Il potere dei senza potere

Enrico Peyretti

1. Václav Havel 2. Capitini 3. Bobbio  4. Gandhi  5. Gene Sharp   6. Democrazia 7. Vite nella verità 8. Václav Havel 9. Per chiudere la pagina

  1. Václav Havel

Questa espressione paradossale, «Il potere dei senza potere», è conosciuta come titolo del libro di Václav Havel, del 1978 (edizione italiana Garzanti, 1990), su cui ritorneremo. Vediamone un momento il significato, che – ci accorgeremo subito – è  presente in altri filoni di pensiero e di esperienze, da richiamare alla nostra attenzione in questo quaderno di Servitium, che riflette sul potere. C’è dunque un potere di chi non ha potere? Il potere, dunque, non è soltanto una condizione esclusiva di superiorità, di legittimazione, di funzione sociale, e anche di sopraffazione? Non è, per definizione, di alcuni e non di altri, e perfino di alcuni su altri? Non è ciò che divide gli esseri umani? Senza potere-forza abbiamo ancora un potere?

Viene subito alla mente una parola di David Turoldo: «Il potere di tutti è la coscienza». Ma, la coscienza,  è sempre così presente, sufficiente, sveglia, pronta, e coraggiosa? È in grado di dare davvero a tutti gli umani la possibilità di vivere in libertà, giustizia, socialità, liberi dal dominio altrui, imposto con la forza materiale e con mille strumenti di dominio raffinato, anche interiore, a condizionare o violare la coscienza? Con quali mezzi e a quale prezzo la coscienza ha il potere di mantenere la dignità e l’attività libera e responsabile della persona umana? Basta la coscienza dei diritti umani a liberare il giusto potere di vivere e di realizzarsi, oppure la coscienza deve anche competere sul piano della forza con il potere oppressivo?

  1. Aldo Capitini

Quel titolo di Havel ce ne richiama subito un altro: «Il potere di tutti» (La Nuova Italia, 1969, pp. 448), ovvero “onnicrazia”, libro di Aldo Capitini, il filosofo e animatore italiano della nonviolenza attiva di ispirazione gandhiana. Il libro ha una Introduzione ampia (pp. 9-43) di Norberto Bobbio, che termina con quella famosa espressione: «lui un persuaso, io un perplesso». A mio semplice parere si tratta di una delle cose migliori e più intelligenti che siano state scritte su Capitini, e una delle pagine più belle e alte di Bobbio [1]. Riprendo in sintesi alcune sue espressioni su Capitini: è uomo d’azione, ma non è un politico; è in colloquio serrato con i grandi filosofi, ma non scrive di filosofia; si ispira a san Francesco e a Mazzini, ma contrappone alla chiesa istituzione una religiosità fondata sulla «interiorizzazione umana della divina tragedia». La realtà è così, c’è molto male, «ma io non accetto», dice Capitini: al filosofo e al sacerdote preferisce chi vive e opera per la “tramutazione”, per la “realtà liberata”. Qual è dunque il «potere di tutti», possibile a tutti?  È la tensione verso «il regno della libertà», ed è una tensione di natura essenzialmente religiosa, di quella «religione aperta» [2] che abbraccia tutte le religioni storiche e tutte le travalica. Questa tensione vitale è il centro, contrapposto all’istituzione; il centro parte dall’intimo, è la persona singola che si apre e si protende negli altri, in tutte le relazioni sociali.

Scrive Capitini:

«Io non dico: fra poco o molto tempo avremo una società che sarà perfettamente nonviolenta, regno dell’amore che noi potremo vedere con i nostri occhi. Io so che gli ostacoli saranno sempre tanti, e risorgeranno forse sempre, anche se non è assurdo sperare un certo miglioramento. A me importa fondamentalmente l’impiego di questa mia modestissima vita, di queste ore e di questi pochi giorni; e mettere sulla bilancia intima della storia il peso della mia persuasione, del mio atto, che, anche se non è visto da nessuno, ha il suo peso alla presenza e per la presenza di Dio.

