Gilets Jaunes: dall’effetto dimostrazione alla rivoluzione? | Claudie Baudoin

Dall’effetto dimostrazione alla rivoluzione?Da 8 settimane, ogni sabato nelle piccole e grandi città di tutta la Francia la gente si è mobilitata in manifestazioni, o in piccoli gruppi alle rotatorie e ai caselli autostradali, dove vogliono far conoscere le loro lamentele e le loro rivendicazioni, e iniziare a sviluppare diversi tipi di azioni.

Ciò che era stato preso come una manifestazione senza futuro si sta gradualmente trasformando in un movimento che lotta per la Democrazia reale.

Ma oggi che coltiviamo solo il culto del momento e l’assenza di prospettiva, gli aneddoti sostituiscono l’analisi di fondo, le visioni politicizzate sostituiscono il punto di vista sociologico, il sensazionale maschera le ragioni profonde. E quando si sospetta la portata e la forza del fenomeno, allora l’informazione viene manipolata, diventa falsa e grossolana fino ai più alti livelli dello stato. E pubblicamente, in occasione dei suoi “auguri” al popolo, il presidente della Repubblica apostrofa come “folle odiose” i giubbotti gialli mobilitati in gran numero. Cecità totale o calunnia comprovata?

Ci proponiamo qui di dare uno sguardo ai contesti più ampi e sviluppare una visione più globale e in progresso. Forse da ciò potremmo delineare le prospettive future di questo movimento senza precedenti.

Il contesto

Non ricorderemo qui il contesto più ampio della caduta delle ideologie, l’assenza di progetti sociali, l’antiumanesimo crescente da tutte le parti, la finanza che governa il mondo diffondendo la povertà, la violenza in tutte le sue forme e l’odio.

Vogliamo solo osservare un contesto più recente e specifico della Francia:

La sera del 29 maggio 2005, la maggioranza dei francesi respinse il trattato che istituiva una Costituzione per l’Europa, dicendo: “No, non continueremo su questa strada”. I francesi, come altri cittadini europei, lanciano un avvertimento senza precedenti alle istituzioni di Bruxelles e ai partiti politici.

Tuttavia, questa costituzione doveva essere solo una formalità. Nella primavera del 2004, i pronostici erano molto favorevoli per il “sì”. I due principali partiti politici, l’UMP [Union pour un Mouvement Populaire – classificato a destra e centro-destra] e il PS [Parti Socialiste – di sinistra e centro-sinistra], sono a favore in maggioranza. Quel testo, tutto fatto di compromessi e bizantinismi istituzionali, doveva passare come una lettera all’ufficio postale. Almeno, questo è quello che tutti immaginavano: politici, osservatori, giornalisti, agenzie demoscopiche… Ma i francesi hanno preso in mano il dibattito che ha permesso loro di porre domande fondamentali sull’economia, la democrazia e le istituzioni. Questa agorà è durata un anno, dall’annuncio del referendum al giorno del voto. Una sequenza politica memorabile durante la quale sono stati espressi i timori di una Francia già immersa nella crisi economica e sociale.

Quel “no” le istituzioni europee lo accetteranno per un certo tempo e lo dimenticheranno rapidamente con trattati sostitutivi, contro la volontà popolare. Questa negazione di democrazia segnerà le istituzioni europee con un ferro rovente. E’ a quell’Europa, tecnocratica e liberista, anzi ultra-liberista, che i francesi hanno detto no nel maggio 2005. [1]

Da allora, in Francia prevalgono due tendenze:

  • che senso ha votare se il nostro voto non viene rispettato? Che senso ha protestare se non ci ascoltano su niente?
  • lotta continua per proteggere i diritti e ripristinare la democrazia.

La prima tendenza, alimentata da una stampa falsa e manipolativa, pompata quotidianamente da uno sfrenato incitamento al consumo, dall’ipnosi delle folle, prevale per 15 anni.

