Moralismo e scientismo o Barbie e Oppenheimer. I Sacerdoti del Capitalismo (parte 1)

Mirko Vercelli

«Allorché si tratta di stivali, ricorro all’autorità del calzolaio; se si tratta di una casa, di un canale o di una ferrovia, consulto quella dell’architetto o dell’ingegnere. Per ogni scienza particolare mi rivolgo a chi ne è cultore. Ma non mi lascio imporre né il calzolaio, né l’architetto, né il sapiente.» (Dieu et l’état, Bakunin)

È spinoso avventurarsi nelle terre di chi abita l’illuminismo per usucapione, ma mi sia consentito farlo, quantomeno grazie alla mia nulla responsabilità sociale. Nessuno mi legge.

Dovremmo stilare un giorno una topografia delle contraddizioni, una cartina che tenga conto della tracotanza delle reti. Il mondo attuale è tanto complesso, stratificato e connesso che per ogni affermazione che facciamo, creiamo una contraddizione: facciamo delle cose; non siamo in grado di comprendere i risultati delle cose che facciamo.

Certo, non muoversi affatto sarebbe un colpevole errore, ma come possiamo muoverci liberamente? Finora la sinistra si è limitata ad un superficiale approccio all’individuo con l’intersezionalità post-strutturalista. Gli omosessuali subiscono una certa discriminazione, certo, ma gli omosessuali bianchi e gli omosessuali neri subiscono differenti discriminazioni. Aggiungiamo poi le differenze geografiche, culturali e di classe e iniziamo a intuire quanto possa essere difficile inquadrare un fronte intersogettivamente valido: un desiderio.

La liberazione personale e quella collettiva, tuttavia, si condizionano a vicenda, come ci insegna Gorz dai tempi di Ecologia e libertà; non si può parlare di ecologia se non in un complicato sistema di interazioni tra economia, politica e società, tecnica e ambiente naturale che serve proprio a crearlo il desiderio, non a frammentarlo. Assieme a Ivan Illich, il filosofo francese criticava profondamente l’ambientalismo sistemico, ecocentrista, in nome di una visione umanista e anticapitalista. Molto spesso ci affidiamo alla tecnica come liberazione dalle fallacie dell’ideologia per avere un fondamento comune, un desiderio che sia giusto e dimostrabile; pare che solo la scienza possa disegnarci il futuro da desiderare.

Ma l’esempio di Gorz porta in seno una lezione anche più importante: la tecnica, la scienza è uno strumento acefalo che va ideologicamente orientato. Lo scienziato non è in grado di suggerire cosa sia meglio fare. Dal momento che questo “meglio” è un valore puramente morale che solo l’ideologia può definire chiaramente. La scienza altresì è in grado di elencare quelli che crede essere i pro e i contro in un campo di expertise specifico, tocca all’uomo soppesarli e dare una risposta politica. Paiono banalità, eppure la scienza, usando ampiamente l’ideologia post-ideologica, spesse volte rivendica il diritto a governare la vita: dall’economia, l’informatica, la bioetica, l’ambientalismo alle varie scienze molli. Ma come avvertiva Bakunin in una critica al positivismo:

“[…] la scienza è la bussola della vita; ma non è la vita. La scienza è immutabile, impersonale, generale, astratta, insensibile, come le leggi di cui non è altro che la riproduzione ideale, riflessa o mentale, cioè cerebrale (per ricordarci che la scienza stessa non è che un prodotto materiale di un organo materiale dell’organizzazione materiale dell’uomo, il cervello). La vita è fuggitiva e passeggera, ma anche palpitante di realtà e di individualità, di sensibilità, di sofferenza, di gioie, di aspirazioni, di bisogni e di passioni. E’ lei sola che, spontaneamente, crea le cose e tutti gli esseri reali. La scienza non crea niente, constata e riconosce solamente le creazioni della vita.

Bakunin metteva il governo della scienza sullo stesso piano del governo dei teologi: ciechi all’individuo e alla vita. E poiché in ritardo su quest’ultima, ogni scienza è imperfetta. Amleto in apertura non asserisce semplicemente che lo spazio infinito implica l’infinitezza delle possibilità e delle ipotesi e che dunque la realtà eccede in ogni momento qualunque presente dottrina, qualunque filosofia e scienza in voga in un dato momento: è un chiaro monito contro lo scientismo.