E penso: forse dovrà essere sempre così, vi sarà sempre questa lotta, questa affermazione fatta in un modo o in un altro; ma se sono veramente un persuaso religioso, in questa stessa lotta, in questa stessa affermazione, sento una serenità superiore, una presenza che mi redime dalla mia finitezza. E pur essendo vòlto infinitamente agli altri, prima del loro persuaderli – che può essere tanto difficile e impedito dal loro stesso agire o dalla mia inettitudine – l’atto religioso vale in intimo, come dedizione e come celebrazione redentiva». [3]

Questo è il potere, intimo e misterioso, che tutti abbiamo, se lo scopriamo e lo curiamo. Poi potrà riflettersi anche in forme sociali che rispettano e realizzano il valore intimo di tutti, ma il primo atto è la coscienza di questa possibilità e compito. L’utopista disegna una stupenda struttura ideale, il profeta comincia subito, qui e ora. Questo è il fondamento della nonviolenza in Capitini: la “noncollaborazione” al male, la “nonmenzogna”, sono il primo passo per la liberazione dalla morte mediante il rispetto assoluto della vita, fino al vegetarianesimo.

Bobbio ammira Capitini, ma rimane “perplesso”. Capitini è uno di quei maestri per i quali non è sufficiente il pensiero che registra la realtà, le cose come stanno, se non vede e non libera le possibilità latenti, i germogli da curare, quel “potere” non ancora attuato, che rischia di essere tradito, perduto, se non lo lasciamo agire e fermentare nell’umanità. C’è un potere di vita, non sopra e contro la vita: c’è un potere di tutti, che ha bisogno di muoversi insieme per dare frutto, ma intanto anche il singolo inascoltato e solitario deve curarlo dentro di sé e offrirlo intorno a sé. Il pensiero utopico può essere usato per fuggire dalla responsabilità presente, ma può vedere avanti, liberare da vincoli, avvicinare albe: ha un potere libero e liberante, mentre impegna ad un servizio.

A Troia solo Cassandra aveva ragione. Il profeta biblico Geremia consiglia ai concittadini del regno di Giuda, coinvolto nel conflitto tra la potenza egiziana calante e quella babilonese ascendente, di accettare il dominio babilonese per avere salva la vita. Accusato come disfattista e traditore, imprigionato, alla fine i fatti gli daranno ragione, anche se lui scompare nel gorgo. In quel dramma compare l’eterno scontro: da un lato l’assoluto orgoglioso “o vittoria o morte”, che è anche un culto della morte e dell’immediato, che sacrifica la giustizia possibile alla giustizia assoluta; dall’altro lato la custodia dell’essenziale, che è conservare la vita perché sia possibile valorizzarla cercandone via via una maggiore giustizia.

  1. Norberto Bobbio

Bobbio si diceva pessimista ma non era affatto rassegnato e rinunciatario: il suo lavoro di scavo a cercare possibilità e metodi di giustizia, di libertà, di pace, era scopritore e liberatore di possibilità che le società e la storia contengono, ma devono sapere di averle e devono imparare a usarle, alla scuola dei maestri di vita. Questo è un potere di tutti.

  1. Gandhi

Anche Gandhi vede e confida propriamente nel potere di chi non ha potere sugli altri, né più degli altri. «In questa “guerra” nonviolenta, il contributo delle donne deve essere maggiore di quello degli uomini. Chiamare le donne il sesso debole è una calunnia, è un’ingiustizia dell’uomo contro la donna. Se per forza s’intende la forza bruta, allora è vero che la donna è meno forte dell’uomo. Ma se per forza s’intende la forza morale, allora la donna è infinitamente più forte dell’uomo. Non possiede forse una maggiore capacità di intuizione, di sacrificio, una maggiore perseveranza, un maggiore coraggio? Se la nonviolenza è la legge della nostra esistenza, il futuro è delle donne».[4]   Forse queste parole possono avere oggi una risonanza nuova.

