Sfollati dalla foresta dai fiori rossi, un caso di sfratto dalle riserve protette dell’India | Eleonora Fanari

Sita Maji seduta nell’uscio della sua dimora nell’accampamento di Munda

Sita Maji, una donna indigena della tribù dei Santal, è seduta di fronte alla sua dimora temporanea nel villaggio Munda, nel distretto di Mayurbanj, nello stato est dell’Orissa in India. Sita vive insieme ai suoi due bambini, uno di 3 e l’altro di 4 anni, suo marito e l’anziana madre. Nella stagione calda di un maggio da 45 gradi, la piccola dimora rappresenta il solo rifugio per lei e la sua famiglia – nonostante disti 70 km dal suo villaggio natale di Kabathgai, da dove è stata sfrattata quel maggio del 2016 dalle autorità forestali. 

Kabathgai era un villaggio situato nella zona ‘inviolata’ della Riserva delle tigri di Simlipal, una delle più grandi e rinomate riserve delle tigri dello stato orientale dell’Orissa. Ma Simlipal non è solamente casa delle tigri, ma anche di numerose comunità tribali quali Santhal, Kolho e Khadia, che hanno abitato queste terra da secoli. 

Gli alberi dai fiori rossi di semul, da cui trae il nome il parco nazionale di Simlipal, hanno rappresentato per le persone come Sita dimora, ombra e compagnia. Ma oggi per rispondere ai bisogni legati alla conservazione ambientale, in Simlipal, cosi come in altre riserve naturali, molti villaggi sono stati sfrattati e trasferiti al di fuori della zona considerata protetta. Tutto questo perché gli abitanti di questi luoghi vengono considerati una minaccia per la flora, la fauna e la conservazione delle tigri. Non più protettori della foresta, gli indigeni vengono considerati dal governo e dagli esperti conservazionisti degli ‘invasori’. 

Lo sfratto

Sbarra che delimita l’inizio della zona cuore del parco, o critical tiger habitat

Lo sfratto e lo spostamento del villaggio di Kabathgai è stato pianificato in seguito alla delimitazione di nuovi confini dettati dal Critical Tiger Habitat (CTH) – una zona protetta per assicurare la riproduzione delle tigri. Queste zone, note anche come ‘cuore del parco’ dovrebbero essere identificate in seguito a degli studi scientifici che appurino “tali aree devono essere mantenute inviolate ai fini della conservazione della tigre”. Il termine ‘inviolato’ è stato comunemente interpretato come ‘libero dalla presenza umana’, ma in molte aree dell’india i confini con la CTH coincidono con aree abitate. 

Il villaggio dei Santhal di Kabathgai si trovava proprio all’interno dell’area delimitata come cuore del parco. 

Con un sari giallo, e un’espressione stanca, Sita si riposa dopo una lunga giornata di duro lavoro per la costruzione della sua nuova casa, nel campo di Munda. Mi racconta come la sua vita è cambiata dopo il trasloco, e quali sono le principali difficoltà che si trova ad affrontare ogni giorno: “Qua fuori dobbiamo comprare qualsiasi cosa per sopravvivere, dal riso alla verdura; le autorità forestali ci hanno aiutato solamente nelle prime 3 settimana dopo il trasloco, distribuendo un chilo di riso a persona. Inoltre il cibo che troviamo al mercato è veramente di bassa qualità e molti di noi iniziano ad ammalarsi’. Sita ci racconta le difficili condizioni economiche in cui si ritrovano a dover vivere, ma i suoi occhi brillano quando si parla di aneddoti legati alla foresta dalla quale proviene. Ricorda quando i suoi figli potevano giocare liberamente all’aperto e le donne si riposavano sotto l’ombra di un grosso albero di Banyan, dopo una lunga giornata di lavoro. 

Sito di ricollocazione del villaggio di Kijohori, sfrattato nel dicembre 2016 dalla zona ‘cuscinetto’ del parco di Simlipal

Il luogo in cui questa comunità è stata trasferita assomiglia ad una baraccopoli, dove le piccole dimore costruite con la terra e ricoperte da tendoni di plastica costituiscono un riparo sia dai forti raggi del sole dell’equatore, sia dalla pioggia monsonica. Legna e utensili da cucina sono sparsi ovunque in mezzo a questo accampamento in cui lo spazio per cucinare non è delimitato da quello per dormire o lavare i panni. L’elettricità non è ancora disponibile e una pompa d’acqua e un solo servizio igienico sono stati considerati sufficienti per l’intera comunità composta da 47 famiglie. 