L’esempio classico: tantissimi sostengono il nucleare (tra questi, spicca sicuramente l’indefessa community attorno all’Avvocato dell’Atomo) asserendo che sia l’unica soluzione scientificamente accettabile. Non sbagliano: probabilmente nessuno scienziato si sognerebbe di dire che il nucleare non sia l’energia più sicura e pulita per l’ambiente. La domanda che dobbiamo porci, però, è: la soluzione dev’essere accettabile solo scientificamente? Che tipo di società vogliamo creare? Ipotizziamo: un mondo con potenze economiche verticali e centralizzate che controllano risorse e distribuzione, come permetterebbe il nucleare, o un organigramma decentralizzato e reticolare, come richiederebbero tra le altre, le energie rinnovabili? Che impatto e ricadute hanno questi due diversi modelli a lungo termine? Certo, servirebbe una topografia delle contraddizioni, ma fino ad allora serve Vita che illustri l’ideologia sottostante la Tecnica, che prenda una scelta ideologica sulla base di valori umanisti e socialisti, come insegnava Gorz.

Da quest’eredità nemmeno troppo compianta, si stanno formando le teorie e le pratiche più recenti legate alla green economy. Queste nuove riflessioni cercano di superare l’atteggiamento economicista della crescita infinita in un sistema limitato, i suoi limiti scientifici, cercando di cambiare prospettiva riguardo alla natura, passando da una visione di ostacolo a una di opportunità. Tuttavia, queste teorizzazioni sembrano comunque allineate con il sistema economico e con l’espansione finanziaria globale, anzi ne sono proprio organiche. Eni, dal red carpet di San Remo, ringrazia.

Siamo già fottuti – Soccorso di Pisa

In un recente saggio intitolato Antropocene o Capitalocene?, lo storico Jason W. Moore sostiene che il capitalismo stesso non ha sviluppato un’idea di ecologia separata dalla natura, poiché il capitalismo è intrinsecamente un sistema ecologico. L’accumulo di ricchezza e la generazione di valore non si verificano solamente nella natura, ma avvengono attraverso di essa, all’interno dei complessi rapporti tra capitale, potere e ambiente, definiti come Capitalocene. Pertanto, è proprio questa organizzazione delle relazioni con la natura che richiede una decostruzione attenta per affrontare, prima che sia troppo tardi, la crisi ambientale di vasta portata che stiamo attraversando.

Al di fuori di questo, tutto è assimilabile dal capitale. Come ci dicono le teorie dei sistemi, le società fortemente industrializzate – sistemi complessi che conducono a guerre e pandemie e allo stesso tempo a progressi farmaceutici e agricoli – assorbono e integrano ogni elemento. Attualmente, è inevitabile che si cerchi una Nuova Rivoluzione Ecologica per plasmare l’ecosistema fondamentale stesso. Si legge in Altrimenti siamo fottuti di Roger Hallam, fondatore e riferimento per Extinction Ribellion: “Stavolta la ribellione non nasce da un’ideologia. È la scienza a chiederci di agire.” Non può essere di nuovo la scienza, però, a dirci come agire. Perché semplicemente non lo sa. E se lo sa, sta portando avanti degli interessi specifici che è importante palesare e analizzare. Ed è ancora peggio quando la velleità scientifica si estende in territori che non le appartengono o che, peggio, non riesce a governare, come accaduto con l’antropologia coloniale o l’eugenetica. A ben vedere, monopolizzando la scienza, gli studiosi formano una casta a parte che offre effettivamente molte analogie con quella dei preti e che fa corrispondere al “giusto” del riproducibile, il “giusto” della morale. E se il popolo deve guardarsi dal governo dei sapienti, a maggior ragione deve premunirsi contro quello degli idealisti ispirati che si spacciano per sapienti.

Wondrous Strange

All’interno dell’ideologia post-ideologica verocentrista, l’ecologia e il femminismo vengono considerati bipartisan l’idea di bene, di purezza divina illibata, ma ogni cosa che decidiamo di fare, per la relazione di contraddizioni delineata all’inizio, vuol dire stravolgere dall’altra parte del mondo vite, culture ed economie; non si tratta semplicemente di intuire l’uragano che scatenerà il nostro battito d’ali; l’Impero di Negri in questo senso era per molti una facile consolazione, dava l’idea di un sistema unitario che, unitariamente, si poteva decostruire.

Ma quello che a noi si mostra è solo una delle tante manifestazioni del capitale, capace di occultare  i legami, le connessioni, del suddetto Impero. E molto spesso quando ci attiviamo, lo facciamo proprio verso queste maschere. Che, seguendo la domanda di mercato, hanno perso la forma del folklore popolare per diventare nuove figure mitologiche alle quali ricorriamo per giustificare eventi nefasti o alle quali appellarci nella speranza di una salvezza. Poteri forti, casta, medici, scienziati.

