L’Esercito dei fannulloni – Giulio Marcon

Cara Unità non dare i numeri: 40 mila marescialli in esubero mentre insegnanti precari e lavoratori Alitalia vengono licenziati
L’Unità del 4 novembre prende le parti delle Forze Armate con un lungo articolo (dal titolo: “Povera difesa”) in cui si stigmatizzano i tagli effettuati dal governo Berlusconi a danno delle spese militari. Il servizio de l’Unità non riporta certo dati falsi (il taglio alla “funzione difesa” è effettivamente per il 2009 di circa il 6%), ma dice solo una parte -assai parziale- della verità, sposando in tutto e per tutto le tesi (e i documenti) dei vertici militari: forse una maggiore indipendenza, soprattutto nella diversificazione delle fonti non sarebbe guastata. Ad esempio, la semplice consultazione dei dati della Nato (non proprio un’organizzazione pacifista) o del Sipri (il prestigioso e indiscusso istituto svedese sul disarmo creato dal governo di quel paese negli anni 60) avrebbe potuto portare a conclusioni più equilibrate.
Innanzitutto la Difesa è tutt’altro che «povera».
Mettiamo in fila alcuni dati: a) le spese militari nel 2007 e nel 2008 (con il governo Prodi) sono aumentate del 22% e quindi se prendiamo in esame il triennio 2006-2009 (sottratto il piccolo taglio di quest’anno) l’aumento complessivo è stato del 16%; b) la gran parte dei tagli (503 milioni nel 2009) sono relativi a riduzioni generalizzate fatte a tutti i Ministeri per le spese di funzionamento e non il risultato di un accanimento specifico contro le Forze armate; c) l’Italia è l’ottavo paese (non male) nel mondo quanto a spesa militare e il settimo quanto a spesa pro-capite (586 dollari) per le armi (più della Germania che ne spende 447 e della Spagna che ne spende 336); d) il bilancio della difesa non include le spese militari che stanno su altri centri di spesa (le missioni internazionali: un miliardo di euro addossato al ministero dell’economia, il sostegno all’industria militare, i programmi pluriennali di acquisizioni di sistemi d’arma, i soldi utilizzati in passato dall’8 per mille destinati allo Stato, ecc,); e) la percentuale sul Pil (se conteggiamo tutte le spese a favore delle Forze armate e non solo quelle che si trovano nella “Funzione Difesa” del Bilancio) è diversa da quella propagandata e truccata dai vertici militari: non è lo 0,8%, ma è intorno (dati riferiti al 2007) a l’1,8%. Ce lo dice il rapporto 2008 del Sipri, la Nato e persino il rapporto statistico della Cia (…) sulle spese militari nel mondo. Tutto sostanzialmente nella media europea: anzi Germania (1,3%) e Spagna (1,2%) spendono meno di noi; e non si tratta di piccoli paesi (per info: www.sbilanciamoci.org).
Ribadiamo: si deve spiegare perché il miliardo di euro del 2009 (meno qualche briciola per la cooperazione) che le nostre Forze armate spendono in Afghanistan, Libano, Sudan, Bosnia Erzegovina, Kosovo, Iraq, ecc. non deve essere conteggiato nella percentuale del Pil dedicato alle spese militari. Perché gli Usa calcolano nelle spese della Difesa i costi delle missioni militari internazionali e l’Italia (cioè i vertici militari, assecondati anche dalla stampa di centro-sinistra) fa finta che siano spese di altro genere?
Non è vero che le Forze armate hanno pochi soldi (più di 20 miliardi di euro) ma è vero che li spendono malamente per inefficienza ed inettitudine. Secondo il Sole 24 Ore (28 maggio 2007) la percentuale più alta di fannulloni (percentuale di assenteismo) nei ministeri si trova proprio nel ministero della Difesa (ben 31,5 giorni di assenza l’anno) e -inoltre- proprio secondo i vertici delle Forze armate vi sarebbero ben 40 mila marescialli in esubero. Che però -a differenza degli insegnanti precari e dei collaboratori scolastici o dei lavoratori dell’Alitalia- non possono essere tagliati. Nelle Forze armate -caso unico nella pubblica amministrazione- i comandanti (97.988 ufficiali e sottufficiali) sono più numerosi dei comandati (88.480 volontari di truppa) e un organico previsto di 186 mila addetti non riesce a garantire il turnover a 8 mila e 500 soldati impegnati all’estero. In più di una occasione la Corte dei conti si è dovuta occupare degli sprechi delle Forze armate.