“Qua è molto caldo. Senza l’ombra degli alberi, l’acqua dei fiumi, e le risorse della terra ci sentiamo persi!” “Non siamo abituati a vivere con queste temperature, perciò molti in seguito a disidratazione sono già stati portati all’ospedale per ricevere cure mediche”.  

Per due mesi l’intera comunità ha lavorato alla costruzione del villaggio, e per il lavoro svolto lo stato ha assicurato la remunerazione, grazie al MNREGA (Mahatma Gandhi National Rural Employment Guarantee Scheme), un programma che ha l’obiettivo di provvedere al fabbisogno delle comunità nelle zone rurali del paese. La dimensione di ogni casa corrisponde a circa 3 x 2,5 metri. 

Terminati i lavori di costruzione del villaggio, queste persone dovranno cercare un altro impiego, ma molti di loro non hanno idea di come potranno reimpiegarsi, e alla domanda ‘cosa farete?’ rispondono con un semplice ‘non lo so’. 

Le comunità indigene: burattini nelle mani del regime legale

La Scheduled Tribes and Other Traditional Forest Dwellers (Recognition of Forest Rights) Act  (FRA), emanata nel 2006 dallo stato Indiano, è lo strumento legale che riconosce il diritto a Sita di abitare, usufruire delle risorse forestali e continuare a perseguire le loro attività tradizionali.

La FRA è una legge fondamentale che ha come obiettivo quello di riconoscere i diritti ‘tradizionali’ delle comunità indigene e forestali, diritti negati storicamente a queste comunità sfruttate dalla supremazia coloniale. Prima di questa legge le comunità forestali e indigene non avevano alcun diritto legale alla terra e erano continuamente minacciate di sfratto dai loro terreni. Inoltre non vi erano delle leggi che riconoscessero loro il diritto al pascolo, alla pesca, alla raccolta di prodotti forestali, etc. Perciò la FRA rappresenta una vera rivoluzione per queste comunità che prima d’oggi sono state sempre vittime di poteri coloniali e le politiche neo-liberali. 

La famiglia di Sita, ha combattuto per molti anni perché gli venisse riconosciuto il diritto di proprietà che consentisse loro di vivere in maniera serena, coltivare la loro terra e mandare avanti le attività tradizionali del luogo. Dopo una lunga battaglia legale la comunità di Sita ha ottenuto il titolo per gestire le terre in maniera comunitaria nel 2015. Ma tutto ciò si rivelò un vero inganno, in quanto subito dopo la stessa comunità venne costretta a traslocare, subendo ancora delle discriminazioni. 

“Abbiamo combattuto per la nostra terra fino alla fine, ma le pressioni esercitate dalle autorità forestali sono state insostenibili, e abbiamo dovuto arrenderci e traslocare lontano da casa nostra”. racconta Sita ricordando quel giorno in cui l’intera comunità di Kabathgai fu trasferita nel campo di Munda, dove alberi, fiumi e praterie sono un sogno.  

“Gli abitanti di Kabathgai furono costretti a traslocare, e Il dipartimento mandò anche degli uomini a sedurre i residenti del villaggio per accettare il pacchetto di risarcimento” afferma Sanghamitra, un membro del Community Forest Rights Learning and Advocacy (CFR-LA), un gruppo di attivisti che si stanno attivando su diversi fronti per il riconoscimento della FRA. Sangamitra ha aiutato le comunità di Simlipal a ottenere quel documento di proprietà che oggi risulta inutile. 

Secondo la FRA, le comunità potrebbero essere esortate al trasloco dal loro luogo natale solamente nel momento in cui studi scientifici constatino la condizione di non-coesistenza nella zona cosi detta ‘inviolata’; ma questo può avvenire solo se il gram sabha, il consiglio degli anziani, sia d’accordo con questa decisione. Il trasloco diventerebbe quindi non uno sfratto ma una migrazione volontaria. 