E il culto sviluppato negli ultimi decenni nei confronti dei tecnici è uno dei più interessanti. Il sacerdozio del capitale, il culto del post-ideologico, qualcuno che contemporaneamente detiene la verità e non è schierato politicamente: nella pisside della scienza una verità perfetta. Un’illusione che forse ci ha fatto comodo per troppo tempo e che cerca sempre di più di conquistare il nostro immaginario: di qui la ricerca ossessiva di egemonizzare l’informazione, i mezzi di comunicazione e perseguire e demonizzare l’eretico.

Barbienheimer

In questo senso è interessante guardare a due film che si sono imposti all’empasse generalista come non succedeva da tempo. Certo, come con ogni fenomeno mediatico, già si sta dissolvendo la sua brevissima eredità culturale, ma li possiamo comunque considerare due sintomi degni d’analisi. Barbie e Oppenheimer. Il primo, un operazione commerciale progressista ironica e intelligente; il secondo, un film elegantissimo dalle velleità storiche sullo scienziato direttore scientifico del Progetto Manhattan. Due fandom diametralmente opposti si sono schierati in rete e addirittura scontrati molti prima che uscissero le pellicole egemonizzando i social per almeno un mese: da una parte la libleft pop, dall’altra l’alt-right elitaria. Eppure, in un certo senso, queste due fazioni rappresentano il gregge del medesimo clero.

Il moralista liberale ed il tecnico post-ideologico sono i sacerdoti rispettivamente della democrazia e del capitalismo.

Che l’idea possa e debba emanciparsi dall’ideologia per presentarsi come legittima, è ormai realtà fondativa dell’eterno presente. Ed è così che un film come Barbie riesce a vendersi come avanguardia progressista, una sostituzione di cliché per quella che Zizek ha chiamato “la più affidabile misura del progresso”. La rivoluzione non è più dimostrare che un altro mondo è possibile, quanto che è il nostro ad essere impossibile: “è qui che Barbie e Ken falliscono, perché capiscono che non solo esiste una realtà brutale fuori da Barbie Land, ma la loro terra utopica ne fa parte e serve a legittimarne gli aspetti peggiori.” Non è una novità che siamo in un periodo in cui la produzione culturale mainstream è fatta per la maggioranza di remake e sequel, ma c’è di più della retromania di cui parlava Reynolds.

La nostra mancanza di immaginazione, di creatività nei riguardi del nostro passato e conseguentemente del nostro futuro denunciata a lungo da Graeber rappresenta in un qualche modo la nostra personale diskrepanzphilosophie, ma in positivo. Non possiamo immaginare ciò che è già possibile, ciò che è stato possibile in passato e ciò che potrebbe esserlo tra qualche anno perché  solo la scienza e la storia governano lo spazio del possibile e nel mentre, deleghiamo il compito di inventare e immaginare alle intelligenze artificiali: estensioni della tecnica, quindi non ideologiche, quindi giuste. Un occultare l’umano alla ricerca della perfezione inumana. Un capolavoro. Ed è per questo che una delle prime attività svolte dall’alt-right con ChatGPT è stata proprio testare i suoi valori per vedere se stesse promulgando un agenda liberale o se invece fosse stata programmata per essere oggettiva (come si può rispondere oggettivamente ad una domanda come: le donne dovrebbero avere gli stessi diritti degli uomini?). Cerchiamo l’oggettivo come un feticcio, un dildo con cui masturbarci e una volta che lo abbiamo trovato, lo difendiamo con i dogmi della morale.

Liberati dalla noia e dal pericolo, ma anche dalla contraddizione – niente è più semplificante del polarismo giusto/sbagliato- , le nostre fantasie si atrofizzano. Riprendendo ancora Anders, l’essere padroni del futuro, nella fattispecie dell’Apocalisse, ci assurge finalmente al ruolo di dei. E un Dio che tutto ha creato non deve più pensare a niente, il mondo sta in piedi da sé. E diventa inutile nello stesso modo in cui tramite il lavoro l’uomo crea i prodotti che lo rendono superfluo. La discrepanza (gefälle) tra le aspirazioni umane e la capacità di realizzarle suggerisce un ulteriore significato del concetto di “antiquatezza” dell’umanità. Secondo Anders, l’uomo è anche obsoleto nel suo modo di pensare e immaginare, incapace di tenere il passo con le proprie creazioni tecnologiche. Ci ritroviamo così ad essere obsoleti rispetto all’umanità del passato perché abbiamo dimenticato ciò che siamo stati in grado di fare e rispetto all’umanità del futuro perché non sappiamo cosa stiamo creando. Da che parte andare? Ci ritroviamo a giocare un ruolo ingiurioso.

