Farla franca col crimine

Susan George

Alla domanda “Che cosa hanno imparato le banche dal crollo finanziario del 2008?”, la reazione immediata di Susan George è: “Che possono farla franca con i loro crimini.”

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Con una forse ingenua speranza, non credevo che le banche potessero emergere dalla crisi del 2007-08 più forti di prima, soprattutto in termini politici. Certo, alcune hanno dovuto pagare multe salate ai governi – in totale, 178 miliardi di dollari per le banche europee e statunitensi – , ma ora queste sanzioni sono considerate alla stregua di “costi del business”. Nessuno dei pezzi grossi coinvolti ha passato anche solo una notte in prigione o è stato sanzionato personalmente.

Non siamo ancora usciti del tutto dalle conseguenze di quel brutto colpo del 2007-08, eppure politici e banchieri stanno già preparando lo scenario della prossima crisi. È stato dimostrato che esiste una densa rete globale di attori finanziari strettamente interdipendenti, dove la caduta di uno può innescare il collasso generale. Siamo sull’orlo del precipizio, e abbiamo buone ragioni per essere pessimisti.

I governi nazionali e le istituzioni internazionali non hanno mostrato serie intenzioni di regolamentare il sistema bancario, mettendoci così a serio rischio di una seconda crisi. Banche e banchieri non solo sono troppo grandi per fallire e troppo grandi per pagare, ma anche troppo grandi per obbedire – sono ormai fuori dalla portata della legge.

Le più ovvie misure di sicurezza del sistema finanziario sono state sistematicamente ignorate. La fondamentale divisione tra il settore commerciale e privato delle banche e quello finanziario, che impedirebbe alle imprese di fare speculazioni con i soldi degli azionisti, è venuta a mancare. Per più di sessant’anni il Glass-Steagall Act, incluso nel New Deal statunitense, li ha tenuti separati tutelando il sistema finanziario nazionale.

Dopo la sua abolizione nel 1998 a opera del presidente Bill Clinton – con una spintarella del suo Segretario del Tesoro Robert Rubin, uomo con un passato nella Goldman-Sachs – ci vollero meno di dieci anni per provocare il fallimento della Lehman Brothers e il devastante collasso dei mercati. I politici non ascoltano il buon senso, ma la lobby dei banchieri. Così, la riserva di capitale che le banche sono tenute ad avere è ancora troppo bassa, e nessuna nuova legge sulle transazioni finanziarie è stata approvata. L’unica presa in considerazione da undici Paesi dell’Unione Europea non è stata ancora adeguatamente discussa.

Il volume di derivati e moneta corrente che circola sul mercato ogni giorno è aumentato del 25-30% rispetto a prima della crisi, e si aggira nell’ordine dei milioni di miliardi. La quantità annua di compravendita di derivati equivale a circa cento volte il prodotto mondiale lordo. Scambi automatizzati e basati su algoritmi incentivano questa crescita, ma anche le migliori macchine e i migliori matematici possono commettere errori pericolosi.

Grandi quantità di rischiosi prestiti “cartolarizzati” potrebbero ancora una volta riempire le tasche degli investitori istituzionali. Questa volta non sarebbero basati su ipoteche sfavorevoli, ma su pacchetti di altre categorie di debito, come i prestiti a studenti o consumatori.

Nel 2008, speculazioni sfrenate sul mercato delle materie prime provocarono un aumento drammatico del prezzo degli alimenti, portando di conseguenza 150 milioni di persone a soffrire la fame. Questo evento non si ripeterà quest’anno né il prossimo: il prezzo dei cereali è crollato e negli ultimi due anni Wall Street ha disinvestito da questi mercati qualcosa come 150 miliardi di dollari. In ogni caso altre leggi del pacchetto del New Deal sono state colpite, e si potrà ancora una volta investire senza ritegno in questi mercati non appena i cambiamenti climatici e la scarsità delle risorse alimentari li avrà resi nuovamente redditizi.

I paradisi fiscali hanno trionfato. Non aiutano solo singoli individui che appartengono a quell’uno per cento di popolazione ricca, ma si sono specializzati nell’evasione fiscale delle grandi aziende. Le maggiori aziende hanno ormai smesso di pagare onestamente i loro tributi.