Ma secondo la comunità di Kabathgai il dislocamento non è mai avvenuto in maniera volontario. Le persone furono costrette a spostarsi dalla zona considerata protetta durante la stagione invernale, senza che venisse loro offerta una dimora adeguata per poter affrontare la stagione fredda. “Le nostre case sono state abbattute, i nostri campi distrutti dagli elefanti e il nostro spazio acquisito dalla autorità statali”, spiega Sita. Quando il funzionario del distretto di Mayurbhanj venne interpellato sul chi fosse responsabile di questo esodo, e se lo stesso fosse stato forzato o volontario, egli negò il carattere forzato dello spostamento sostenendo la volontarietà dell’emigrazione. Secondo quanto asserito dall’autorità, la comunità ha optato per il pacchetto di risarcimento offerto, ritenendolo come valida opportunità per una vita migliore, per sé stessi e i loro figli. 

Il pacchetto offerto sarebbe ammontato ad una somma di $15.000 a famiglia e un appezzamento di terreno. Ma secondo le testimonianze degli abitanti una volta accettata l’opzione, ingannevolmente l’assegnazione della terra consisteva nello spazio per la costruzione della casa. 

Vi è inoltre il fatto che i diritti riconosciuti dalla FRA sono oggi considerati dai funzionari ‘superati’. Questo significa che nonostante la comunità di Kabathgai abbia ottenuto il diritto a gestire in maniera comunitaria i propri territori, ora non ha nemmeno il permesso di accedere al parco. Senza terra e senza sostegno, le famiglie di Kabathgai si ritrovano abbandonati nel dover riorganizzare la propria vita, senza la possibilità di utilizzare le risorse forestali come d’abitudine. 

Ciò nonostante gli uomini manifestano positività e speranza, mentre le donne mostrano segni di frustrazione e paura per dover affrontare una vita piena di incertezze e distante da quelle che sono le loro usanze e costumi.

Una lotta continua

La comunità di Sita non è la sola ad essere stata sfrattata. Nella stessa riserva delle tigri di Simlipal dal 2009 a oggi sono stati sfrattati 4 villaggi, tre dalla zona centrale e un altro dalla zona ‘cuscinetto’ della riserva. Questo situazione genera numerosi conflitti, che sono in continuo aumento, tra le autorità forestali e le comunità indigene. Secondo un rapporto sui conflitti generati dalla conservazione ambientale, pubblicato dall’ambientalista A. Kothari, negli ultimi 30 anni sono stati sfrattate circa 300.000 persone. 

Secondo un altro studio inedito stilato da Kalpavriksh nel 2017, gli sfratti continuano in tutta l’India in maniera sempre più cruenta. Nella riserva delle tigri del Kanha sono state sfollate un numero maggiore a 700 famiglie. Nel parco di Nagarhole, nello stato del Karnataka, un numero pari a 3,400 famiglie sono state sfollate senza ricevere alcun compenso e senza nessun piano di ricollocazione; in Kaziranga, nello stato dell’Assam, un ordine del tribunale del 2015 ha ordinato lo sfratto per più di 2000 abitanti indigeni e forestali che vivono intorno al parco, tra cui molti appartenenti alla comunità’ indigena dei Mishing, adivasi e minoranze bengalesi. 

La Forest Rights Act, continua ad essere ignorata da parte delle autorità che continuano a sfrattare illegalmente in nome della protezione ambientale. Nell’ultimo anno la National Tiger Conservation Authority (NTCA) – Autorità Nazionale Conservazione Tigri – che gestisce i programmi di protezione all’interno delle riserve delle tigri, ha emanato un decreto con il quale sancisce che ‘nessun diritto forestale debba essere rilasciato all’interno del CTH’. Ciò significa che le persone indigene, come Sita, che tradizionalmente hanno vissuto grazie alle risorse naturali della foresta, non hanno più la possibilità di ottenere questo diritto che li spetta. 

Questo decreto potrebbe – e sta già succedendo-  aggravare la situazione già promiscua di questi cittadini dimenticati da tutti. Le comunità indigene che hanno lottato dai primi anni 90 affinché’ venissero riconosciuti questi diritti e il parlamento varasse questa legge, si ritrovano ora a dover combattere contro questo decreto che negherebbe la validità della stessa. 