Nonviolenza, Satyagraha, è per Gandhi “forza della verità”, “insistenza e resistenza nella verità”, adesione attiva alla legge della vita: è il potere che resiste al potere violento – «l dominio è potere malato», dice Danilo Dolci – e gli risponde con la forte disobbedienza all’ingiustizia, e con atti positivi di giustizia, di ricostruzione dei rapporti, col coraggio di soffrire e anche morire, sapendo che questo è potere sano, costruttivo.

Nella lotta popolare nonviolenta, per Gandhi, donne e ragazzi hanno la stessa possibilità degli uomini. La disobbedienza costruttiva al potere ingiusto è nel potere di ogni persona cosciente della verità, e coraggiosa.

  1. Gene Sharp

Gene Sharp  (1928-2018), fondò, nel 1983, l’Albert Einstein Institution, della Harward University, per fare «avanzare lo studio e l’uso strategico dell’azione nonviolenta come alternativa pragmatica alla violenza». Era stato colpito, fin dagli studi giovanili, dalla quantità di letteratura sui conflitti violenti e militari, e la scarsità di studi sulle lotte nonviolente nel corso della storia. Impegnò la sua vita a colmare questa lacuna.

Semplice e importante è la sua teoria del potere. [5] Il concetto di fondo è che il potere non è un oggetto monolitico, perciò non passa in blocco da un detentore all’altro. Il potere dei governanti dipende dall’obbedienza dei governati. Lo Stato possiede la forza fino a quando la maggior parte dei cittadini lo consente. Già Etienne de la Boétie (1530-1563) aveva inteso la sottomissione di un popolo al tiranno come «servitù volontaria».

I governati non sanno di essere la fonte del potere, dice Sharp. La non-collaborazione all’ingiustizia e la disobbedienza civile (già insegnate e praticate da Gandhi) nell’opposizione al potere ingiusto, sono il metodo più razionale e più conveniente, che è la lotta nonviolenta. I popoli hanno in mano la “bomba no”, incruenta ed efficace. Però, per resistere e lottare così, una società deve essere non disgregata ma ricca di gruppi e istituzioni sociali (non soltanto i partiti, che forse non sono nemmeno lo strumento principale). Anche nella lotta nonviolenta possono aversi sacrifici e morti, ma sempre meno che nella rivolta violenta, e seme di nuova coscienza,

Di Sharp ha scritto Noam Chomsky  (Transcend Media Service, 12 febbraio 2018):

«Il concetto semplice ma rivoluzionario, proposto così chiaramente da Sharp, che il potere in definitiva sta nel consenso e nella cooperazione della gente comune, stimolava ogni studioso, come me, delle guerre civili  e dei conflitti violenti».

Sharp sostiene la nonviolenza per la sua maggiore efficacia rispetto alla lotta violenta.  Egli fa della nonviolenza una scienza politica, fondamento delle tecniche che descrive, cioè sottolinea il valore pragmatico della nonviolenza, la sua efficacia, prima del valore morale, che non nega. Per questo è stato anche criticato come “il Machiavelli della nonviolenza”. Egli ha istruito anche le “rivoluzioni rosa” nell’ex-Unione Sovietica, seppure di fatto utili alla potenza occidentale.[6] Gandhi però richiede che non solo i mezzi siano nonviolenti, ma anche che lo scopo e l’effetto dell’azione. Metodi non violenti possono essere usati anche per fini violenti, o di dominio: una tecnica nonviolenta come il boicottaggio dei negozi, usata inizialmente contro gli ebrei, era in realtà parte del piano di discriminazione e sterminio.

Quindi, Sharp mostra che i singoli cittadini, senza potere su altri, non sono semplici oggetti di poteri superiori, ma possono insieme, se coscienti e attivi, controllare e condizionare il potere politico centrale e correggerlo secondo i valori sociali, senza bisogno di mezzi violenti e relativi danni. Ma questa non dovrebbe essere semplicemente la democrazia?