Ma i francesi hanno la Rivoluzione Francese nella loro storia, nelle profondità del loro paesaggio di formazione. Molti hanno dimenticato i dettagli della storia e gli eventi specifici. Ma tutti hanno tenuto a mente: il popolo ribelle può rovesciare la monarchia. È il potere del popolo che resta nella memoria collettiva.

In quella memoria c’è anche la “resistenza” organizzata per 4 lunghi anni durante l’occupazione tedesca, resistenza al rischio della vita e di quella dei propri cari.

Molti dei precedenti più recenti di mobilitazione popolare sono stati sottovalutati: il movimento degli Indignati in Spagna, o 15M (15 maggio 2011) è conosciuto in Francia, in particolare durante il primo raduno mondiale del 15 ottobre, ma i gruppi saranno dispersi dalla polizia e la stampa farà il suo lavoro manipolativo di discredito. Nel 2012 questa ondata sociale sembra essere scomparsa. È riapparsa qualche anno dopo, nel 2015 e nel 2016, con manifestazioni e scioperi, sotto la forma delle Nuits Debout [Una serie di manifestazioni nelle piazze pubbliche, che ha avuto inizio il 31 marzo 2016 a seguito di una manifestazione per rigettare la Legge-Lavoro (simile al Jobs-Act italiano – NdT). Quella dinamica si estese a una più globale contestazione delle istituzioni politiche e del sistema economico], le cui manifestazioni saranno pure disperse dalla forze dell’ordine.
Nel 2016 e 2017, gruppi ancora più screditati o ignorati sono comunque notevoli: gli incontri di Jean-Luc Mélenchon e la nascente France Insoumise (Francia indomita) riuniscono decine e decine di migliaia di persone, andando oltre le 100.000 in alcune città francesi…

Quello che covava lì, nelle case, nelle città e nelle campagne, era davvero un braciere… e venti violenti hanno soffiato sulla brace: il presidente appena eletto mostrava in modo ostentato, da un lato il suo disprezzo per il popolo (segnato da molte battute odiose verso la “gente piccola”) e, dall’altro la sua ferma determinazione a porre fine alle conquiste sociali “che costano una cifra pazzesca”! ». Le misure prese a tutta velocità attaccano direttamente le persone: disabili, pensionati, studenti, disoccupati, lavoratori… Le dimostrazioni e le mobilitazioni riprendono sul serio: per difendere il diritto al lavoro, per proteggere i trasporti pubblici, per salvare ciò che resta del servizio pubblico (ospedali, scuole, università). Migliaia di persone per le strade. La risposta politica: arroganza e disprezzo mostrati pubblicamente, fino ai microfoni della stampa estera.

Così l’aumento delle tasse sui carburanti non ha agito che come una scintilla su braciere già acceso di rabbia accumulata, di disperazione ignorata, di sofferenza negata.

Dalla prima mobilitazione in novembre, l’effetto dimostrativo si compie nella misura in cui conferma:

  • La capacità dei francesi di mobilitarsi, quando sopraffatti da tanta ingiustizia sociale,
  • Che Parigi non è la Francia e che la forza è nelle sue città di provincia!
  • Che i media mentono senza ritegno per proteggere la nuova monarchia.

L’ondata avrebbe forse potuto essere contenuta in quel momento se il governo avesse risposto favorevolmente alla richiesta specifica dei cittadini (eliminazione delle tasse sul carburante). Invece la derisione e la manipolazione hanno moltiplicato la rabbia, ma anche e soprattutto la consapevolezza.

Movimento di presa di coscienza

Indossando un giubbotto giallo che non rientra in nessuna etichetta ma ha il grande vantaggio di dare molta visibilità, la gente comincia a radunarsi intorno allo scontento e, presto, intorno all’identità di un popolo che il Presidente, il suo governo e in definitiva “i potenti” prendono in giro. Anche molto rapidamente questo movimento vuole essere senza forma, senza rappresentanti, senza verticalità di sorta, acefalo e polimorfo. Ilcittadino comune si ritrova alle rotatorie delle città dove vive, blocca il traffico, e lì si fa megafono e vetrina della miseria in Francia: povertà con o senza lavoro, pensioni insufficienti, oneri eccessivi, tasse ingiuste. Le persone si parlano, si scoprono, si riconoscono e imparano a stare insieme al di là delle loro divergenze di opinione.