La Francia, per esempio, registra un deficit da evasione delle grandi aziende che si attesta tra i 60 e gli 80 miliardi di dollari. Le corporazioni godono di benefici statali come sorveglianza di polizia e vigili del fuoco, energia, acqua, igiene, trasporti, assicurazioni sanitarie, educazione e formazione del personale, e il principio di legalità – ma non pagano per tutto questo, e dunque sfruttano il sistema, a scapito dei cittadini e delle infrastrutture necessarie.

Lo scandalo Luxleaks (che rivelò evasione fiscale da parte di più di 300 aziende) dimostra che uno stato membro dell’Unione Europea, servendosi delle quattro maggiori aziende contabili come complici, ha reclutato attivamente aziende affinché scavalcassero le tassazioni dei Paesi dove fanno i loro affari e si servissero del sistema di evasione fiscale del Lussemburgo. Anche i paradisi fiscali delle isole britanniche fanno la loro parte: si stima che almeno il 25% del traffico monetario delle principali banche europee avvenga in queste isole. Ma dati certi al riguardo non esistono.

Indagini della Banca Centrale Europea sulle 130 principali banche in Europa mostrano come esse non supportino l’economia reale, quella in cui le persone vivono, lavorano, producono e consumano. Le piccole e medie imprese in Europa offrono tra l’80 e il 90% del totale dei posti di lavoro, eppure hanno ancora molti problemi a ottenere un prestito. A partire dal 2008 le banche hanno alzato notevolmente i requisiti per avere un prestito. Finance Watch, un gruppo di esperti di Bruxelles, afferma che solo il 28% dell’attività delle banche riguarda l’economia reale – la restante parte va a ingrossare il settore dei prodotti finanziari, che fanno soldi dai soldi senza passare attraverso quelle noiose fasi che sono la produzione e la distribuzione.

Gli USA vantano crescita e nuovi posti di lavoro, ma più del 90% del valore di quella crescita viene percepito solo dall’uno per cento più ricco della popolazione. La disoccupazione in Europa continua a crescere, e invece di crescere l’Unione Europea continua a scivolare verso la deflazione.

Già nel 2011 i profitti della banche statunitensi erano tornati ai livelli record di prima della crisi. Nel 2009, le nove principali banche degli USA concessero bonus di più di un milione di dollari a 5000 impresari e banchieri, usando fondi pubblici destinati al salvataggio di aziende in stato fallimentare. Così, almeno 5 miliardi di dollari di contributi fiscali pubblici finirono nelle mani di privati dell’industria finanziaria. I loro colleghi britannici ricevettero circa 20 miliardi di dollari, e quasi altrettanti quelli francesi.

Questi imponenti bonus contribuiscono all’acuirsi delle ineguaglianze. I lettori di questa rivista avranno certo presente l’impressionante confronto tra le quote dei miliardari e quel che rimane per il resto del mondo. Altrimenti, basti guardare alle cifre di Oxfam, o ancora meglio all’annuale World Wealth Report, che esplora le vette dorate dove dimora non quell’un per cento – poveri tapini! – ma quell’uno su dieci milioni.

La lista dei miliardari di Forbes del 2014 elenca 1542 terrestri che hanno fatto il colpo grosso, con un bottino complessivo di 6,5 milioni di miliardi. L’ineguaglianza ha raggiunto livelli osceni, e non solo in termini monetari. In The Spirit Level Richard Wilkinson e Kate Pickett hanno provato incontrovertibilmente che l’ineguaglianza è inevitabilmente correlata con ogni fenomeno di devianza o problematica sociale, dalla malattia alla violenza, dall’obesità al carcere. Ma attualmente il mondo della finanza è tale che, una volta raggiunta la posizione di miliardario, è molto difficile tornare indietro.

Premi, premi e ancora premi.

Un’altra cosa che i banchieri hanno imparato è come modellare le istituzioni internazionali in modo da ricevere ricompense nei momenti buoni e in quelli cattivi, tanto in caso di investimenti azzeccati quanto in caso di investimenti stupidi. Così, i governi dell’Eurozona come la Francia e la Germania danno soldi al Meccanismo di Stabilità Finanziaria Europea in modo che questa possa dare soldi al governo greco (o spagnolo, irlandese…), che a sua volta potrà girarli alle banche greche (spagnole, irlandesi…), le quali infine potranno saldare i debiti contratti con le banche francesi e tedesche.

Molti non si rendono conto che i grandi “prestiti” della Troika (CE, BCE, FMI) alla Grecia concessi tra il 2010 e il 2012 non erano volti ad “aiutare i greci”, bensì a reindirizzare i soldi a banche che avevano comprato obbligazioni greche. Perché le hanno comprate? Bella domanda. Perché erano contrassegnate in euro ma davano un interesse leggermente più alto di obbligazioni per esempio tedesche, ugualmente contrassegnate in euro.