  1. Democrazia

Infatti, democrazia è potere di tutti, compartecipato e impiegato in confronto aperto e corresponsabile, verso fini condivisi e sempre dibattuti e ripensati insieme. Sì, ma se questo potere non è sentito come proprio, se non è usato, sia nell’attività politica continua come nell’esercizio del voto, oggi in Italia gravemente assente, quale democrazia è, quale potere di tutti? Mi sembra che, nel linguaggio comune odierno, la parola democrazia è arrivata a significare, debolissimamente, la semplice non-oppressione, quindi urbanità, buona educazione, non-offesa, semplice rispetto e libertà essenziale. E il potere di decisioni e orientamento? È tutto e solo nelle scelte personali, private?

Questo crea un vuoto occupato da vari pre-potenti, da non pochi “politici per se stessi”. Guardiamo allora, adesso e sempre, la tensione e l’impegno che la Carta fondativa  della Repubblica che noi siamo, scrive, ricorda e ripropone: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese» (art. 3/2).

Dunque, il compito centrale del potere dato ad alcuni in democrazia è distribuire e restituire potere a chi ne ha in misura non pari alla dignità e realizzazione umana. Si può dire che riconoscere e liberare il potere di chi non ha potere sia il primo compito di chi ha un potere. Abbiamo visto che un potere è in tutti, sorgivo nella persona, ma deve essere, per esigenza umana reciproca, non costretto a lottare e soffrire per essere riconosciuto, tanto meno privato della possibilità di collaborare alla società. I costituenti dicono “lavoratori” dove noi ci aspetteremo “cittadini”: ma è bello, perché essere cittadini è lavorare gli uni per gli altri (art. 4/2).

  1. Vite nella verità

In un bel libro recente (Esperienze di verità. L’esempio dei grandi per orientarsi nel mondo, Gabrielli 2022), Alberto Bosi raccoglie medaglioni intelligenti, semplici e documentati, di figure della vita e della cultura, da Oriente ad Occidente, comparse soprattutto nel Novecento, capaci davvero di “orientare” la nostra vita nel mondo attuale. Sono tutte persone senza potere su altri, né politico né economico, hanno solo il potere della loro parola e vita: Simone Weil, Bonhoeffer, Krishnamurti, Gandhi, Lanza del Vasto, Panikkar, don Milani, Tolstoj, Thoreau, Schweitzer, Buber, G. Steiner, R. Williams, G. Fox, W. Penn.

Nell’opera di ciascuno di questi appare il “mistero” personale di valore umano, vitale. Di ciascuno si colgono i suoi “esperimenti con la verità” (espressione di Gandhi): più che sforzi intellettuali sono momenti di “illuminazione”, in vite dense di “attesa”, che prendono coscienza di verità che e diventano vite aperte e creative, comunicanti, come veri maestri. Verità è la forza vitale.

Questi maestri parlano a noi occidentali, presi nella crisi del progresso come unica religione, crisi della ragione stessa e dell’esistenza minacciata. Riflettono sul rapporto tra potere, umanità, violenza, e sulla natura del potere. Sono persone anche di coraggio, che è fortezza, ed è un potere vitale.

Sono quegli “eroi dello spirito” che ognuno di noi può essere, senza doti eccezionali, «purché desideri la verità e faccia un continuo sforzo di attenzione per raggiungerla» (Simone Weil). Hanno un potere che sentiamo e riceviamo. «Quando vedo la grandezza e me la rendo familiare, posso venire a me stesso» (Karl Jaspers).

Tra i temi importanti affrontati da queste persone troviamo proprio il potere: violento o vitale? Esclusivo, o possibile a tutti?  Oggi siamo di fatto interdipendenti, ma il punto è diventare capaci di essere conviventi e differenti, differenti e conviventi: questo è l’obiettivo della pace, il potere di vivere.

