Spiritualità e pace
Il nostro mondo manca chiaramente di qualcosa, anzi molto, nei propri sforzi di conseguire la pace. E fra questo c’è quanto espresso dalla parola “spiritualità”, abusata all’incirca quanto la parola “pace”, proprio perché entrambe incarnano tanti nostri sogni.
Dopo tanto tempo, passato a demistificare la pace (50 Years: 25 Intellectual Landscapes Explored, TRANSCEND University Press), perché non demistificare la spiritualità?
Si tratta di vita interiore; profonda, riflessiva, anche autoriflessiva. E’ oltre il corpo, e oltre la mente, capace di riflettere sui dolori e i piaceri del corpo e, cosa più difficile, sulle forze nel profondo della nostra mente e del nostro contesto sociale. Vengono in mente Freud, Jung e Marx fra le guide; tre geni la cui spiritualità ci ha elevati a vedere in modo tale che potessimo tutti pensare, parlare, agire — in un modo nuovo. Come il Cristo, o il Buddha.
Ci rendono in grado di riflettere, e riflettere su – talora oltre – il nostre sé individuale e il nostro Sé collettivo, qualcosa di “trans”. Trans che cosa? Aldilà di che? Forse una risposta potrebbe essere oltre qualunque cosa, ossia che la stessa essenza dello spirituale è appunto andare oltre, trascendere.
Così facendo c’è uno sforzo di liberare il concetto dal solido monopolio avuto dalla religione su qualunque cosa di spirituale, mantenendone contemporaneamente il nesso, senza affatto negare l’enorme rilevanza della religione, re-ligare, riconnettere. Nessuna “deligione”, de-ligare, disconnettersi del tutto da “quel non-so-che là fuori” riuscirà mai. Ma che cos’è “quel non-so-che là fuori”?
Cominciamo con la matematica, la scienza e l’arte. Dove entra la spiritualità in queste ricerche ampiamente laiche?
Entra la spiritualità laddove un Einstein o un Picasso forgiano tempo e spazio in unioni più intime, o un matematico crea una nuova matematica con le precedenti come casi specifici. Scavalcare i numeri naturali, inventare i numeri negativi, raggiungere il concetto trascendente di integrali, è profondamente spirituale. Vuol dire elevare lo spirito al di sopra di dove si era; vedere, percepire, pensare il non-visto, il non-percepito, il non-pensato. Per Einstein lo spazio e il tempo, dalla sua altezza geniale, si erano fusi in un continuum spazio-temporale. Per Picasso una tela bidimensionale fece d’improvviso un balzo divenendo almeno tridimensionale. La spiritualità va a balzi, è rivoluzionaria, è una funzione a tratti in matematica, non continua.
Avviene più spesso certe volte che altre, più ad alcuni che ad altri. la si può imparare, ci si può addestrare. La medi[t]azione è un approccio, che sgombra la mente dalle tante supposizioni che offuscano la lavagna, rendendo pronti al balzo. La mediazione, la conoscenza mediate, è un altro, che ci fornisce di scale da arrampicare, o funi cui appendersi, sperando che invece non ci impicchino. Non si escludono a vicenda.
Avviene nell’amore, l’unione di corpo, mente e spirito; sesso, armonia, cooperazione. Davvero rivoluzionario. Il sesso come masturbazione parallela [reciproca] non è spirituale; nello spirituale c’è sempre qualcosa oltre la somma delle parti/partecipanti. L’armonia è empatia congiunta, soffrire la sofferenza altrui, gioire della gioia altrui, è aldilà del reciproco piacersi e sentirsi affini. Cooperazione non è lavorare in parallelo, fare soldi, gestire l’oikos, la casa; è un progetto congiunto per il beneficio reciproco e uguale, creare un noi, non due io. Un matrimonio apre a una spiritualità sconfinata, un’unione di tre unioni; è solo che noi poveri umani non ne siamo sempre all’altezza.
E poi c’è la religione, come lo spettro di Amleto. Sigillo della spiritualità? Sì, e no. La religione si presenta in due fogge, dura e molle, strettamente collegate a se “quel che è di Dio” sia trascendente, di lassù, come Padre Cielo, o di quaggiù, come Madre Terra; o “quel che è di Dio” sia immanente, in noi tutti. Abbiamo la sensazione di due forme di spiritualità religiosa, protesa ad elevarci all’unione con Dio là fuori, oppure all’unione con tutti gli altri permeati di spirito divino, il noi. E abbiamo la sensazione di due, forse tre, forme di salvezza dopo la morte biologica: l’unione con quel Padre nei cieli; l’unione con la Madre terra (quella contemplate nei funerali); e l’unione con quel Noi, con la Vita, la più inclusiva, con tutti gli esseri umani che sono stati, sono o saranno; o solo con il gruppo del nostro giro, la più esclusiva.
Ed infine la pace, l’altro spettro di Amleto. E posiamo avere la sensazione di un collegamento, ma non proprio semplice. Affinché la spiritualità sia una chiave per la pace dev’essere inclusiva. Può basarsi sulla religione oppure sull’anti- o a-religione. Può essere trascendente, cioè basata su qualcosa oltre noi stessi, come forze o principii superiori. O può essere immanente, basata su quel Noi, l’unità-degli-umani di cui parlava Gandhi, l’Ubuntu dei Zulu.
Ma affinché la spiritualità significhi pace, dev’essere inclusiva. Non ci riesce con un Padre trascendente che ha il suo Popolo Eletto, o magari un genere, una razza, una classe etc. A questo punto è più generosa Madre Terra: tende a riceverci tutti. E non ce la possiamo fare neppure con una divinità immanente per il solo gruppo del nostro giro.
Lo spiritual deve trascendere le nostre piccolo persone, andare oltre e comprendere tutta l’umanità e con essa pure terra e cielo.
Il che rende la religione dura un nemico della pace e la religione morbida, inclusiva sua amica. Ditemi della vostra spiritualità, e vi dirò quanta pace c’è in voi.
Questo editoriale TMS è stato originariamente pubblicato il 28 agosto 2008, #21.
EDITORIAL, 28 Aug 2023
#811 | Prof. Johan Galtung – TRANSCEND Media Service
Traduzione di Miki Lanza per il Centro Studi Sereno Regis
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