Il disdettatore. E se l’Italia disdettasse la Fiat? – Pietro Polito

Quando ho letto la notizia ieri sui vari giornali mi è venuto in mente Tempi moderni (1936) di Charlie Chaplin: ricordate Charlot che impazzisce al ritmo forsennato della catena di montaggio?

Con la firma del nuovo contratto senza la FIOM, l’eroe dei due mondi c’è l’ha fatta: è riuscito a ridurre i “suoi” operai a macchine, macchine tra le macchine, appendici delle macchine, che come le macchine possono essere aggiustate, sostituite, rottamate, buttate via, quando proprio non servono più.

Quello sancito ieri con la firma dei sindacati del “si”, e con la colpevole distrazione della sinistra che c’è, è l’ultimo atto di una spregiudicata carriera di disdettatore iniziata con la disdetta del contratto nazionale dei metalmeccanici, a cui seguita quella di Confindustria , poi quella dell’Associazione nazionale italiana costruttori di automobili, infine giungerà la disdetta dell’Italia.

Prendiamo, per esempio, il piano “Fabbrica Italia”, lanciato con lustrini e paillette nell’aprile 2010. Ebbene non molto tempo fa, esattamente lunedì 24 ottobre 2011, a Roma, davanti all’Unione Industriali, il disdettatore ha rivelato che quel piano “era, e continua ad essere, semplicemente un indirizzo”.

Il disdettatore dice tante cose. Come un altro eroe, che pare uscito di scena, si contraddice, a volte non ricorda , dimentica quel che dice. Non sappiamo con certezza se abbia mai pensato o ci abbia già comunicato la disdetta dell’Italia. Per cui, prima di procedere nel ragionamento, a futura memoria, riporto da “La Stampa”(fonte non sospetta) del 17 novembre 2011 questo breve trafiletto: “«Non penso che si potesse scegliere una persona migliore». Dagli Stati Uniti Sergio Marchionne saluta con favore il varo del governo Monti. Per l’ad di Fiat e Chrysler, il primo ministro «ha credibilità internazionale». Per l’azienda, ha spiegato Marchionne «stabilità e governabilità» sono fattori decisivi nella scelta della sede. «Questo non è per dire che l’attuale situazione ci costringerà a trasferirci dall’Italia. Non è nostra intenzione ma mentirei se dicessi che non ho guardato al di fuori dei confini nazionali». Adesso il Paese deve effettuare «scelte difficile»”.

Intenda chi vuole intendere.

In realtà, il disdettatore sembra muoversi secondo una logica apparentemente bizzarra, invece ha un piano e uno scopo preciso. Fiat si crede lanciata nella costruzione di un grande gruppo internazionale e pertanto “non può permettersi di operare in un quadro di incertezza e con condizioni troppo diverse da quelle che esistono in tutto il mondo”.

Bene (si fa per dire)! Prendiamo sul serio il disdettatore.

Gli economisti in particolare lo prendano sul serio, provando a domandarsi: “E se l’Italia disdettasse la Fiat?”. E ancora: “Se l’Italia non serve alla Fiat, la Fiat serve all’Italia?” Aggiungerei un’altra domanda: “ Se l’Italia è un freno per gli interessi di Fiat, Fiat non è un freno per gli interessi del Paese?”.

Parliamone … ironizzava Giorgio Gaber, ma parliamone sul serio.

Da cittadino italiano che vive e lavora a Torino, che ha studiato Gobetti e Gramsci, penso che la Fiat che è servita al Paese è la Fiat descritta nelle loro pagine, conflittualmente ma mai con spirito anti-italiano.

Penso per esempio alla grande fabbrica descritta da Gobetti che in visita alla Fiat nel 1923 più che dai congegni è ammirato degli uomini: “ hanno tutti un atteggiamento di dominio, una sicurezza senza pose, e pare che in noi vedano dei dilettanti ridicoli da considerare con disprezzo. Hanno la dignità del lavoro, l’abitudine al sacrificio e alla fatica. Silenzio, precisione, presenza continua; una psicologia nuova si tempra a questo ritmo di vita: il senso di tolleranza e di interdipendenza ne costituisce il fondo severo; mentre la sofferenza contenuta alimenta con l’esasperazione le virtù della lotta e l’istinto della difesa politica. Quando Mussolini venne a cercare il loro applauso, questi operai dovettero guardarlo con il muto disprezzo che leggo adesso nei loro occhi. Essi sanno far rispettare le distanze” (“Il Lavoro”, Genova, 15 dicembre 1923)

Il dibattito sull’utilità o inutilità di Fiat per l’Italia va inserito nella discussione sulla natura del capitalismo e sul suo rapporto con il territorio. Nel momento in cui un po’ ovunque nel mondo si discute di un capitalismo sociale, responsabile, regolato, un capitalismo che non può essere abbandonato alla logica di un mercato puro, senza freni, non governato da pesi e contrappesi, la visione del capitalismo che ispira la strategia del disdettatore sembra ferma a un’età primitiva della storia del capitale e del lavoro.

Come se, dopo Marx, la critica socialista ma anche la critica liberale per non parlare della critica nonviolenta dell’economia liberale e dell’economia collettivistica fossero state invano.

 

Diario italiano. Fatti, persone, idee, valori (a cura di Pietro Polito)

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