Grandi Opere: la Val di Susa non è cosa per giovani

Roberto Mairone

In un articolo, pubblicato da «L’Espresso» del 19 aprile 2023 dal titolo Grandi opere, cemento, turismo di massa: l’Italia guarda sempre al passato, Loredana Lipperini sosteneva che “i progetti e i cantieri eterni devastano il nostro Paese a scapito delle generazioni più giovani”.  Per l’autrice l’Italia è un paese che guarda indietro, che rimpiange i bei tempi che non tornano. Un paese il cui passatismo impregna la “mentalità di chi ritiene che il futuro si identifichi con il turismo al galoppo sulle grandi opere, e dunque con la cementificazione ulteriore di un Paese già saturo”.

Coloro che in Italia vedono il futuro attraverso i filtri del passato hanno i nomi di tutti quelli che, “solo tra il 1995 e il 2006 hanno sigillato un territorio grande poco meno dell’Umbria, in un inarrestabile processo che oggi trasforma in cemento 8 metri quadrati di Italia al secondo” (Tomaso Montanari).

Questo meccanismo, mosso da passatismo, suggestioni, noncuranza e sprezzo dei limiti dello sviluppo, è sembrato essere il fil rouge sotteso alla conferenza stampa indetta dall’amministrazione della città di Susa per presentare il gruppo di lavoro nato a difesa della stazione internazionale per il TAV sul territorio comunale. Spiccava con particolare evidenza l’età dei componenti del gruppo di lavoro: circa le sorti future di un territorio e delle generazioni che lo abiteranno, l’amministrazione segusina ha scelto di schierare una “gerusia” di esperti, senz’altro meritevoli di ogni rispetto in quanto anziani.

Accettando dunque che si voglia riconoscere ad una generazione il potere di assumere decisioni che ricadranno, nel bene e nel male, su quelle future, rimangono tuttavia dei dubbi sugli effetti delle decisioni stesse e di quanto il loro peso, a posteriori, possa legittimarle. La presentazione degli esperti “con un altissimo profilo di competenze” (così li ha presentati il sindaco di Susa, Pier Giuseppe Genovese) è consistita in un lungo elenco di ciò che ciascuno ha contribuito a costruire, dalle opere per i campionati del mondo di sci del 1997, a quelle di Torino 2006, fino a EXPO 2015. In pratica un elenco di opere in disuso e abbandonate!

Sebbene sia legittimo scegliere di presentarsi attraverso ciò che si è fatto nella propria vita professionale, è questa continua tensione a “costruire”, ad ignorare i limiti fisici dell’esistente, che trasforma il turismo in Italia nella ricerca di ciò che ancora rimane, di ciò che una grande opera ha risparmiato o non ha ancora cancellato. Con i piedi ben piantati nel passato le uniche tensioni verso il futuro si riducono a vuoti slogan, a suggestioni e promesse, in vista di un fideistico progresso.

In un mondo che cambia drammaticamente giorno dopo giorno, lancinato da guerre e chiamato a fare i conti con la crisi climatica e con i suoi tragici effetti, accapigliarsi sul luogo dove costruire una stazione ferroviaria dovrebbe essere secondario. Il dubbio sull’effettiva necessità di costruire una nuova linea ferroviaria AV fra Torino e Lione è espunto dall’ordine del giorno, sebbene una componente del gruppo di lavoro, ancora nel 2005, poneva le basi dei suoi futuri successi elettorali con una propagandata opposizione all’opera. La via di Damasco è costellata di ripensamenti!

Mentre gli esperti parlano di “sviluppo integrato”, di “un’opportunità straordinaria per lo sviluppo epocale”, di “grande suggestione”, di “moderna visione turistica e trasportistica”, della stazione di Susa come il Guggenheim Museum di Bilbao, di “fregature” messe in atto da chi vorrebbero spostare la stazione internazionale a Bussoleno, altri temi vengono colpevolmente taciuti. Sono i temi scomodi della crisi climatica, dei danni ambientali, della crisi economica, della crisi idrica, degli impatti che i cantieri avranno per decenni sull’intera Val di Susa, sul deprezzamento degli immobili, sull’inquinamento e sulla qualità della vita nell’area più militarizzata e cantierizzata d’Italia. Sfiorando il ridicolo quando si afferma che ci sono le forze dell’ordine perché ci sono i NoTav: dove la ragione non riesce a difendere un’opera e i suoi cantieri, ecco convocate le forze dell’ordine per bastonare gli oppositori!

Il punto più basso della discussione degli esperti agées è stato toccato quando si sono prodigati a spiegare scolasticamente ai dummies presenti che i turisti, provenienti da tutto il “globo terracqueo”, giungeranno prima a Torino, e poi (ad Alta Velocità!) alla stazione internazionale di Susa dove troveranno (udite, udite) degli autobus pronti a condurli fin sulla porta degli alberghi in Alta Valle. Se questa non è Innovazione…?!