Ci sono poi le scelte folli e inutili -anche dal punto di vista funzionale- come quelle della (importante per la goffa grandeur nostrana, inutile dal punto di vista operativo) portaerei Cavour (un miliardo e 400 milioni di euro) o il programma Efa 2000 che nel 2015 ci sarà costato più di 18 miliardi di euro. O dell’avventura appena iniziata della produzione dei Joint Strike Fighter, un aereo di attacco che può portare anche le mini bombe nucleari.
C’è poi la questione della opacità o della scarsa trasparenza (anche qui Corte dei conti dixit) del bilancio della Difesa. In questi anni i parlamentari hanno ripetutamente votato un capitolo di bilancio che -come ha ricordato Sbilanciamoci! – metteva insieme: «mezzi, sistemi, impianti, apparecchiature, macchinari» (di che? condizionatori d’aria o sistemi di puntamento?) e poi «armi e munizionamento… scorte e dotazioni» e ancora «mezzi per la comunicazione, la meteorologia, la guerra elettronica, nucleare, biologica e chimica» e -non è finita- «il controllo del traffico aereo, la sorveglianza del campo di battaglia, l’acquisizione degli obiettivi (?), le spese per la bonifica e la prevenzione dell’inquinamento… le spese per le pubblicazioni tecnico scientifiche» e -non potevano mancare- «spese per cimeli e reperti storici dell’esercito». Tutto in una voce di spesa: «la camicia di Garibaldi e il finanziamento degli 007 del Sisde, i kit di sopravvivenza anti-atomica e le torri di controllo». In passato c’erano anche in questo capitolo di bilancio le spese per le selle dei cavalli e l’addestramento dei cani lupo.
I problemi veri della Difesa -ripetiamo- non sono i pochi soldi, ma: a) l’altissimo grado di inefficienza (più di 1/3 del bilancio se ne va in spese inutili); b) il sovradimensionamento della struttura (120 mila soldati sarebbero assolutamente sufficienti -di fronte ad un impegno fuori area che raramente supera i 10 mila uomini in missione- rispetto ai previsti 186 mila); c) la mancata integrazione e collaborazione con gli altri paesi europei che porta -per una questione assurda di status nazionale- a duplicare funzioni e costi di infrastrutture e mezzi operativi (si guardi il caso della Cavour). Bisognerebbe riprendere -contro la pratica della «difesa inefficiente» delle nostre Forze armate- quel concetto di «difesa sufficiente» che Berlinguer, Brandt e Palme avevano promosso negli anni 80 a favore dell’obiettivo della «sicurezza comune».
Prima di titolare “povera Difesa”, consigliamo dunque un senso più misurato delle proporzioni.Drammatizzare un presunto taglio del 6% alla Difesa (tutto da relativizzare), mentre si taglia il 56% dei fondi per la cooperazione internazionale o lamentare una riduzione di poco più di 800 milioni di euro ai militari, mentre si tagliano più di 7 miliardi di euro a scuola e università, ci sembra strumentale e propagandistico. Ricordiamo, inoltre, la disposizione paradossale che concede al ministero della Difesa (unica amministrazione pubblica a godere di questo beneficio) l’utilizzo del ricavato delle cartolarizzazioni di caserme ed altri siti ed edifici demaniali utilizzati a scopi militari. Si tratta -da parte di un pezzo dell’amministrazione pubblica- di un uso feudale, corporativo e proprietario di beni che invece sono di tutti.
Avere delle Forze armate efficienti, funzionali e impegnate a realizzare il dettato della Carta costituzionale (la difesa del paese e della libertà) e della Carta delle Nazioni Unite (la prevenzione dei conflitti e la costruzione della pace) ci sembra un obiettivo assolutamente importante. Ma ci sembra altresì evidente che si fa un pessimo servizio a questa causa, sposando tesi parziali e spesso truccate di chi vuole solo difendere interessi corporativi, di piccoli poteri e -perché no- di casta. Perché anche quella militare lo è. La sicurezza del paese-abbandonando ogni vittimismo e propaganda- si costruisce in modo ben diverso: con la trasparenza, una politica di pace, la cooperazione internazionale.

Giulio Marcon è portavoce della campagna Sbilanciamoci!
Fonte: Liberazione, 6 novembre 2008