Durante le prime settimane, c’è ancora un senso di appartenenza corporativa e si vedono tassisti, studenti, infermieri e persino avvocati che indossano il giubbotto giallo e “sostengono” il movimento.

Ma molto rapidamente si organizzano anche assemblee popolari: si discute, si raccolgono informazioni, si cerca, si chiede, si impara… SI DIVIENE CONSAPEVOLI!

Così ci mettiamo il GJ [Gilet Giallo] e diciamo: “noi” siamo il popolo, “noi” vogliamo riconquistare il controllo sulle nostre vite.

Mobilitazione del 5 gennaio in alcune città francesi.

Il ruolo della stampa mainstream

Svolgerà un ruolo importante nell’amplificare l’onda. Ma qui non agisce come il contropotere che pretende di essere. E’ al servizio di questo potere, fornendo solo informazioni parziali e partigiane, e molto spesso false: le cifre della mobilitazione sono ridotte in modo ridicolo (da diverse centinaia di migliaia di persone per le strade a poche decine di migliaia annunciate dai media mainstream), le immagini trasmesse a ripetizione mostrano solo “teppisti in giallo”, vanno in onda a degradare e insultare le persone di questo movimento. Questa estrema manipolazione delle informazioni aumenterà la rabbia. Inoltre si comincia a sospettare una manipolazione orchestrata da molto più in alto durante il raduno del 2 dicembre dove alcuni individui (chi sono?) attaccano l’Arco di Trionfo. La demonizzazione diviene grottesca. Ma nessuna strategia funzionerà: né la diffamazione (movimento di estrema destra), né la manipolazione dell’immagine (folla odiosa e violenta), né il riferimento a figure discutibili e contestate come leader del movimento, né i presunti tentativi di recupero politico e sindacale, né la paura (repressione poliziesca) soffocheranno il popolo. Tuttavia, crederanno di farcela con uno scenario di opposizione molto chiaro: “Cittadino, non andarci: è ad alto rischio, è pericoloso…”

Queste esagerazioni porteranno la gente ad un’altra consapevolezza: chi ancora credeva che “quello che vediamo in TV può solo essere vero”, eccoli qui a migliaia a rendersi conto che tutto è menzogna e manipolazione! L’esasperazione è al suo apice.

La stampa, da parte sua, continua a fingere di ignorare il fatto che una grande maggioranza della popolazione, anche quando non si mobilita per strada, sostiene questo movimento, perché una grande maggioranza si riconosce nelle sue rivendicazioni e richieste… che la stampa non trasmette, naturalmente.

Le rivendicazioni dei GJ [Gilet gialli]

Erano inizialmente spontanei e gli slogan in strada catartici. Oggi, come risultato di molti incontri e assemblee di cittadini, vengono consolidate, rafforzate e ampliate, e chiarite fino al punto di essere scritte.

Ecco un esempio, ampiamente distribuito nelle reti sociali (che è la principale fonte di informazione e organizzazione), in 21 punti, che mostrano soprattutto il feroce desiderio di maggiore giustizia: giustizia democratica, fiscale, economica e sociale e un “potere d’acquisto” che permetta di passare dalla sopravvivenza alla vita[2].

LE PRIME RIVENDICAZIONI DEI GILET GIALLI

POTERE D’ACQUISTO

1 – SMIC (salario minimo) a 1300 euro netti.
– Nessun pensionamento al di sotto dei 1200 euro.

2 Gli stipendi, le pensioni e le indennità devono essere indicizzati all’inflazione.

3 – Stipendio massimo fissato a 15.000 euro.

– Limitare il divario salariale a 1 a 20 nelle aziende.

4 – Aumento dei sussidi di invalidità e di disoccupazione.

– Ritiro della CSG sulle pensioni. (CSG, contributo sociale generalizzato, è un prelievo

obbligatorio, che partecipa al finanziamento della sicurezza sociale e, dal 2018,

dell’assicurazione contro la disoccupazione, in luogo dei contributi dedotti dai salari).

