Sardegna, e si ricorda anche la vicenda di Valery Melis, innescarono un effetto a catena che all’inizio del 2000 coinvolse la stampa italiana ed europea. Il parlamento di Strasburgo votò una prima risoluzione per mettere al bando le armi all’uranio impoverito il 17 gennaio 2001. Gettiamo le basi concentrò immediatamente l’attenzione non solo sui militari colpiti di rientro dalle missioni internazionali ma anche sulle attività a rischio che si svolgono nei poligoni sardi raccogliendo una notevole quantità di informazioni e richiedendo la cessazione delle esercitazioni nel rispetto del principio di precauzione. Il 19 luglio 2003 il gruppo antimilitarista spediva una petizione con 1.500 firme al presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi denunciando gli effetti della “sindrome di Quirra”: «In base al buon senso e all’elementare principio di precauzione, fino a quando non sia stata trovata una ragionevole e convincente spiegazione alle troppe morti e malattie sospette, si chiede l’immediata sospensione delle attività del poligono interforze Salto di Quirra».
Nella lettera di accompagnamento indirizzata al capo dello Stato si ricordava che «un generale e cinque militari in servizio nel poligono interforze sono stati uccisi dalla leucemia, quattro sono in lotta contro il male. A Quirra, frazione di Villaputzu con 150 abitanti, 12 persone sono state divorate da tumori al sistema emolinfatico, 2 decedute. A Escalaplano, paese confinante con la base, 2.600 abitanti, 12 bambini sono affetti da gravi malformazioni genetiche, 14 persone colpite da tumore alla tiroide». Dal 2004 al 2018, dalla XIV alla XVII legislatura, le Camere istituirono delle commissioni parlamentari d’inchiesta. Nel 2006, sotto la presidenza di Lidia Menapace e del senatore eletto in Sardegna, Mauro Bulgarelli, i deputati iniziarono a indagare non solo sul personale militare ma anche sulle popolazioni civili «nei teatri di conflitto e nelle zone adiacenti le basi militari».
Confronto, indagini e media
Un aspetto caratterizzante della cifra comunicativa del comitato è da ricercarsi nel linguaggio diretto e nell’analisi essenziale delle problematiche che difficilmente cedeva al filtro ideologico. In una ricerca sociologica di Daniela Volpi (2019) incentrata sull’associazionismo in rapporto alle attività militari con elevato impatto ambientale, l’intervento di Gettiamo le basi è riconducibile a un contesto di self help:
«Il contesto in cui sorge questo associazionismo è molto complesso, caratterizzato da cadute, fratture e carenze tra le quali: la rottura di un patto di fiducia e di affidamento tra rappresentanti e rappresentati nel sistema politico; la crisi dello stato sociale; il rompersi di certezze ideologiche; la caduta di una partecipazione politica tradizionale ormai svuotata di senso. Ma questo stesso contesto è anche segnato da acquisizioni, dallo svilupparsi di una serie di “dotazioni” per l’azione sociale che permettono la moltiplicazione di risorse motivazionali, cognitive, pragmatiche per risolvere i problemi collettivi; il moltiplicarsi delle risorse disponibili; l’allargamento delle cittadinanze e l’evidenziarsi dei sistemi di autocorrezione della democrazia».
Iniziative come il convegno internazionale L’opposizione alle basi militari in Sardegna e nel mondo del luglio 2007, che a Cagliari metteva a confronto le esperienze di Vieques-Portorico, Filippine ed Ecuador, dimostra la significativa capacità di apertura al confronto che il gruppo era in grado di mettere in campo. Parteciparono tra gli altri le leader storiche del movimento antibasi portoricano, Nilda Medina e Wanda Colòn Cortes. Per rafforzare la propria attività, Gettiamo le basi è ricorso spesso al supporto dei gruppi di ricerca indipendente come Scienziate e scienziati contro la guerra. Al convegno Il male invisibile sempre più visibile. La presenza militare come tumore sociale che genera tumori reali che si svolse ad Asti il 4 febbraio del 2005, furono ospitati quattro interventi sulla Sardegna del comitato e di altri militanti e studiosi. I lavori della fisica e bioingegnere Antonietta Gatti sono stati determinanti per comprendere i meccanismi di trasmissione nell’uomo degli agenti inquinanti e nocivi causati durante le esercitazioni o in zone di conflitto attraverso le nanoparticelle. Nel gennaio 2011 il comitato sardo apprese i risultati di uno studio veterinario delle Asl di Cagliari e di Lanusei svolto nell’ambito del progetto di monitoraggio ambientale sul poligono di Quirra coordinato dalla Namsa, maintenance and supply agency della Nato, e bandito il 28 maggio 2008. L’indagine confermava le denunce del comitato antimilitarista.
