A Iglesias la Marcia Sarda per la Pace

Daniela Bezzi

A Iglesias la XIX Marcia Sarda per la Pace: non va lasciato in pace chi fa profitti sulla guerra.

Si è svolta domenica 27 novembre a Iglesias, per iniziativa della Tavola Sarda della Pace, la XIX edizione della tradizionale Marcia Sarda per la Pace, con un programma ricco di interventi che dalle 10 di mattina fino al tardo pomeriggio ha visto sfilare circa 500 persone.

Numerose le famiglie proveniente dalle zone più diverse della Sardegna, moltissimi i bambini delle scuole primarie con le loro maestre, i giovani insieme agli anziani, gli striscioni degli anarchici o delle varie sigle della sinistra tornata ad essere extra-parlamentare (Potere al Popolo, PC, Rifondazione, CARC) insieme a quelli degli scout. E insomma, come hanno sottolineato gli organizzatori in più momenti, “è stato un ottimo risultato, per la varietà delle realtà che hanno aderito all’appello” e che hanno marciato lungo una seria di tappe significative dal punto di vista ambientale, umano, storico, sindacale e persino religioso, a partire dalla zona industriale di Sa Stoia, dove hanno sede a poca distanza l’uno dall’altro, un deposito di materiali altamente pericolosi, funzionale alla fabbrica di bombe RWM, situato appunto tra Domusnovas e Iglesias, e un impianto fotovoltaico di energia pulita.

Doveroso a questo punto riepilogare la storia dello stabilimento RWM di Sa Stoia, riportata nei dettagli dal comunicato diffuso dalla Tavola Sarda per la Pace per motivare appunto la scelta di Iglesias e dintorni, per la convocazione di quest’anno. Se ne ha notizia per la prima volta grazie a un articolo uscito nel maggio 2017 su Sardinia Post, in cui si annunciano le intenzioni, da parte della società, di realizzare un deposito per lo stoccaggio di “materiale combustibile” e di “liquidi altamente infiammabili”.

Il documento di Valutazione e Prevenzione Incendi (rintracciato però solo qualche tempo dopo) rivelò che nella fabbrica era previsto lo stoccaggio di 32.000 litri di liquidi altamente infiammabili e altri composti non meglio identificati. Da notare che questo stabile si trova a 400 metri dal centro abitato di Iglesias e in zona Serra Perdosa, quartiere molto popoloso. Nelle immediate vicinanze si trovano altre abitazioni, un buon numero di piccole-medie aziende e una delle strade più trafficate, la statale 130, oltre alla ferrovia che collega Iglesias a Cagliari. Importante sottolineare inoltre che questo “deposito esplosivi e materiale combustibile” risulta essere nella visura camerale “una fabbrica di armi e munizioni”, presentando lo stesso codice identificativo dello stabilimento principale.

Già il 31 luglio 2018 si era svolto un presidio convocato da associazioni e da residenti della zona. Una rappresentanza aveva poi incontrato il sindaco Mauro Usai e l’assessora all’urbanistica e paesaggio Giorgiana Cherchi, per sollecitare delle risposte in merito agli ampliamenti e alla presenza di un “deposito di liquidi altamente infiammabili” non all’esterno ma addirittura dentro la città di Iglesias. Domande rimaste senza risposta.

Nel corso di quell’incontro era stata anche sollevata la controversa questione dello stoccaggio nei pressi dello stabile di 248 tonnellate di materiale contaminato da amianto. Anche su questo aspetto, che è stato oggetto di un esposto in procura, non è mai stata data alcuna risposta chiara. Né è dato sapere se per questo stabile, i cui lavori di adeguamento sono terminati a luglio 2019, esiste un piano d’emergenza delle aree esterne che la cittadinanza avrebbe diritto di conoscere.

La cosa certa è che, durante la fase acuta della pandemia da Covid19, gli ampliamenti nell’isola comunale di San Marco sono stati conclusi. L’avvio degli impianti appena realizzati è stato però bloccato un anno fa da una sentenza del Consiglio di Stato.