GIUSTIZIA FISCALE

5 Imposta sul reddito più progressiva (più fasce per i più ricchi).

6 – Ripristino dell’ISF. (ISF, imposta patrimoniale, pagata da persone fisiche e coppie che

detengono un patrimonio superiore a 1,3 milioni di euro. L’ISF diminuirà nel 2019, il che

comporta un deficit di bilancio di 4 miliardi di euro).
– Fine del CICE per finanziare il potere d’acquisto. (Dal 2013 sono stati concessi 20 miliardi

di euro all’anno alle imprese, nell’ambito di un sostegno chiamato CICE. Sarà abolito nel

2019 e sostituito da una riduzione dei contributi sociali a carico delle imprese. Ciò comporta

un deficit di 20 miliardi di euro nel bilancio 2019).

7 – Stipendio massimo fissato a 15.000 euro.

– Limitare il divario salariale a 1 a 20 nelle aziende.

8 – Recuperare 80 miliardi di evasione fiscale/frode.

– Imposta sull’olio combustibile per uso marittimo e sul cherosene.

GIUSTIZIA DEMOCRATICA

9 Referendum propositivo dei cittadini.

10 Referendum revocativo dei rappresentanti eletti che non hanno rispettato i loro impegni.

11 Fine delle indennità presidenziali a vita.

12 – Ripristinare la proporzionalità nelle elezioni legislative e comunali.

– Referendum abrogativo se gli impegni non sono rispettati.

GIUSTIZIA ECONOMICA

13 Elettricità, acqua e gas sono beni di prima necessità. Essi devono tornare ad essere pubblici.

14 Divieto di vendita di beni immobili appartenenti alla Francia (dighe, aeroporti…)

15 Proteggere l’industria francese, proibire le delocalizzazioni. Proteggere la nostra industria.

16 Ampio piano di coibentazione degli alloggi. (Misura ecologica che fa risparmiare denaro

alle famiglie).

GIUSTIZIA SOCIALE

18 – Zero SDF (Senzatetto): URGENTE.

– Ripristinare la pensione a 60 anni a rendita piena.

19 Il sistema pensionistico deve rimanere unitario, quindi socializzato. (No pensione a punti).

20 Stesso sistema di sicurezza sociale per tutti (compresi gli artigiani e gli imprenditori autonomi).

21 Limitazione dei canoni di affitto. Alloggi più accessibili (soprattutto per studenti e lavoratori precari).

 

Comunque, in strada e alle rotonde, lo slogan più urlato dall’inizio del movimento rimane: Macron dimission.

E sulla segnaletica e sulle mura cittadine: RIC: Referendum d’Iniziativa dei Cittadini (punto 9 della tabella).

Più chiare sono le richieste, maggiore è la mobilitazione, più viene in aiuto la simpatia del resto della popolazione: in un recente sondaggio, il 77% dei francesi sarebbe a favore del ritorno dell’ISF (Imposta sui Grandi Capitali) e l’80% a favore del RIC…

Questo è motivo di seria preoccupazione per il governo… che, costretto a notare la portata dell’insurrezione, sta perdendo terreno e sta rispondendo con la forza repressiva più incontrollata che abbiamo mai sperimentato nella storia francese moderna.

Violenza repressiva

Attribuendosi la legittimità di una “ferma repressione” con il pretesto di rispondere alle violenze (danni materiali) prodotte da alcuni “guastatori”, la forza armata inviata sul campo è senza precedenti. Non solo per numero di uomini dispiegati, ma soprattutto per attrezzature e metodi impiegati.

Eppure il “Difensore dei diritti”[3], Jacques Toubon, certamente non “di sinistra”, lancia ripetuti allarmi. Ha appena pubblicato un rapporto “il mantenimento dell’ordine con riguardo alle regole deontologiche“[4], in cui si descrive molto chiaramente la pericolosità delle ULBDs (Flashball è un’arma da fuoco subletale, che utilizza proiettili di gomma, progettati non per uccidere ma che possono causare gravi lesioni), il divieto deontologico di usare la forza quando non è necessaria, l’accerchiamento di dimostranti non pericolosi, il pestaggio di dimostranti a terra, e gli arresti arbitrari di cittadini che non costituiscono un pericolo.