Eppure nemmeno per Anders la tecnica è neutrale, anzi, rappresenta una precisa ideologia nella maniera in cui la si usa. Si forma un ciclo in cui le condizioni economiche, sociali e politiche guidano lo sviluppo tecnologico, che a sua volta modifica queste stesse condizioni. La tecnologia diventa un attore attivo nella storia. Tuttavia, non riconosciamo quasi mai il potere strutturale delle nostre creazioni, e ci sentiamo impotenti nel fronteggiare i vincoli pratici ed etici che ne derivano, portando a un senso di profonda alienazione. Chi afferma “i social sono solo uno strumento, conta l’uso che se ne fa” è come se affermasse che una pistola potrebbe avere altri usi al di fuori di quello di uccidere.

Ora sono diventato Morte, il distruttore di mondi” afferma Oppenheimer citando la Bhagavadgītā. Nella profonda alienazione, anche lo scienziato non riesce a reggere l’orrore della società introdotta dalla scienza e si rifugia nella metafisica spirituale. Questo vuoto fondativo che trova conferme nella distruzione totale parimenti alla creazione atea (e nello sviluppo non ideologico)  misura l’insensibilità delle persone nello stesso modo in cui per Nietzsche si misurava il valore di un uomo: dalla quantità di verità che si è capaci di reggere.

Ed è così che sempre più parti del mondo sono confinate in un ambito del pensiero privo di riflessione, del non detto, del non concepibile. Ormai questi argomenti sono trattati da coloro che, alla fine, consideriamo anche noi individui ignoranti e superficiali, che osano mettere in dubbio il nostro oggettivo: gli eretici.

D’altra parte, nella dittatura post-ideologica liberale, dall’alto del castello dei vampiri di cui parla Mark Fisher, è facile portare avanti la caccia alle streghe. È qui che entra in ballo il sacerdote moralista.

“Il Castello dei Vampiri si nutre dell’energia, delle ansie e delle vulnerabilità dei giovani studenti, ma soprattutto vive trasformando le sofferenze di particolari gruppi – più “marginali” sono, meglio è – in capitale accademico. Le figure più lodate del Castello dei Vampiri sono quelle che hanno individuato un nuovo mercato della sofferenza: chi riesce a trovare un gruppo più oppresso e soggiogato di qualsiasi altro sfruttato in precedenza si troverà promosso molto rapidamente tra i ranghi.”

“Mentre in teoria sostiene di essere a favore della critica strutturale, in pratica non si concentra mai su nulla se non sul comportamento individuale. Alcuni di questi tizi della classe operaia non sono molto ben educati, e a volte possono essere molto rudi. Ricordate: condannare gli individui è sempre più importante che prestare attenzione alle strutture impersonali. La classe dirigente vera e propria diffonde ideologie individualiste, pur tendendo ad agire come una classe. (Molti di quelli che chiamiamo “complotti” sono esempi di come la classe dirigente mostri la propria declinazione di solidarietà di classe). Il Castello, in quanto servitore-zimbello della classe dominante, fa il contrario: rende a parole un servizio alla “solidarietà” e alla “collettività”, mentre agisce sempre come se le categorie individualiste imposte dal potere reggessero davvero. I membri del Castello dei Vampiri, piccoli borghesi fino al midollo, sono intensamente competitivi, ma questo viene represso nella maniera passivo-aggressiva tipica della borghesia. Ciò che li tiene insieme non è la solidarietà, ma la paura reciproca – la paura che saranno i prossimi ad essere smascherati, esposti, condannati.”

L’identitarismo è una delle dottrine della sinistra liberale. Esistono delle identità in un miscuglio non bene specificato tra cultura e scienza e bisogna conoscerle, classificarle, ma soprattutto dividerle. L’attività del castello consiste nel denunciare un ovvio irriducibile per mantenere ardente la fiamma dell’indignazione: il capitale agisce da capitale (e non ci piace!), gli apparati statali repressivi sono effettivamente repressivi (ancora peggio!); serve quindi mettere al rogo chiunque non se ne stia accorgendo.

Barbie è un film intelligentissimo perché è molto chiaro su quello che si deve prendere sul serio o meno. Nonostante questo è pensato proprio per far si che la sinistra lo prenda terribilmente sul serio. Il peso della sollevazione e indignazione della libleft per i maschi infastiditi dal film di Barbie è stato estremamente maggiore di quest’ultima ridottissima minoranza, della quale quasi si fatica a trovare traccia. Credo che il miliardo al botteghino in meno di un mese sia abbastanza eloquente, ma lo chiede l’imperativo divino della morale e quindi bisogna cacciare le streghe. Life in plastic it’s fantastic.