«Un grave fenomeno sanitario», scrivevano gli estensori: «Il 65% del personale impegnato con la conduzione degli animali negli allevamenti ubicati entro il raggio di 2,7 chilometri dalla base militare di Capo San Lorenzo a Quirra, risulta colpito da gravi malattie tumorali. In sette aziende su dodici sono stati riscontrati casi di tumore. Dal 2000 al 2010 le persone che risultano colpite da neoplasie sono dieci su diciotto. E si evidenzia una tendenza all’incremento. Negli ultimi due anni sono quattro i nuovi casi di neoplasie che hanno colpito altrettanti allevatori della zona». Anche questo tassello ha probabilmente contributo all’apertura nello stesso mese di gennaio del 2011 di un’inchiesta da parte della procura di Lanusei allora coordinata da Domenico Fiordalisi. La pubblica accusa ipotizzò inizialmente i reati di omicidio plurimo, disastro ambientale, omissione d’atti d’ufficio in relazione agli effetti dell’inquinamento causato dalla base di Quirra. In seguito la richiesta di rinvio a giudizio si concretizzò per venti persone: ufficiali, amministratori locali, docenti, studiosi e medici, con i seguenti capi di imputazione: omissione aggravata di cautele contro infortuni e disastri; falso ideologico aggravato in atto pubblico e ostacolo aggravato alla difesa da un disastro; omissione di atti d’ufficio dovuti per ragioni di sanità e igiene; favoreggiamento aggravato. Dodici indagati furono prosciolti e il 29 ottobre 2014 si aprì il dibattimento che vide al banco degli imputati otto ex comandanti del poligono di Quirra dal 2004 al 2010: Fabio Molteni, Alessio Cecchetti, Roberto Quattrociocchi, Valter Mauloni, Carlo Landi e Paolo Ricci; e i comandanti del distaccamento dell’aeronautica di Capo San Lorenzo, Gianfranco Fois e Francesco Fulvio Ragazzon. Il 18 dicembre 2014 il processo appena avviato si interruppe per un rinvio alla Corte Costituzionale di un’eccezione (poi respinta) sull’ammissione di parte civile della Regione Sardegna per il risarcimento del danno ambientale. L’11 novembre 2016 si tornò in aula: davanti al giudice monocratico Nicole Serra i militari dovranno rispondere di omissione dolosa aggravata di cautele contro infortuni e disastri. Non avrebbero messo in atto tutte le procedure necessarie per evitare «Un persistente e grave disastro ambientale con enorme pericolo chimico e radioattivo per la salute» (Cristaldi, 2013).
Attraverso questo percorso di informazione, denuncia, opposizione e resistenza antimilitarista, le iniziative a tutti i livelli della società sarda, della politica e della magistratura, hanno guadagnato l’attenzione di media e documentaristi internazionali, del mondo dell’arte e della letteratura. Qui si ricordano solo alcuni titoli: Secret Sardinia, reportage di Emma Alberici per «Al Jazeera» del 2020; Italian military officials’ trial ignites suspicions of links between weapon testing and birth defects in Sardinia, inchiesta del servizio pubblico radiotelevisivo australiano, «Abc» del 2019; Balentes, documentario di Lisa Camillo del 2018; Uran und Thorium. Sardiniens tödliches Geheimnis, servizi messi in onda dalla tedesca «ZDF» nel 2012 in tre puntate; Poisons mortels: Quirra poubelle des armées, di Livio Capra e Francoise Begu trasmesso da «France Ô» nel 2014 dopo un lavoro di anni; il blogger giapponese Ryusaku Tanaki si è occupato di Quirra nel 2011; Oltre il giardino, film della tv svizzera «Rtfi» del 2007. Sardegna teatro ha portato in scena nel 2017, L’avvoltoio, testo e indagine di Anna Rita Signore, regia di Cesar Brie, Mauro Salis è l’autore dello spettacolo Quirra megastore. Storie di poligoni e servitù militari, Dr Drer e Crc Posse hanno composto Generale, Piero Marras è l’autore di Quirra. Lo scrittore Massimo Carlotto e Mama Sabot hanno dato alle stampe il noir Perdas de Fogu.
