Una lunatica pazzia: competizione, conflitti e sfruttamento minerario della Luna
Alla conquista dello spazio
Stiamo andando sulla Luna. Il nostro successo cambierà il mondo. Queste sono le frasi introduttive di un recente documento pubblicato dall’ Agenzia Spaziale USA: “Con il Programma Artemis, la NASA porterà sul suolo lunare la prima donna e il prossimo uomo entro il 2024, utilizzando tecnologie innovative per esplorare molto più che in passato ampie zone della superficie lunare”. E ancora: “Collaboreremo con i nostri partner commerciali e internazionali, e metteremo a punto un’esplorazione sostenibile entro dieci anni. Poi useremo quello che abbiamo imparato sulla Luna e intorno alla Luna per compiere il prossimo passo da giganti – mandare astronauti su Marte”.
All’inizio della lettura ero incredula: siamo nel pieno di una pandemia che ha colpito finora più di 36 milioni di persone, e ha causato più di un milione di morti; stiamo registrando con crescente frequenza eventi meteorologici inconsueti e devastanti, che testimoniano una dinamica trasformazione in atto nel nostro pianeta – dopo decenni di previsioni scientifiche rimaste inascoltate. E noi… progettiamo una missione lunare!?!? Qualcuno ha fatto i conti dei costi finanziari, del dispendio di materie prime, dei consumi di energia, delle emissioni di gas serra che accompagneranno questa impresa?
Nell’introduzione del documento NASA su Artemis compaiono le solite parole chiave: ‘tecnologie innovative’, ‘esplorazione sostenibile’. Ormai sono come delle etichette che vengono applicate a ornamento di qualunque iniziativa venga decisa da chi sta al potere. E la società civile – in tutto il mondo – assiste impotente al saccheggio dei beni comuni, la distruzione degli ecosistemi, l’inquinamento di terre e oceani, mentre crescono sempre più le disuguaglianze tra comunità umane. In un documento pubblicato l’8 ottobre da OXFAM International si legge: “Il nuovo indice globale (che indica il grado di disparità sociale) mostra un fallimento catastrofico nell’affrontare le disuguaglianze (sociali, economiche, di accesso alle risorse, di qualità ambientale), e ha messo in luce che la maggior parte dei paesi del mondo sono risultati deplorevolmente impreparati di fronte alla pandemia da COVID-19. […] Milionidipersone sono state spinte verso la povertà e la fame, e sono incalcolabili le morti che si potevano evitare”.
Una eroica missione… e un’impresa commerciale
Ho trovato interessante un commento al comunicato NASA sulla missione Artemis che è stato appena pubblicato su una piccola, vivace rivista online indiana – countercurrents – a firma di Binoy Kampmark : una persona di nazionalità ignota ai lettori, che ha studiato in Gran Bretagna, e insegna in Australia – rappresentante quindi, come noi, del mondo globalizzato che assiste attonito alle ‘imprese’ dei potenti.
Binoy osserva che la prospettiva di svolgere attività minerarie sulla Luna fa parte della mentalità che ha accompagnato le precedenti conquiste: la spartizione dei territori, il furto di risorse, il linguaggio del furto e del saccheggio. All’impresa viene associata la patina luccicante dell’ineluttabilità del destino umano, portato alle grandi avventure. Il messaggio della NASA potrebbe adattarsi a uno qualunque dei grandi costruttori di imperi che si sono avvicendati nella storia. Lo sviluppo umano ha sempre dovuto fare i conti con le risorse finite della Terra, una situazione sfortunata, ma …niente paura: la luna – apparentemente un ammasso di rocce nude – in realtà può essere uno scrigno di risorse rare vitali per il futuro della Terra. E ora le nazioni guardano in su, verso una potenziale corsa lunare all’oro.