Non solo. In difesa della stazione internazionale di Susa ci sarebbe la narrazione di un’opera “tutto sommato piccola”, circondata da un parco fluviale, collegata con le terme: una sorta di unicum turistico che attrarrà sia i turisti che i valligiani. “Qui si sogna in grande!” (come ha detto la consigliera Gemma Amprino).

Se poi, a pochi chilometri dalla stazione, nel cuore della montagna verrà costruito un centro di ricerca di fisica nucleare del CERN per sfruttare il “silenzio cosmico” (l’hanno detto per davvero!), ecco che la Valle avrà dato il suo contributo anche alla scienza, per la felicità di chi già da ora sogna in grande.

Confrontare una tale lectio magistralis con le innumerevoli e così coinvolgenti comunicazioni dei tecnici NoTav è stata un’esperienza imbarazzante, per dislivello di contenuti e approfondimenti: sia sul piano degli argomenti tecnici che sul modo di esporli, gli oppositori all’opera vincono a mani basse.

Non è mancato l’accorato messaggio del supporter politico alla grande opera (On. Fregolent Silvia); né lo spettatore che, nella commozione generale, si è enfaticamente lanciato nell’agiografia di Mario Virano, “uomo del dialogo e del fare”, novello Cavour cui si intende intitolare la futura Stazione Internazionale.

Non solo Virano. Anche Mino Giachino, settuagenario membro d’onore del Consiglio degli anziani SiTav, è stato presentato come colui che “ha salvato la Tav”, colui che rappresenta la maggioranza sul fronte del “fare”, che può salvare la città di Susa (e la valle intera) dalle fregature di un Paolo Foietta, come del sindaco di Bussoleno (rigorosamente al maschile, sebbene si chiami Antonella Zoggia).

Qualcuno dal pubblico è intervenuto richiamando l’attenzione sull’impatto negativo che un cantiere decennale ha avuto sul proprio territorio comunale (per esempio a Chiomonte). Qualcun altro ha timidamente invitato a considerare i crescenti livelli di inquinamento, la crisi idrica… senza alcune risposta dagli esperti, forse non erano stati avvisati dell’eventualità di voci discordanti e non avevano pronte le slides.

Dopo aver evocato lo spauracchio della rapida saturazione della linea storica (170, 180 convogli al giorno, ha ricordato Genovese), rinnovato il sostegno alla costruzione del tunnel dell’Orsiera, auspicato la disponibilità di qualcuno a stendersi sui binari (per rivendicare il “diritto” di veder costruita la stazione internazionale nella “piana che appartiene a Susa”, sic!) si è giunti a conclusione della riunione durata un’ora e mezzo, non si sa con quale scopo o possibili conclusioni. Vero è che in trent’anni non esiste ancora nulla che assomigli ad una ferrovia.

In estrema sintesi, se gli oppositori all’opera (quelli che secondo un “modesto” imprenditore alberghiero dell’alta valle hanno “un secondo fine o sono corti di cervello”) vedono la stessa come un dramma, come una tragedia che incombe sul futuro della Valle, c’è chi riesce e trasformarla invece in un’opera buffa riducendo, sminuendo, sottacendo il problema. Resta il fatto che la questione-TAV in Val di Susa è riuscita a dividere, a creare schieramenti opposti e con visioni inconciliabili. Gli agitati tentativi delle amministrazioni di ridicolizzare l’opposizione del movimento NoTAV e di accaparrarsi pezzi della grande opera, non potranno certamente contribuire a sanare le ferite, né ricucire le divisioni.

In questo vuoto, in cui le idee non possono trovare conciliazione, resta padrona la generazione di quelli che decidono rispetto a quella che, non potendolo fare, se ne va alla ricerca di un altrove. Per andarsene da questo paese bastano le idee, non serve un treno ad alta velocità.

Rimarranno gli anziani a guardia dei cantieri?

Foto di copertina: Si tratta della stazioncina Seiryu Miharashi Eki: senza entrata, né uscita, né biglietteria, niente negozi, bar, neppure un ‘drink dispenser’, è stata inaugurata il 17 marzo nella prefettura di Yamaguchi nel sud del Giappone, e si ferma in un punto particolarmente panoramico lungo il fiume Nishiki. Chi scende non può andare da nessuna parte, non esiste alcun sentiero per raggiungere il più vicino abitato, per andarsene bisogna aspettare il treno successivo. La paroletta-chiave per capire il senso di questa ‘stazione-fantasma’ è Eki, che significa ‘piattaforma panoramica’, con l’unica utilità di godersi il paesaggio per chi ne ha voglia, ha tempo da perdere, o semplicemente vuole rallentare la normale routine.


 

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