Dal 2011 e ogni quindici del mese Gettiamo le basi con i comitati Amparu, Su sentidu, “Famiglie militari uccisi da tumore”, convoca un sit-in nella piazza del Carmine di Cagliari, esattamente sotto le finestre della rappresentanza del Governo italiano. Si tratta di un appuntamento consolidato che si ispira alla celebre protesta delle Madri di plaza de Mayo e durante il quale si avanzano sempre le stesse richieste da anni: «sospensione immediata delle attività dei tre grandi poli militari della Sardegna dove si sono registrate le patologie di guerra: Quirra, Teulada, Capo Frasca – Decimonannu; evacuazione urgente dei militari in servizio nel Poligono Interforze Salto di Quirra; allontanamento dei militari esposti alla contaminazione dei poligoni di Capo Teulada, Decimomannu-Capo Frasca; ripristino ambientale e messa in sicurezza delle aree contaminate a terra e a mare; risarcimento del danno inferto al territorio e del danno – irrisarcibile! – della perdita della salute e della vita». Le prime lettere di ciascuna rivendicazione compongono il vocabolo in lingua sarda serrai. Che significa: chiudere.
«Nessuna regione come la Sardegna ha visto interdire praticamente da ogni attività? civile zone tanto vaste, ha visto sorgere così preoccupanti impianti di armamenti non convenzionali. Tale situazione pesa. ovviamente nella già precaria economia dell’isola, come pesa nello sviluppo delle condizioni civili delle popolazioni» (Ugo Dessy, 1972).
Si ringrazia Mariella Cao
Bibliografia
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Zucchetti, Massimo, (a cura di), Il male invisibile sempre più visibile, Odradek, Roma 2005.
Documenti
Relazione conoscitiva della Camera, 2014
Progetto di monitoraggio ambientale del PISQ. Relazione dei medici veterinari dr. Mellis Giorgio e dr Lorrai Sandro, 13 novembre 2010
Relazione conclusiva della Commissione Stato-Regione, 1987
Relazione di Mario Melis alla Conferenza regionale sulle servitù militari, 1981
Sito dell’assemblea A FORAS. Contra a s’ocupatzione militare de sa Sardigna
«Peacelink», rete telematica attiva dal 1991, conserva un ricco archivio di note stampa e articoli sull’antimilitarismo sardo
Comitato per la riconversione della RWM
Arkiviu bibrioteka Tamasu Serra
Gruppo Femministe antimilitariste
Portale di Ugo Dessy
Repertorio di Bruno Sini con stampa internazionale
Inchieste giornalistiche e documentari
- Veronica Tarozzi, intervista a Manlio Dinucci, Defender Europe 20”: l’alleanza USA-NATO ci difende o ci espone a dei rischi?, «Pressenza», 14 marzo 2020
- Massimo Coraddu, Massimo Zucchetti, Bagni, morte e manette al poligono sperimentale di Perdasdefogu-Quirra, «Contropiano», 8 giugno 2017
- Quirra, oltre l’aporia, regia di Cladinè Curreli (Sardegna, 2017)
- Marco Mostallino, Fisco, la truppa gode. Esenzioni dei militari Usa in Italia: un tesoretto da 500 mln, «Lettera 43», 25 gennaio 2012
- Paolo Carta, Quirra, un poligono con troppi misteri Il rapporto della Asl riaccende le polemiche, «L’Unione Sarda», 5 gennaio 2011
- Ercole Olmi, Quirra, quel poligono che uccide uomo e fauna, «Liberazione», 4 gennaio 2011
- Costantino Cossu, “Gettiamo le basi”. Dalla Sardegna un no alla guerra, «il manifesto» 8 luglio 2007
- Sa Lota. Pratobello 1969, di Francesca Ziccheddu e Maria Bassu, (Sardegna, 2005).
- Piccola pesca, regia di Enrico Pitzianti (Sardegna, 2004)
- Piero Mannironi, Alla Maddalena anomalia statistica: troppe malformazioni gravi nei feti, «La Nuova Sardegna» 13 febbraio 2004.
- Piero Mannironi, Quirra, escalation di linfomi e leucemie Tracce di Cesio 134 e 137 all’interno del poligono di Perdasdefogu?, «La Nuova Sardegna», 12 febbraio 2002
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