Binoy prosegue la lettura del testo della NASA, inserendo i suoi commenti. La NASA – osserva- anticipa le critiche delle Cassandre, che temono che la missione si riveli l’ennesimo, catastrofico saccheggio di risorse: “si potrebbe asportare l’1% della massa lunare al ritmo di una tonnellata di materia lunare al giorno senza creare perturbazioni al nostro satellite” si legge nel documento: “non ci sarebbe modifica dell’orbita, né effetti gravitazioni sulle maree terrestri”. Una predazione compiuta gradualmente non fa male a nessuno…
La Luna è stata per anni risparmiata dalle intenzioni predatorie umane. Binoy ricorda il disastroso schianto nell’atterraggio della sonda Chandrayaan-1 lanciata nel 2008 dall’Indian Space Research Organisation nei pressi del Polo Sud lunare. È stata una pubblicazione della NASA del 2018 uscita sulla prestigiosa rivista scientifica PNAS a riaccendere immaginazione, speranza, e … finanziamenti: l’evidenza certa e diretta della presenza di ghiaccio alla superficie delle regioni polari della Luna. Come segnalano gli Autori dell’articolo, “questi depositi di ghiaccio potrebbero essere utilizzati come risorse in situ per la futura esplorazione della luna”.
L’idea di nuove missioni lunari è stata fin da subito accompagnata dalla volontà di coinvolgere partners a livello internazionale: l’ESA – European Space Agency – propone di contribuire con astronauti, materiali robotici e satelliti per la comunicazione. Con esso è arrivato il richiamo al capitale privato. Le agenzie spaziali hanno fame di fonti finanziarie diverse dalle tasse dei contribuenti. Si cercano offerenti per consegne di carichi utili commerciali; le basi lunari vengono propagandate come opportunità per affari redditizi, comprese le cinture di asteroidi ricche di minerali. Sulla Luna stessa c’è la prospettiva di metter mano a metalli indispensabili per la sempre crescente industria elettronica: ittrio, samario, lantanio.
Uno scenario coloniale
Sembra inevitabile che in questa corsa alla Luna si scatenino competizioni, conflitti, aggressioni come quelle che videro coinvolte le potenze europee nella corsa alla colonizzazione dei territori e al controllo delle vie di commercio.
È sempre Binoy Kampmark (l’autore dell’articolo più sopra citato) che segnala che in un documento del comando spaziale USA del 1997 (Visions for 2020) si legge che l’ascesa del commercio marittimo ha visto le nazioni costruire flotte marine per proteggere e migliorare i loro interessi commerciali. La brutale conquista dell’interno americano (descritta con benevola riflessione come “l’espansione verso ovest degli Stati Uniti continentali”), vide l’uso di avamposti militari e cavalleria per proteggere carovane, insediamenti e ferrovie. “Allo stesso modo, le forze spaziali si impegneranno per proteggere gli interessi nazionali militari e commerciali e gli investimenti negli spazi extra-terrestri, a causa della loro crescente importanza“.
Il mese scorso l’amministratore NASA Jim Bridenstine ha affermato che la NASA sta “lavorando aggressivamente per raggiungere il traguardo di portare sul suolo lunare la prima donna eil prossimo uomo, con lo scopo di stabilire una architettura esplorativa sicura e sostenibile”.
Il coinvolgimento delle imprese commerciali tranquillizzerà i revisori dei conti, perché le spese saranno abbordabili. Il sogno, quindi, è quello di facilitare il capitalismo spaziale. “Sappiamo che una politica di supporto per quanto riguarda il recupero e l’uso delle risorse spaziali è importante per la creazione di un ambiente di investimento stabile e prevedibile per gli innovatori e gli imprenditori del commercio spaziale“.
Anche gli specialisti del diritto spaziale saranno soddisfatti. Le aziende, secondo Bridenstine, vengono sollecitate “a fornire proposte per la raccolta di risorse spaziali“, e le azioni relative a queste proposte saranno conformi alla Convenzione sulla registrazione, all’articolo II e ad altre disposizioni del Trattato sullo spazio esterno e a tutti i nostri obblighi internazionali. Le aziende raccoglieranno la “polvere” lunare da qualsiasi parte della superficie lunare, forniranno immagini alla NASA del processo di raccolta e del materiale, insieme ai dati su dove il materiale è stato raccolto. Il materiale diventerà proprietà della NASA, ma l’agenzia promette di concordare la cessione alle aziende collaboratrici di una percentuale della regolite lunare.