  1. Václav Havel

L’espressione di Havel da cui siamo partiti, «il potere dei senza potere», titolo del suo libro più noto (1990, ma iniziato nel 1978,  trad. it. Garzanti 1991), sembra voler dire, giocando col paradosso, che il potere c’è dove non c’è, o dove non si vede. C’è un potere diverso da quello vistoso, imperante.

Havel (Praga, 5 ottobre 1936 – Hrádeček, 18 dicembre 2011), fu un  politicodrammaturgosaggista e poeta ceco. Dissidente e perseguitato politico sotto il regime comunista dell’allora Cecoslovacchia, in quanto figura di spicco del movimento politico-sociale Charta 77. A seguito del graduale processo di liberalizzazione del Paese, che portò alla caduta del comunismo, Havel fu presidente della Cecoslovacchia dal 1989 al 1992, quando lo stato si dissolse in due distinte entità statali (dissoluzione a cui Havel inizialmente si oppose strenuamente), e fu poi  presidente della  Repubblica Ceca dal 1993 al 2003. Fu sostenitore appassionato della nonviolenza.  Il muro di Berlino è caduto anche grazie alla dissidenza nonviolenta guidata in vari paesi dell’Est da uomini come Václav Havel.

Scrive Francesco Occhetta che  il pensiero di Havel ci consegna almeno tre espressioni di quel “potere dei senza potere” :

  1. Il dovere della memoria : omettere questa responsabilità significa creare le condizioni per un oblio politico e sociale da cui nemmeno l’Italia è immune.
  2. La mitezza , che ha ispirato la «rivoluzione di velluto» nel 1989 e ha rovesciato il comunismo in Cecoslovacchia. Havel infatti si è rifiutato di odiare anche quando è stato rinchiuso in carcere.
  3. La ricerca della verità contro ogni tipo di menzogna, attraverso la qualità della parola .

Havel non ha mai soffocato la sua parola, nemmeno nei circa sei anni trascorsi in carcere: anzi, l’ha esaltata come drammaturgo, l’ha condivisa e resa dialogica come politico. Per Havel ogni cambiamento sociale e politico inizia dal “lavoro minuto”, dai singoli atti, soprattutto da quelli piccoli che prendono le mosse dal cambiare la (propria) storia: la ”rivoluzione esistenziale”.

«Al totalitarismo – diceva Havel– si resiste soltanto se si sceglie di scacciarlo dalla propria anima». [7]

In carcere Havel chiese in lettura il libro di un teologo tedesco: l’Introduzione al cristianesimo del professor Joseph Ratzinger.  Fino alla Rivoluzione nonviolenta del 1989 le riunioni del Forum guidato da Havel si aprivano con un Padre Nostro, anche se all’inizio quasi nessuno ne ricordava più le parole.

Traggo ancora un tratteggio della figura di Václav Havel riassumendo dal libro di Nanni Salio Il potere della nonviolenza, Ed Gruppo Abele, 1995, pp. 14, 15, 16-23). Ne Il potere dei senza potere, Václav Havel, riecheggiando il pensiero di Capitini e Gandhi, sostiene che il potere dei senza potere si fonda sulla vita nella verità:

«Nel sistema post-totalitario la vita nella verità non ha solo una dimensione esistenziale ma ha anche una dimensione politica». La verità ha, nel sistema post-totalitario, un significato particolare: gioca molto di più il ruolo di fattore di potere o addirittura di forza politica. Come agisce questa forza della verità? Questo potere non si appoggia a nessun soldato proprio, ma ai cosiddetti “soldati del nemico”, cioè a tutti coloro che vivono nella menzogna e ad ogni momento possono essere fulminati dalla forza della verità. È come un’arma batteriologica con cui, quando le condizioni sono mature, un civile può da solo disarmare una divisione intera.

Riflettendo sulla sua esperienza, Havel sostiene inoltre che: «Il principio della trasformazione violenta del sistema deve essere totalmente estraneo [ai movimenti dissidenti] proprio in quanto tale, perché punta sulla violenza». Invece, i movimenti dissidenti si caratterizzano per l’opinione contraria: il puro cambiamento del sistema è qualcosa di esteriore, di secondario, che di per sé non garantisce niente.