Tuttavia, esempi contrari si moltiplicano, illustrati da decine di video, ampiamente diffusi sui social network.

Ad oggi, 10 persone sono morte durante queste manifestazioni (per incidenti e una direttamente per repressione della polizia), ci sono più di 4000 feriti gravi, tra cui decine di persone mutilate a vita: perdita di un occhio, fratture multiple della mascella, occhi irreversibilmente bruciati… Inoltre, 4570 arresti, per lo più arbitrari.

Le scene di violenza sono inaudite, a volte provenienti da agenti senza matricola, a volte da più alti gradi (di comando): colpi multipli su una persona non armata e non protetta, scene di umiliazioni (con minorenni), tiro alla cieca (una vecchia signora uccisa mentre chiudeva le imposte) o tiro mirato (preferibilmente alla testa), reti di accerchiamento e lancio sistematico di gas, lanci di “acqua” con prodotti altamente tossici su donne, bambini, disabili, anziani…

Alcuni osservatori stranieri sono allarmati. Amnesty International il 17 dicembre aveva già redatto un rapporto esaustivo sull’”eccessivo uso della forza durante le dimostrazioni dei Gilet Gialli”[5], rilevando sia una sproporzione indescrivibile sia l’uso illegale di alcune “armi di deterrenza”. Da allora, tuttavia, la violenza illegittima e illegale della polizia è ulteriormente aumentata.

Il giornalista David Dufresne, sul suo account Twitter[6], organizza un’intera raccolta di segnalazioni e testimonia la divisione che sta avvenendo all’interno delle forze di polizia. Perché lì, come nei Gilet Gialli, si sta aprendo una profonda linea di demarcazione.

La linea di demarcazione: violenza/nonviolenza

Alcuni membri delle Forze di polizia hanno a mente il motto della loro professione: “pro patria vigilant” (vigilare per la Patria) e la loro missione nel profondo della coscienza: “La missione delle forze di polizia è la garanzia delle libertà individuali e collettive, la difesa delle istituzioni della Repubblica, il mantenimento della pace e dell’ordine pubblico e la protezione delle persone e dei beni”.

Vediamo la comparsa di video di denunce, obiezioni degli agenti sulla legittimità degli ordini che ricevono, le assenze per malattia in aumento come unica risposta legale possibile da parte loro, e in casi più rari, rifiuti di obbedire. Abbiamo visto tentativi di dialogo e di fraternizzazione tra il GJ e la polizia. Alcuni iniziano a chiedere una salutare disobbedienza.

Abbiamo soffocato (o pensato di soffocare?) questo piccolo soprassalto di consapevolezza con un bonus di 300 euro alla fine dell’anno per ogni agente, e per evitare possibili risvegli di coscienza, mandiamo le truppe all’assalto lontano dai luoghi in cui vivono. Misure insignificanti… e comunque inutili per rispondere alla fatica delle forze di polizia che per la prima volta si trovano ad affrontare “persone come loro”, che si lamentano della precarietà alla quale il sistema attuale li conduce.

Alcuni comandanti, ancora anonimi per il momento, testimoniano che non sanno più cosa fare per preservare il “modello francese” di mantenimento dell’ordine pubblico. Questo “modello” si riferiva infatti all’etica internazionale: “il minor contatto possibile, nessun ricorso alla violenza senza necessità assoluta, promuovere la dis-tensione, nessun uso sproporzionato di armi di deterrenza, garantire la dis-tensione e il ritorno alla calma”.

Ma di fronte a questa coscienza civica, stiamo anche assistendo allo scatenarsi di una polizia che è andata fuori controllo. E l’aumento di repressione senza precedenti a cui stiamo assistendo sembra essere legittimata dai capi: i prefetti regionali e, al di sopra, il ministro degli Interni Castaner.

