Il grido dei feriti e dei morti: Fine della guerra! Porre fine alla guerra!

Robert C. Koehler

È tempo di rompere il ciclo e ascoltare il grido dei feriti e dei morti. Questo significa vivere i nostri valori, non sfidarli.

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“Sto implorando il mondo: fermate tutte le guerre, smettete di uccidere le persone, smettete di uccidere i bambini. La guerra non è la risposta… La guerra non è il modo per risolvere le cose. Questo Paese, Israele, sta vivendo un orrore. E so che le madri di Gaza stanno vivendo l’orrore…”

Posso solo inginocchiarmi in lacrime.

Sì, c’è sanità mentale nel mondo – sanità morale – anche e soprattutto ora, mentre la vendetta infuria in Israele, alimentata dagli armamenti americani. Ci sono voci coraggiose che chiedono non solo la “pace”, intesa essenzialmente da gran parte del mondo come niente di più di un cessate il fuoco, ma anche, oh mio Dio, compassione, guarigione, amore. Il “nemico” è umano quanto noi! E fare la guerra contro il nemico non garantisce altro che… una guerra infinita.

Le parole sopra riportate sono quelle di Michal Haley, il cui amato figlio è stato ucciso da Hamas, che ha gridato in un video su Facebook:

“Nel mio nome, non voglio vendetta”.

Forse la cosa più importante è che non è sola. Molte persone coraggiose in tutto il pianeta stanno parlando contro l’attuale guerra – l’attuale genocidio – dalle loro anime ferite, chiedendo che la razza umana trascenda il suo impegno verso la violenza, il dominio e la vendetta, che non fanno altro che perpetuare la carneficina. La guerra è uguale al suicidio.

È anche seducente e lucrativa, ed è integrata nell’infrastruttura geopolitica del pianeta. Ed è così semplice: il bene contro il male. È una grande narrazione, a cui molti media si abbandonano. Trascendere la mentalità della guerra richiede di affrontare la vita a un livello di complessità molto più profondo, iniziando, forse, con la comprensione che tutta l’umanità e tutta la vita sono collegate. La maggior parte delle persone lo sa, ma l’oscura psicologia della disumanizzazione – “l’alterità”, la creazione di un nemico da incolpare per i nostri problemi – mantiene un posto di rilievo nella mente collettiva.

Trascendere questo aspetto potrebbe essere la sfida più grande che dobbiamo affrontare. È fondamentale capire che questa sfida è in corso. L’accusa del Sudafrica alla Corte internazionale di giustizia, secondo cui Israele sta commettendo un genocidio contro la Palestina, ne è un esempio.

Come scrivono Craig Mokhiber e Phyllis Bennis: Il caso “ha aperto una crepa in un muro di impunità vecchio di 75 anni, attraverso il quale ha iniziato a brillare una luce di speranza. Se le proteste globali riusciranno a cogliere il momento per trasformare questa crepa in un portale più ampio verso la giustizia, potremmo vedere l’inizio di una vera responsabilità per i colpevoli, di un risarcimento per le vittime e di un’attenzione alle cause profonde della violenza, a lungo trascurate: colonialismo, occupazione, disuguaglianza e apartheid”.

Ma la sfida del Sudafrica è solo una parte dell’indignazione globale contro la guerra di Israele contro la Palestina. La sfida va oltre il semplice cessate il fuoco. È anche un grido di trascendenza. Per esempio:

“Condanniamo i recenti attacchi contro i civili israeliani e palestinesi e piangiamo questa straziante perdita di vite umane. Nel nostro dolore, siamo inorriditi nel vedere la lotta all’antisemitismo usata come pretesto per crimini di guerra con dichiarato intento genocida”.

Questo è quanto emerge da una lettera aperta al mondo, firmata da diverse migliaia di scrittori, artisti e attivisti ebrei, in cui si dichiara che la condanna del massacro dei palestinesi è l’opposto dell’antisemitismo. La lettera prosegue:

“Troviamo che questa tattica retorica sia antitetica ai valori ebraici, che ci insegnano a riparare il mondo, a mettere in discussione l’autorità e a difendere gli oppressi dagli oppressori. È proprio a causa della dolorosa storia dell’antisemitismo e delle lezioni dei testi ebraici che sosteniamo la dignità e la sovranità del popolo palestinese. Rifiutiamo la falsa scelta tra la sicurezza degli ebrei e la libertà dei palestinesi; tra l’identità ebraica e la fine dell’oppressione dei palestinesi. Crediamo infatti che i diritti degli ebrei e dei palestinesi vadano di pari passo. La sicurezza di ciascun popolo dipende da quella dell’altro”.

Oh mio Dio, questo è ciò che conta: la cessazione della spoliazione della religione dai suoi valori più profondi e la sua trasformazione in un gioco di dominio. La mia religione è migliore della tua! Siamo in una fase della nostra esistenza in cui dobbiamo iniziare a disarmare l’odio e la paura e ad affrontare il futuro con – si potrebbe dire – una compassione potenziata. Dobbiamo iniziare a vivere i nostri valori più profondi, non semplicemente a “difenderli”. Questa è la sanità morale.

E le voci delle persone che lo dicono con la più coraggiosa chiarezza sono quelle che sono state ferite o che hanno perso i loro cari a causa della follia morale che continua a colpire il nostro mondo.

Ecco un’altra di queste voci, una delle tante citate da Orly Noy nella rivista +972. Le parole sono quelle di Maoz Inon, i cui genitori sono stati uccisi nell’attacco di Hamas del 7 ottobre: “I miei genitori erano persone di pace… La vendetta non riporterà in vita i miei genitori. Non riporterà in vita nemmeno gli altri israeliani e palestinesi uccisi. Farà l’opposto… Dobbiamo rompere il ciclo”.

Sì, sì, sì! Per favore, per favore, per favore! È ora di rompere il ciclo. Mi rivolgo a Joe Biden e a tutti gli altri. Non basta dire a Israele di “stare attento” quando usa le nostre bombe, per cercare di evitare di uccidere (troppi) bambini.

È ora di rompere il ciclo. Questo significa vivere i nostri valori, non sfidarli. Significa smettere di fare la guerra.

Il grido dei feriti e dei morti

Foto Marius Arnesen | Kids, Gaza CC BY-NC 2.0


Fonte: Common Dreams, 13 gennaio 2024

https://www.commondreams.org/opinion/when-will-the-war-in-gaza-end

Traduzione di Enzo Gargano per il Centro Studi Sereno Regis


 

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