I conflitti legati alla conservazione della biodiversità, stanno aumentando in India cosi come in altre parti del mondo. Nel nome della conservazione molte comunità vengono sfrattate e private dei loro mezzi di sussistenza, senza assicurare loro delle alternative valide o l’inclusione nei piani di conservazione ambientale.

Tre bambini giocano all’estremeh ita’ di un pozzo nel villaggio di Kolha, villaggio che ha ottenuto i diritti comunitari forestali riconosciuti dalla FRA

Oggi con il nome di ‘conservazione ambientale’ viene mascherato un sistema di accaparramento di terre. La connotazione positiva associata al termine ‘conservazione’, viene impiegata per celare termini negativi di espropriazione, acquisizione di terreni e negazione di diritti. È proprio in nome della conservazione che la famiglia di Sita fu sfrattata e rilocata nel 2016 durante il periodo dei monsoni senza assicurare loro una dimora e servizi adeguati, ma solamente una porzione di riso da consumare. 

Non potevamo dormire la notte e i bambini stavano continuamente piangendo. Ora stiamo lavorando giorno e notte sotto il sole cocente per costruire le case nel minor tempo possibile e per assicurarci un tetto stabile prima che la stagione dei monsoni arrivi. Ma non saprei quali possano essere le prospettive future”, commenta Sita. 

Mentre pronuncia queste parole volge lo sguardo verso il vuoto, e con le lacrime agli occhi dice: “prima eravamo i protettori della foresta, ora ci considerano i suoi peggiori nemici”. 


Bibliografia

Madhulika Sahoo, 2012. Anthropology of displacement: Case of conservation induced displacement and its impact on indigenous people in Simlipal Tiger Reserve, Odisha. Afro Asian Journal of Anthropology and Social Policy Vol. 3, No. 2, Luglio- Dicembre 2012, pp- 45-52

Cernea M. & Kai Schmidt-Soltau, 2003. The end of forcible displacements? Making conservation and impoverishment incompatible, Poly Matters, 12 Settembre, 2003 pg.42-51

Lasgercoix & Kothari, 2009. Displacement and Relocation of Protected Areas: A Synthesis and Analysis of Case Studies, Economic and Political Weekly, Vol xliv, no 49

Bibhore Deo, 2016. Recognition of Community Rights under the Forest Rights Act: Experience from Simlipal Tiger Reserve. Report di Vasundhara, Bhubaneswar 

Pathak e Fanari. To protect Human Rights the government should strategies to coexist first. Pubblicato nel The Wire, marzo 12, 2018. http://thewire.in/null/to-respect-human-rights-the-government-should-strategise-to-coexist-first-not-to-evict 

Sajin Saju. A tribal tragedy: Baited by large compensation, Baigas of Kanha grapple with post-eviction dilemma. Pubblicato in TheIndianExpress, Maggio 30, 2017. http://indianexpress.com/article/india/a-tribal-tragedy-baited-by-large-compensation-baigas-of-kanha-grapple-with-post-eviction-dilemma-4680814/ 

Vikhar Ahmed Sayeed. A court appointed committee will soon decide the fate of several thousand tribal people living in or around the Nagarhole Forest. Pubblication in Frontline, vol.27, issue 04, Feb. 13-26, 2010. http://www.frontline.in/static/html/fl2704/stories/20100226270409100.htm 

Samudra Gupta Kashyap. The Politics of Cleaning up Kaziranga. Pubblicato in TheIndianExpress, Settembre 27,2016. http://indianexpress.com/article/india/india-news-india/kaziranga-eviction-drive-assam-elections-bjp-sonowal-government-politics-dead-3051774/ 

Shruti Agarwal, Community forest rights in critical tiger habitats under threat. Pubblicato in DownToEarth, 14 Aprile, 2017. http://www.downtoearth.org.in/news/community-forest-rights-in-critical-habitats-face-hurdle-due-to-lack-of-legal-roadmap-57602 

Altri links website informativi

http://forestrightsact.com/what-is-this-act-about/ 


Titolo Originario: In India, dispossession in the name of conservation
Data di pubblicazione: Novembre 30, 2017 in Uneven Earth http://unevenearth.org/2017/11/in-india-dispossession-in-the-name-of-conservation/ , e nel blog http://upsidedownindia.wordpress.com 


 

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