Così, da una città all’altra, i raduni assumono un aspetto completamente diverso: dove la polizia è moderata e poco presente (per esempio Tarbes, Digione, ecc.), né danni né violenza. Là dove arriva l’ordine di caricare, la fine dei raduni è tragica.

Lo stesso vale per i Gilet Gialli.

La maggior parte di loro si riconosce e si afferma come un movimento pacifico, nonviolento e benevolo. Del resto, si moltiplicano i fatti e i gesti che lo attestano: organizzazione di incontri popolari e festosi, gesti di assistenza solidale, tentativi di dialogo con la polizia. Sono organizzati in piccoli gruppi chiamati “di serenità”, composti da donne e persone di una certa età, per regolare i cortei e calmare l’esasperazione. Essi mostrano la loro identità e i loro valori su tutti i cartelli.

Ma la sofferenza si esprime in modi diversi e per molte persone la rabbia ruggisce… e la negazione del governo, la sua insistenza nell’insultare la gente, è un incitamento alla violenza. Come può un Presidente della Repubblica parlare di un raduno di centinaia di migliaia di persone che chiedono un referendum d’iniziativa popolare in questi termini: “una folla odiosa, attaccano funzionari eletti, forze di polizia, giornalisti, ebrei, stranieri, omosessuali, è semplicemente la negazione della Francia…”.

Questo tipo di commento, proprio quando il nostro paese sta vivendo una delle situazioni sociali più gravi che abbia mai vissuto, proprio quando sono le sue forze di polizia ad attaccare i più deboli, rischia di scatenare la rabbia e la sua espressione violenta.

Oggi, non sono più solo i “guastatori” che rivendicano il diritto alla violenza, ma anche persone arrabbiate, esasperate, umiliate, che vogliono giustizia e risarcimento dei torti. La “violenza” dei GJ è stigmatizzata dai media, i “colpevoli” immediatamente arrestati, processati, condannati, a volte arbitrariamente e senza fondamento, “come esempio”, mentre la violenza della polizia non è affatto trasmessa, e se lo è, è legittimata o banalizzata. Questa ingiustizia dittatoriale decuplica la rabbia dei manifestanti e gli appelli alla risposta violenta sono in aumento. Siamo entrati nel circolo vizioso della violenza.

Dalla rivoluzione all’evoluzione

E’ proprio un posizionamento chiaro e fermo a favore della nonviolenza attiva che potrà portare le caratteristiche di evoluzione a questo movimento di rivoluzione.

Infatti è già molto più che un’ondata di insurrezione. Le azioni lo testimoniano: le assemblee popolari dei cittadini, i sindaci che aprono i loro uffici per redigere le liste di lamentele, la redazione di richieste sempre più chiare, il desiderio di referendum di iniziativa popolare, la necessità di una nuova Costituzione…. Sembra che la Francia voglia andare verso la nascita di una sesta Repubblica.

Interi gruppi e associazioni vogliono vedere rinascere (nascere di nuovo e non ancora menomati) i loro valori – libertà, uguaglianza, fraternità.

La stampa alternativa[7] e le piccole case editrici indipendenti[8] fungono da tramite per la libertà di espressione; i social network, nonostante la censura che finora si è dimostrata impotente, sono lo strumento di distribuzione più massiccio. Avvocati assistono, sia dal punto di vista amministrativo che sul campo, le persone ferite durante le manifestazioni o arrestate arbitrariamente. Alcuni giudici si oppongono all’impotenza alla quale la Giustizia è relegata.

I deputati di France Insoumise, affiancati da molti deputati della “vera” sinistra e da altri democratici, si fanno portavoce al Parlamento e con tutti i mezzi a loro disposizione per legiferare sulla questione del referendum…

Parallelamente e allo stesso tempo, soprattutto nelle rotatorie, si sta riformando il tessuto sociale: qui si vive la solidarietà, nasce una nuova fraternità, alimentata dalla speranza che il popolo unito non possa essere sconfitto. Durante le festività natalizie, e nonostante il freddo, in centinaia di rifugi di fortuna, la gente si è riunita per celebrare insieme questa nuova speranza, accogliendo anche persone sole o senza tetto, o di solito rifiutate, e centinaia di persone che hanno portato cibo, regali, legna da ardere. Nasceva una forza sempre maggiore: quella fornita dal gesto efficace, quella che fa crescere le persone, che si vede ripetere e di cui non ci si pente mai.