Una visione politica del futuro verso l’uomo concreto e la sua difesa reale, qui ed ora, si accompagna quindi all’opposizione decisa contro ogni violenza in nome di un futuro migliore. Ha una profonda sfiducia che un futuro costruito con la violenza possa essere realmente migliore e non contrassegnato dagli stessi mezzi con cui è stato raggiunto. Non si tratta di conservatorismo o di moderazione politica: «I movimenti dissidenti non puntano alla trasformazione politica violenta, non perché considerino questa soluzione troppo radicale ma, al contrario, perché è poco radicale».

  1. Per chiudere la pagina

Non si tratta solo di vedere che un qualche residuo o germinale potere è in tutti, e che è la dignità inviolabile, il “diritto sussistente” (Rosmini). Si tratta anche di fare che chi è privato del potere-possibilità di far fiorire la propria vita, abbia, riceva, gli sia restituita questa possibilità-potere. Alla Repubblica italiana, a noi cittadini italiani, è comandato questo impegno-dovere, scritto nell’art. 3. Abbiamo il dovere di dare potere. A tutti. Il diritto di voto e di parola è solo l’inizio, la forma, che ha lo scopo sostanziale di dare potere di vita. A tutti.

Ma oggi dobbiamo assolutamente chiederci: quale potere hanno le donne dell’Iran in rivolta che costa atroci dolori e vite umane? E quale potere hanno tutte le realtà umane schiacciate, vicine a noi o lontane, sepolte nel silenzio da poteri opprimenti? Il potere è reale solo quando vince? Un grido di giustizia forse non opera più se viene soffocato? Vale per il rumore e l’effetto, o per la giustizia che contiene e semina nella storia? Il potere dei senza potere, nell’eco più grande che risuona da queste parole, significa: «Beati i poveri… perché di essi…».  Allora: beati i senza potere, perché di essi è il potere di vita nella verità, se l’annuncio li raggiunge e dà forza alla loro coscienza.

Note

[1] Su Bobbio e la nonviolenza rinvio al mio Dialoghi con Norberto Bobbio su politica, fede, nonviolenza, (con trentanove lettere inedite del filosofo), pp. 256, Claudiana 2011, spec. pp. 10-11 tra molte altre.

[2] Aldo Capitini, Religione aperta, Prefazione di Goffredo Fofi, Introduzione e cura di Mario Martini, Laterza 2011 (Prima edizione 1995).

[3] Aldo Capitini, Elementi di un’esperienza religiosa, ristampa anastatica Cappelli 1990, pp. 115-116.

[4] M. K. Gandhi, Teoria e pratica della non-violenza, Einaudi 1996, p. 206.

[5] Gene Sharp, Politica dell’azione nonviolenta, vol. 1, Potere e lotta, Edizioni Gruppo Abele 1985. Capitolo secondo, La base strutturale per il controllo dei governanti.

[6] Sharp ha risposto a questa obiezione in una intervista che gli feci nel Centro Studi Piero Gobetti, a Torino, pubblicata in Rocca (rocca,cittadella.org), 1 agosto 1987, pp. 42-44, col titolo Il controllo nonviolento del potere.

[7] Da Francesco Occhetta, in Civiltà Cattolica, Quaderno 4068, anno 2019, pag. 592–601. Su Havel ha scritto di recente Stefano Cazzato in Rocca, 15 dicembre 2022 pp. 52-53. Sulla spiritualità di Václav Havel, segnalo la recensione di Nello Scavo, 26 gennaio 2010, al libro Lettere a Olga , la moglie: «Cara Olga, siamo inchiodati al paradosso fra il mondo disperato e l’Essere pieno di senso» (4 settembre 1982). Il documento mostra come Olga fu forte sostegno spirituale di Václav.

(pubblicato in forma abbreviata su Servitium, Quaderni di ricerca spirituale, n. 259, gennaio-marzo 2023)


 

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