Foto di Gaia Zotta

Ma la strada verso la liberazione da questa mortifera presenza è ancora lunga. Più volte denunciata per la fornitura di armamenti all’Arabia Saudita destinati alla guerra in Yemen, la RMW è più che mai in attività. E per quanto riguarda la Sardegna, in un contesto di crescente tensione che potrebbe sfociare in una nuova guerra mondiale, la sua militarizzazione è destinata ad acutizzarsi ulteriormente, come non smettono di denunciare gli attivisti di A’ Foras, della Rete Italiana per la Pace e il Disarmo, dei vari Comitati presenti sul territorio e che anche ieri hanno sfilavano in corteo: la Rete Sarda per la Sanità, i comitati Sardegna Pulita, Sardegna per la Pace, Donne Ambiente Sardegna e molti altri che per l’ennesima volta hanno ribadito l’urgenza di una radicale conversione verso un’economia di pace, invece che sempre più indirizzata ad alimentare la guerra.

Tanto per dare un’idea: è dei primi di novembre la notizia di ben tre siluri finiti inesplosi nei fondali di un tratto di mare al largo del poligono di Quirra, dove ogni giorno transitano natanti, navi di ogni genere, pescatori e quant’altro – e non si è trattato di simulazioni duranti i classici ‘giochi di guerra’ al largo delle coste, perché veniamo a sapere che fin dai primi giorni di ottobre, mentre le cronache dei giornali erano tutte concentrate a commentare i recenti risultati elettorali, quel tratto di mare era in assetto di pronto intervento in un warfighting esplicitamente legato “all’evoluzione dello scacchiere internazionale”, nell’ambito di un “riservatissimo piano d’acquisto” dell’ordine di oltre 3 miliardi di euro!

Foto Tavola Sarda della Pace da Facebook

Per non dire dei droni destinati a contrastare l’avanzata russa in Ucraina, che gli israeliani della UVision in partneship con la tedesca Rheinmetall avrebbero deciso di produrre proprio a Sulcis, nel sud della Sardegna, a 50 km dal porto e aeroporto di Cagliari. I dettagli del contratto sono naturalmente coperti da precise ‘clausole di segretezza’, ma già si sa che una prima imponente fornitura dovrebbe essere pronta sin dall’inizio del nuovo anno.

Chiarissima, in tutti gli interventi che hanno scandito la giornata, la consapevolezza che manifestare per la pace non può eludere l’innegabile condizione di sudditanza del nostro paese (e in particolare della Sardegna) agli interessi della NATO, degli Stati Uniti, alle logiche di una comunità internazionale sempre più orientata a una concezione di sicurezza non certo dettata da criteri di coesistenza e mediazione, ma piuttosto di continua tensione emergenziale: militarizzazione dei territori, enfasi sulle Grandi Opere inutili e dannose, per non dire della Sanità Pubblica, sempre più in secondo piano perché in ultima istanza funzionale al “fare cassa.” E come è noto i casi di cancro, leucemia e varie patologie e nocività, sono molto numerosi in Sardegna in prossimità dei poligoni di tiro.

Foto di Gaia Zotta

Dopo una tappa sul colle che domina la città, dove ha origine il Cammino Minerario di Santa Barbara, la giornata si è conclusa in Piazza Quintino Sella. Una volta di più è stata ribadita con forza la contrarietà all’invio di armi all’Ucraina e l’esigenza non più rinviabile di sviluppare, principalmente da parte dell’Italia, dell’Europa e dell’Onu, una forte e vera azione diplomatica, che permetta ai contendenti nel conflitto russo-ucraino di convergere su un immediato cessate il fuoco preliminare a una Conferenza internazionale per la pace.

Ma soprattutto è stato denunciato l’uso militare sempre più sproporzionato della Sardegna, con le servitù militari che l’affliggono da decenni, con le continue esercitazioni in mare, terra e aria, la quantità di stabilimenti bellici dove si producono armi finalizzate a sostenere e potenziare le guerre di tutto il mondo “in totale contrasto con la nostra costituzione e con le storiche aspirazioni del popolo sardo di fare della Sardegna un laboratorio dove i popoli, le religioni e le culture presenti nel Mediterraneo e nel Mondo possano dialogare e costruire la pace.” Da parte di tutti il reiterato appello: non va lasciato in pace chi fa profitti sulla guerra.

* Con la collaborazione di Gaia Zotta

Articolo pubblicato anche su Pressenza Italia


 

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