Sulla base di questa Forza profonda, individuale e collettiva, tre elementi potrebbero assicurare la transizione:

  • Lo schieramento delle forze armate con il popolo: “nel caso estremo in cui il popolo decidesse di cambiare il tipo di stato e il tipo di leggi, spetterebbe al popolo (…) e sarebbe dovere dell’esercito sostenere questo desiderio di cambiamento, creando le condizioni che consentano al popolo di mettere in moto un nuovo tipo di organizzazione e un nuovo regime giuridico»[9].
  • L’apporto massiccio dei giovani: ” vale la pena se i giovani vengono a gonfiare il flusso di questa forza morale, come una variante della Storia, se il suo flusso è incontenibile e se sentiamo il suo rombo in tutte le lingue della terra»[10].
  • Il contagio al di là delle frontiere, a tutta l’Europa e oltre[11]. Iscrivere questo desiderio di una nuova costituzione nel contesto di un più ampio disegno: la Nazione Umana Universale, che vuole porre fine alla violenza e all’ingiustizia.

La rivoluzione è possibile perché non si torna indietro dalla presa di coscienza. I francesi lo sanno e lo sentono, si stanno già organizzando in un “grande dibattito”[12], contano già su una forza di proposte (giustizia fiscale, esercizio del potere democratico, ricostruzione delle istituzioni).

Ma perché questa sia un’evoluzione, deve emergere una nuova consapevolezza: la necessità di prendere il controllo del proprio destino sociale ma anche di evolvere come specie. Una specie che sceglie la non violenza, e quella del gesto efficace, che rivendica il diritto di crescere e di trovare il Senso.

“Siamo alla fine di un periodo storico oscuro e nulla sarà più come prima. A poco a poco, l’alba di un nuovo giorno comincerà a sorgere, le culture cominceranno a capirsi, i popoli sperimenteranno una crescente sete di progresso per tutti, comprendendo che il progresso limitato a pochi finisce senza progresso per nessuno. Sì, ci sarà la pace e si capirà per necessità che inizia a prendere forma una nazione umana universale. Nel frattempo, noi che non siamo ascoltati lavoreremo d’ora in avanti in tutto il mondo per esercitare pressione su chi decide, per diffondere gli ideali di pace, con la metodologia della non violenza, per preparare la strada ai tempi nuovi.

(…)

Credo che qualcosa di molto buono accadrà quando gli esseri umani troveranno il Senso, tante volte perso e tante volte trovato nei punti di svolta della Storia”[13].

Note

1] Fonte: France Inter, 2015.

2] La votazione su altre rivendicazioni, che non sono unanimi, può essere fatta anche su http://revendicationsgiletsjaunes.fr/?fbclid=IwAR3RSXoAXoAXsjZ8-xhJCW3lPxa_J0dA0TxRLsQshKoeVz7QPhn2X-sVLDlXGI.

3] In Francia, il Défenseur des droits è un’autorità amministrativa indipendente, creata dalla modifica costituzionale del 23 luglio 2008 e istituita dalla legge organica del 29 marzo 2011. La sua amministrazione assume la forma di un’autorità amministrativa la cui indipendenza è garantita dalla Costituzione.

4] Rapporto disponibile nella sua interezza sul sito web dell’Assemblea nazionale.

[5] http://www.amnesty.fr/liberte-d-expression/actualites/usage-excessif-de-la-force-lors-des-manifestations

[6] http://twitter.com/davduf

7] Si vedano servizi e interviste dei media, http://www.lemediatv.fr e gli articoli su Le vent se lève http://lvsl.fr

8] Chiavi per capire i Gilet Gialli, edizioni Syllepse, vedi il nostro articolo del 26 dicembre 2018.