La libertà di impresa, nonostante il fallimento in Terra?
Tali osservazioni hanno uno scopo preciso: metter fine ai fastidiosi sospetti degli imprenditori spaziali e degli appassionati degli sforzi spaziali commerciali. Le agenzie spaziali nazionali sono state storicamente viste come vincoli ingiustificati al turbolento capitalismo spaziale, e tuttora c’è chi reclama maggiore libertà ai privati – sostenendo che le avventure spaziali di Elon Musk, Jeff Bezos e Richard Branson sono state indebitamente compromesse dal coinvolgimento dello stato, come affermano gli Autori del libro Space Capitalism.
Questo libro confronta e contrappone le motivazioni, la moralità e l’efficacia dell’esplorazione spaziale quando perseguita da imprenditori privati ??rispetto al governo. Gli autori sostengono che le iniziative private guidate dal mercato possono assumere un ruolo guida attraverso una maggiore concorrenza, e che risorse significative potrebbero essere assegnate all’esplorazione e allo sfruttamento dello spazio.
Sulla Terra, il capitalismo viene ritenuto da un crescente numero di persone, associazioni, esponenti della sostenibilità come un sistema socialmente distruttivo e ambientalmente devastante, e destinato a finire. L’era dell’Antropocene, la conseguenza della dipendenza umana dai combustibili fossili, ha dimostrato di essere un esperimento che ha portato a esiti disastrosi. Ma qualunque siano i cambiamenti terrestri da apportare – che si tratti di infrastrutture rinnovabili, aggiustamenti nella crescita o sviluppo della saggezza ecologica – la vena predatoria di conquista e colonizzazione è ostinata. Il richiamo delle miniere lunari, delle disordinate conquiste lunari e delle battaglie lunari è tuttora molto presente e allettante.
Un articolo pubblicato il 9 ottobre su Il Manifesto presenta la miniserie Netfix in quattro puntate “Challenger: l’ultimo volo”, in cui vengono ricostruiti gli eventi che portarono alla tragica esplosione in volo, pochi minuti dopo la partenza, della navetta spaziale Space Shuttle il 28 gennaio 1986.
Tra i sette componenti dell’equipaggio vi era una donna, un’insegnante. Dopo un’ampia selezione la scelta cadde su Christa McAuliffe, presentata come un’onesta e infaticabile lavoratrice, una persona a cui era affidata la formazione delle future generazioni e immancabilmente una moglie e madre. Insomma, la perfetta testimonial degli anni Ottanta, interprete del sogno che unisce l’ideale al business, orgogliosamente votata a dimostrare che l’umanità guarda e procede speditamente verso l’alto.
Scrive l’Autore dell’articolo, Mazzino Montinari: “Se non fu il destino, al modo di una tragedia greca, furono certamente interessi politici ed economici a mettere Christa McAuliffe, e sei astronauti di professione, dentro la navetta che il 28 gennaio 1986 dopo circa settanta secondi, a causa del malfunzionamento di alcune insignificanti guarnizioni denominate O-ring, esplose provocando la morte dell’intero equipaggio di fronte a milioni di persone attonite, accorse in Florida per assistere all’evento o che erano davanti a un teleschermo per partecipare visivamente a una storia, il cui esito prese improvvisamente una traiettoria imprevista e tragica”.
Una lunatica pazzia, o un complesso progetto tecno-industrial-militare?
Dietro alla retorica della tensione umana verso eroiche imprese spaziali, e dietro agli interessi commerciali che agiscono in continuità con le aggressive ondate di colonizzazione che hanno saccheggiato ampie aree del mondo, sta nascosto un terzo elemento – il grande assente – l’apparato militare.