È cruciale respingere l’identitarismo e accettare che le identità non esistono, ma piuttosto ci sono desideri, interessi e identificazioni. Eppure per Fisher questa è proprio una delle regole del castello:

“Mentre la fluidità dell’identità, la pluralità e la molteplicità sono sempre rivendicate a nome dei membri del Castello – in parte per coprire il proprio retroterra invariabilmente benestante, privilegiato o borghese-assimilazionista – il nemico è sempre da essenzializzare. Poiché i desideri che animano il Castello sono in gran parte i desideri dei sacerdoti di scomunicare e condannare, ci deve essere una forte distinzione tra il Bene e il Male, con quest’ultimo essenzializzato. Notate la tattica: X ha fatto un’osservazione/si è comportato in un modo particolare – queste osservazioni/questo comportamento potrebbe essere interpretato come transfobico/sessista, ecc. Finora, tutto bene. Ma è la prossima mossa ad essere il calcio d’inizio: X viene poi definito come transfobico/sessista ecc. La sua intera identità viene definita da un’osservazione mal posta o da un errore comportamentale. Una volta che il Castello ha adunato la folla per la sua caccia alle streghe, la vittima (spesso proveniente da una classe operaia, e non istruita dal galateo passivo-aggressivo della borghesia) può essere spinta in modo efficace verso la perdita della calma, assicurandosi ulteriormente la sua posizione di pariah/ultimo, al fine d’essere consumato nella frenesia famelica.”

La struttura di classe è un sistema che arreca danni a tutti, anche a coloro che ne traggono benefici materiali. Forse non vogliamo ammetterlo nemmeno a noi stessi, ma gli interessi della classe lavoratrice sono interessi comuni a tutti (ma come, non dobbiamo effettivamente mangiare i ricchi?); gli interessi della borghesia coincidono con quelli del capitale, che a sua volta non rappresenta gli interessi di nessuno. La nostra lotta deve puntare alla creazione di un mondo nuovo e innovativo, anziché alla conservazione di identità distorte dal dominio del capitale. Eppure il sacerdote della morale predica che tu sei questo o quello; che devi conoscere la tua personalità (ci sono dei test online gratuiti se vuoi), la tua identità; la tua razza (che per ripetere la storia con meno tragedia, chiameremo “comunità”) e combattere l’oppressore, non le sue azioni. Ora le carte di identità da mostrare alla Stasi sono le nostre bio di Instagram. Con la differenza che non le occultiamo ad un confine in un cesto di vimini, ma le performiamo, le mostriamo con orgoglio ancora prima del nostro nome: età, nazionalità, appartenenza, preferenze sessuali, identità, credo, lavoro.

Alla fine del film ogni Barbie chiede al signor Mattel come vuole essere venduta, basandosi su molte delle richieste della classe medioborghese.

“Vorrei essere solo una donna normale che vuole arrivare a fine giornata sentendosi a suo agio con sé stessa” chiede una Barbie che riflette evidentemente una proletaria.

“Ma è terribile” risponde l’azienda.

“Ma ci farà fare soldi”

“Perfetto, Barbie ordinaria, è fantastico”.

Nell’apogeo performativo puoi essere chi vuoi, anche qualcuno che si rifiuta di performare, l’importante è non fare un ragionamento di classe che impedisca all’azienda di guadagnare.

Al di fuori di questo, c’è solo l’eresia.

E il corpo dell’eretico, per definizione, non ha diritti: è quindi legittima qualsiasi persecuzione fisica o ideologica. Si è visto molto bene nella pandemia e lo si vedrà altre mille volte. La posa altezzosa dei compagni, la facilità con cui assegnano etichette e, molto spesso, con cui prendono una posizione acriticamente opposta a quella delle destre, pur di non dire le stesse cose. In un periodo in cui si rinnegano le ideologie e si è incapaci di ragionare oltre la superficie, ci si allea con strani compagni di letto e la differenza va mantenuta in vita artificialmente.

La Chiesa resta la Chiesa, pur con l’Inquisizione e le torture, l’eretico resta l’eretico, pur con un vangelo di pace in mano. Perché fuori dalla Chiesa non esiste peccato e questa è l’anarchia del potere pasoliniana. In difesa dei dogmi, resta solo scegliere se difenderli perché giusti moralmente o giusti scientificamente; Barbie o Oppenheimer.

Continua nella parte 2


 

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