9] Silo, Lettere ai miei amici, Lettera 8: Posizione dei militari nel processo rivoluzionario. Si notano anche molti veterani che indossano il GJ, e sempre più soldati con i loro volti esposti si oppongono agli abusi della polizia. Promemoria: i militari dipendono dal Ministero delle Forze Armate, la polizia dal Ministero dell’Interno.

10] Silo, Prima celebrazione annuale del messaggio, Punta de Vacas, 4 maggio 2004, silo.net

11] Su questo punto, gli incontri che hanno già avuto luogo in più di 20 paesi europei sono tenuti sotto silenzio. Se questi movimenti dovessero aumentare, l’Europa stessa sarebbe minacciata nelle sue istituzioni e nel suo funzionamento. Alla vigilia delle elezioni europee, le informazioni su un possibile movimento crescente di protesta saranno quindi ignorate il più possibile.

12] La recente proposta della presidenza, accolta dai GJ come ulteriore negazione di ciò che stanno facendo, come rifiuto della loro richiesta referendaria e come ulteriore “fumo mediatico”.

13] Silo, Prima celebrazione annuale del Messaggio, Punta de Vacas, 4 maggio 2004, silo.net

Vedere anche:

25/11 Gilet Gialli a Parigi: rabbia (Gabriela Bravo e Pressenza France Editorial Team)

30/11 http://www.pressenza.com/fr/2018/11/gilets-jaunes-risque-ou-opportunite/ (Editoriale Pressenza Francia)

06/12 http://www.pressenza.com/fr/2018/12/gilets-jaunes-ou-la-democratie-en-marche-1-2/ (Editoriale Pressenza Francia)

07/12 http://www.pressenza.com/fr/2018/12/gilets-jaunes-ou-la-democratie-en-marche-2-2/ (Editore Pressenza Francia)

09/12 http://www.pressenza.com/fr/2018/12/gilets-verts-et-gilets-jaunes-ensemble-pour-un-monde-meilleur/ (Brigitte Cano e Mauricio Alvarez, Editore Pressenza Francia)

10/12 http://www.pressenza.com/fr/2018/12/les-gilets-jaunes-ne-pas-seulement-marcher-aller-au-dela-des-manifestations/ (Mathieu Dégé, testimonianza)

11/12 http://www.pressenza.com/fr/2018/12/gilets-jaunes-annonces-de-macron-un-enfumage-pour-preserver-linjustice-fiscale-et-les-cadeaux-faits-aux-riches/ (ATTAC Francia)

12/12 http://www.pressenza.com/fr/2018/12/le-mouvement-des-gilets-jaunes/ (Ginette Baudelet, Editore Pressenza Francia)

15/12 http://www.pressenza.com/fr/2018/12/gilets-jaunes-temoignage-on-nous-parle-de-violence/ (Tolosa, testimonianza)

18/12 http://www.pressenza.com/fr/2018/12/retentions-repression-et-violence-les-methodes-du-gouvernement-pour-en-finir-avec-les-gilets-jaunes/ (Josefina Dowbor)

25/12 http://www.pressenza.com/fr/2018/12/video-merci-aux-gilets-jaunes/ (Brigitte Cano, comitato di redazione di Pressenza France)

26/12 http://www.pressenza.com/fr/2018/12/gilets-jaunes-des-clefs-pour-comprendre/ (chiavi di comprensione, Syllepse Publishing)

06/01 http://www.pressenza.com/fr/2019/01/lettre-ouverte-au-president-macron-changez-nos-institutions-et-demissionnez/ (Pascal Maillard per il suo blog Polared).


Fonte: Pressenza Italia
Traduzione dal francese di Leopoldo Salmaso

Categorie: Cultura e Media, Europa, Opinioni, Politica
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Psico-sociologa e consulente in ambiente ospedaliero, autrice di numerosi libri, saggi e conferenze, umanista di lunga data, fa anche campagne per la nonviolenza e il diritto di tutti a praticare la loro spiritualità.
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