Quale ricerca nelle università?

Rita Vittori

Quali possibili usi propri e impropri dei risultati delle ricerche? Quale ricerca nelle università italiane?

In Italia si vive di polemiche e di parziali verità; si alimenta così la confusione nell’opinione pubblica abituata ormai a parteggiare or per l’una ora per l’altra parte basandosi su informazioni sempre più filtrate da interessi di gruppi finanziari (dietro le testate giornalistiche) o da interessi politici.

Il Bando di collaborazione con l’Università di Israele 2024

È tutto partito dal rinnovo dell’accordo tra il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI) tra istituzioni italiane e istituzioni israeliane, cui è seguita una lettera aperta firmata da oltre 1900 tra docenti e ricercatori del mondo accademico che chiedeva la sospensione del Bando 2024  per le ricerche in campo scientifico, tecnologico e industriale che avrebbero avuto applicazioni «dual use», ovvero sia in campo civile sia in campo militare.

Le riflessioni e le richieste contenute nella lettera sono state assunte come proprie anche dalle componenti studentesche intervenute nei Senati accademici dell’ Università di Torino (dove con una mozione si è scelto di non partecipare al Bando) e di  Pisa, che ha votato una mozione con la quale si chiede al MAECI di rivedere e sospendere l’accordo. Richieste analoghe sono state avanzate anche da centinaia di studenti in corteo a Bologna durante l’inaugurazione dell’anno accademico, mentre all’Università di Trieste è stata occupata l’aula Baciocchi, dopo che ne era stata negata la disponibilità per un incontro dal titolo Il diritto di boicottare Israele. Intanto alla Bicocca di Milano il pro-rettore alla Ricerca Guido Cavalletti ha dichiarato che non intende sospendere la partecipazione al Bando per non interrompere le ricerche in campo medico.

Da ciò abbiamo assistito a una serie di interventi che senza fare riferimenti precisi alle mozioni si schierano contro questa scelta, ma accusano di antisemitismo, che invece richiamano l’ art. 11 della Costituzione.

La UECI  (Unione Comunità Ebraiche Italiane) nella persona della presidentessa Noemi Di Segni, senza approfondire i contenuti delle mozioni, ha espresso una generica preoccupazione per la mancata collaborazione tra Università. Molto più gravi sono state le accuse del Presidente della Comunità ebraica di Roma, Victor Fadlun, che ha scritto in una nota: «Ricordiamo molto bene che le leggi razziali del 1938 sono state precedute e seguite da una propaganda antisemita che è passata attraverso le Università e gli ambienti accademici».

Noemi Di Segni ha scritto una lettera alla ministra Bernini e alla presidente della Conferenza dei rettori Iannantuoni: «[…] c’è una preoccupante escalation negli atenei, con esplicitazioni di un odio verso Israele e verso gli ebrei che nelle ultime settimane ha raggiunto livelli di gravissima preoccupazione».

La tecnologia «dual use»

Date queste dichiarazioni è facile allinearsi con le posizioni che sostengono la partecipazione al Bando con l’Università di Israele, perché nelle informazioni e nelle dichiarazioni si fa appello ai buoni sentimenti come la collaborazione nella ricerca scientifica finalizzata a obiettivi umanitari e sociali. Ma in realtà negli ultimi anni le varie Università sono sempre più colluse con le aziende belliche, che hanno progetti sia civili che militari. Ma cosa si intende per Dual Use?

Si tratta di beni e tecnologie comuni come valvole, pompe, calcolatori, materiali elettronici, sensori e laser, materiale avionico, navale, aerospaziale, macchinari, veicoli, sostanze chimiche, metalli, impianti elettrici ecc., ma con alto contenuto tecnologico, con possibili applicazioni in campo militare. Ogni anno si aggiorna l’elenco dei beni materiali e immateriali dual use che hanno bisogno per la loro esportazione di autorizzazione da parte di Autorità nazionali competenti (in Italia è l’UAMA).

Quale ricerca nelle università?

Le operazioni sottoposte a controllo dal Regolamento Dual-Use comprendono non solo l’esportazione, ma anche i servizi di intermediazione, l’assistenza tecnica, il transito e il trasferimento dei beni dual use.

Tra questi beni e tecnologie figurano:

  • materiali nucleari, impianti e apparecchiature;
  • materiali speciali e relative apparecchiature;
  • trattamento e lavorazione dei materiali;
  • materiali elettronici;
  • calcolatori;
  • telecomunicazioni e sicurezza dell’informazione;
  • sensori e laser;
  • materiale avionico e di navigazione;
  • materiale navale;
  • materiale aerospaziale e sistemi di propulsione.

Ulteriori prodotti a duplice uso, compresi i servizi di intermediazione correlati o l’assistenza tecnica, richiedono l’autorizzazione di esportazione, qualora siano destinati, in tutto o in parte:

  • ad armi chimiche, biologiche o nucleari;
  • all’uso militare in Paesi subordinati a un embargo sulle armi;
  • a componenti di prodotti militari già esportati da uno Stato membro dell’Unione senza l’autorizzazione richiesta.

Ricordiamo che la legge 185/90 (completamente disattesa) fa divieto di esportare materiali di armamento verso Paesi in conflitto o la cui politica contrasti l’art. 11 della Costituzione o verso Governi responsabili di gravi violazioni delle Convenzioni internazionali in termini di diritti umani. Ha senso quindi la mozione approvata dal Senato accademico dell’Università di Pisa quando afferma al punto 2 che l’Università «[…] si impegna, in coerenza con il dettato costituzionale, a esercitare la massima cautela e diligenza nel valutare accordi istituzionali e proposte di collaborazione scientifica che possano attenere allo sviluppo di tecnologie utilizzabili per scopi militari e alla messa in atto di forme di oppressione, discriminazione o aggressione a danno della popolazione civile, come avviene in questo momento nella Striscia di Gaza».

«Nella mozione facciamo riferimento a diverse iniziative di studio e confronto, tra le quali lo stanziamento per assegni di ricerca su tematiche relative allo studio del contesto e del conflitto – ha aggiunto Ambrosio – in questo momento storico riteniamo invece doveroso e urgente promuovere una riflessione non solo interna, ispirata dall’articolo 11 della nostra Costituzione, in merito al rischio di uso civile ma potenzialmente anche militare di alcune ricerche scientifiche e tecnologiche. È in quest’ottica che abbiamo chiesto al Ministero degli Esteri di riconsiderare attentamente i Bandi di cooperazione, a partire da quello emesso nei mesi scorsi nell’ambito degli accordi con Israele».

Ricordiamo che la Commissione per l’Etica della Ricerca e della Bioetica del CNR nel 2016 per quanto riguarda il dual use raccomanda ai ricercatori di valutare con estrema attenzione i possibili usi propri e impropri dei risultati delle ricerche, auspicando una formazione continua rispetto a tale uso per far crescere nella comunità scientifica la capacità di formulare un codice di condotta che includa l’attenta valutazione del potenziale dual use delle proprie ricerche.

Cosa dovremmo fare noi cittadini se non ringraziare e sostenere i due Atenei che restituiscono dignità alla ricerca scientifica?


 

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