Nel corso del Festival della Nonviolenza e della resistenza civile, che si sta svolgendo in queste settimane a Torino, si è svolto un Convegno dal titolo significativo: “Torino città delle armi”? È stato interessante apprendere – nel corso della mattina del 10 ottobre – quante siano le imprese con sede in Piemonte che hanno a che fare con progetti aerospaziali che (direttamente o indirettamente) riguardano il settore militare, quanto ampi e diversificati siano gli interessi (e i finanziamenti) che circolano, e quanti lavoratori siano impegnati al servizio delle attività belliche.
Invitando il pubblico a seguire questo incontro, cito solo qualche esempio di aziende che operano in Italia (e in particolare nel nostro territorio) e sono coinvolte in progetti aerospaziali ‘dual use’, cioè con obiettivi non solo civili, ma anche militari.
Thales Alenia Space, joint venture tra Thales (67%) e Leonardo (33%), opera in Italia attraverso Thales Alenia Space Italia, che conta circa 2300 addetti e quattro siti, a Roma, Torino, L’Aquila e Milano. Oltre al settore aerospazio è impegnata nel settore sicurezza e nella difesa (“Il campo di battaglia digitalizzato moderno impone una nuova visione della pianificazione militare”).
Leonardo. All’interno del sito che illustra il settore ‘Leonardo spazio’ si legge che – tra i numerosi progetti in corso – c’è anche COSMO-SkyMed, che è stato concepito per scopi duali, ovvero come un programma in grado di soddisfare esigenze civili (monitoraggio ambientale, protezione civile, Oil & Gas) e militari. Le caratteristiche generali consentono l’interoperabilità con altri sistemi e l’utilizzo nel contesto di accordi internazionali. “Da Caselle uscirà il primo Eurofighter della flotta dei 28 ordinata dal Kuwait – ricorda Profumo (amministratore delegato) – mentre a Cameri lavoriamo sul programma degli F35”.
Microtecnica, fondata a Torino nel 1929, è presente in Italia con tre Siti, di cui due nel torinese, a Torino e Luserna San Giovanni, e uno a Brugherio, in Brianza. Attualmente fa parte di Collins Aerospace, appartenente al gruppo multinazionale United Technologies Corporation (UTC). Dagli anni ’50 del novecento ha esteso la propria attività alla realizzazione di strumenti di impiego militare, navale e civile quali girobussole, trasmettitori, strumentazione ed equipaggiamenti impiegati nel settore aeronautico e aerospaziale.
La pervasività e il potere dell’apparato militare – per quanto sia ben protetto dal controllo delle comunicazioni e spesso dalla segretezza – emerge nelle assegnazioni di fondi. Nel “Piano nazionale di ripresa e resilienza”, poi dettagliato nell’Elenco dei progetti di Recovery Fund, il fondo creato dall’Unione Europea nel ventaglio delle risposte messe in atto per superare la drammatica crisi economica scatenata dalla pandemia di Sars-Cov2 , appare a sorpresa anche il comparto Difesa, in cui a essere interessati nell’assegnazione di tali risorse risultano sia il Ministero della Difesa stesso, sia quello dello Sviluppo Economico (MISE).
I fondi previsti per il comparto Difesa aprono interessanti prospettive per il soddisfacimento delle esigenze operative delle Forze Armate e per il significativo carico di lavoro che si prospetta per l’industria Italiana del settore di cui viene riconosciuto il valore.
I progetti del Ministero della Difesa italiano sono 21, per un importo complessivo di 5,017 miliardi: a essere privilegiati sono gli investimenti nelle tecnologie e negli ambiti emergenti quali cyber, comunicazioni, spazio e intelligenza artificiale. I responsabili delle Forze Armate sono in attesa di conoscere quale percentuale dei fondi europei saranno stanziati al settore militare per far fronte alla pandemia da COVID-19.
E anche tutti noi, membri della società civile…
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