La Troika dunque non fa altro che assicurarsi che queste banche recuperino i propri soldi, mentre inserisce drastiche misure di austerità in questi schemi di salvataggio indiretto. Le banche potrebbero ancora perdere qualcosa nei loro investimenti nell’Europa del sud e periferica, ma comunque molto meno di quanto perderebbero senza l’ausilio di questa porta girevole controllata dalla Troika.

Le persone, senza alcuna responsabilità diretta nello scoppio della crisi, sono quelle a cui tocca soffrire. Se la fame, la chiusura delle scuole e degli ospedali, la violenza e la migrazione dei giovani sono in qualche modo misurabili, le reali conseguenze per innumerevoli e incolpevoli esseri umani non possono essere quantificate. Nel dire che le banche hanno imparato che possono farla franca con i loro crimini, non facevo uso di figure retoriche.

A questo punto, i lettori si chiederanno “Sì, ma noi cosa possiamo fare?” Le risposte perlopiù sono ben note, e molte di esse consistono nel fare esattamente il contrario di quanto descritto finora. Separare le banche, tassare le transazioni finanziarie, dichiarare illegali i paradisi fiscali, dire al Lussemburgo di smantellare il suo Corporate Protectorate, rifiutarsi di firmare il Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP). Cambiare le regole della BCE, che concede prestiti solo a banche private ma non agli stati. Poiché le banche possono ottenere soldi dalla BCE all’interesse minimo dell’1%, e poi prestare agli stati a qualunque tasso previsto in quel momento dal mercato, spesso più del 6% – un altro regalo al settore bancario, la BCE dovrebbe invece prestare direttamente agli stati, a un tasso dell’1% o inferiore. Dovrebbero esistere degli eurobond congiunti.

Le politiche di austerità devono essere cestinate, perché non funzionano né in termini economici né in termini umani. I nordeuropei non capiscono questo: il termine tedesco per debito è Schuld, che significa anche peccato o colpa, ma questa crisi persistente non è un gioco di moralità. Quello di cui c’è bisogno sono meno persone che battono il petto (di altri), e un’economia più intelligente. Per dirla con le parole di un economista tedesco che scrive per il Financial Times, “ci sono due tipi di economisti tedeschi: quelli che non hanno letto Keynes e quelli che non hanno capito Keynes.”
Bisogna innanzitutto ricordarsi che il debito di una nazione è molto diverso dal debito di una famiglia. Nel corso della storia infatti molti debiti nazionali sono stati dimenticati; ma in ogni caso, come dice l’economista e ricercatore statunitense Paul Krugman: “Tieni gli occhi sui flussi, non sui depositi.”

Ma finché gli stati continuano a pagare gli interessi, resteranno indebitati per sempre. Le nazioni non spariscono. La Grecia, ad esempio, avrebbe un surplus di budget se solo si togliessero gli interessi attuali e si stabilisse un tasso dell’1%. La Grecia dovrebbe poi tagliare drasticamente le spese militari, tassare la Chiesa – la più grande proprietaria di terreni e immobili – e, come dice il partito attualmente al governo Syriza, “braccare l’oligarchia”.

Se ci dovesse mai essere una prossima crisi, sarebbe enormemente pericoloso per le persone comuni, che perderebbero risparmi, assicurazioni, pensioni e molto altro. Non parlo di rifugi antibomba, muri di cinta e una pistola in ogni casa come negli anni ’50, ma non farebbe male sviluppare ora società più resilienti e un maggiore grado di autosufficienza. Per istinto o spinta dalla necessità, la gente dimostra una buona attitudine alla cooperazione quando si trova ad affrontare una fase di recessione economica, come accade quindici anni fa in Argentina e sta accadendo ora in Grecia. Si organizzano cucine comuni, orti comunitari, centri di cura gestiti da volontari, asili, monete alternative, soluzioni abitative e altro ancora.

Soprattutto, dobbiamo batterci contro quella fatale ideologia neoliberista che ha corrotto i nostri pensieri e le nostre azioni mentre permetteva alle banche di farla franca con i loro crimini.


21.05.2015, New Internationalist Magazine

Titolo originale: Getting away with Murder

Traduzione di Fabio Poletto per il Centro Studi Sereno Regis


 

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