La civiltà della dea. Il mondo dell’antica Europa – Recensione di Isabella Bresci
Marija Gimbutas, La civiltà della dea. Il mondo dell’antica Europa, volume 2, cura e traduzione di Mariagrazia Pelaia, Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri, Viterbo 2013, pagg. 302, € 35
Questa importante pubblicazione è di contenuto scientifico, corposa sia per formato che per numero di pagine e immagini, ma risulta di facile lettura ed estremamente affascinante.
E’ la trattazione della rivoluzionaria teoria di Marija Gimbutas (1921-1994), archeologa e linguista lituana, docente di archeologia alla UCLA University, che non ha mancato di creare notevoli controversie negli ambienti accademici.
Per circa quindici anni la Gimbutas diresse i maggiori scavi dei siti del Neolitico in tutta Europa grazie ai quali furono portati alla luce una gran quantità di manufatti artistici, in tutto circa 3000 sculture, dalla Francia meridionale alla Siberia centrale.
Essa evidenziò la notevole scarsità di reperti raffiguranti tipi maschili (3-5% del totale) in tutti questi siti e questo contribuì alla formulazione dell’ipotesi che le varie e complesse rappresentazioni femminili del Paleolitico e Neolitico fossero manifestazioni di varie divinità femminili e che queste contribuissero a dimostrare l’essenza matrifocale (1) dei popoli che abitavano tutta quest’area che lei stessa ribattezzò «Antica Europa» (cioè l’insieme di popoli che condividevano lo stesso tipo di civiltà prima dell’arrivo dei popoli indoeuropei). Ciò che avvalora questa ipotesi è il fatto che tra i reperti databili al periodo 7500-3500 a.C. in tutta la vasta area presa in considerazione, non vi sono ritrovamenti di oggetti, armi o immagini riconducibili alla figura di un dio padre nonostante la grande varietà degli stili.
La Civiltà della Dea (1991) è l’ultimo dei tre libri su questo argomento scritti da Marija Gimbutas ed è stato tradotto e pubblicato in Italia in un’elegante edizione da Stampa Alternativa, diviso in due volumi, seguendo il volere dell’autrice. Nella prima parte viene elaborata la mappatura delle popolazioni e delle culture d’età neolitica in Europa; in questo secondo volume queste vengono descritte come facenti parte della civiltà dell’«Antica Europa» e viene esposta e dimostrata la teoria dell’esistenza del culto della Grande Dea creatrice.
Nella prefazione l’autrice analizza il concetto di civiltà:
«(…) Secondo le ipotesi degli archeologi e degli storici la civiltà implica un’organizzazione politica e religiosa di tipo gerarchico, un’economia bellica. (…) Io contesto la tesi che la civiltà si associ esclusivamente a società guerriere androcratiche. Il principio su cui si fonda ogni civiltà si trova al livello della sua creatività artistica, nei suoi progressi estetici, nella produzione di valori non materiali e nella garanzia della libertà individuale che rendono significativa e piacevole la vita di tutti i cittadini, nel quadro di un equilibrio di potere equamente ripartito tra i sessi. (…)»
Dopo aver trattato della scrittura sacra e la struttura sociale, nell’ultimo capitolo l’autrice passa alla descrizione accurata della graduale trasformazione dell’Antica Europa a causa dell’invasione, a varie ondate, dei pastori della steppa detti Kurgan che avevano addomesticato il cavallo fino ad allora inesistente nell’Europa preindoeuropea.
In fondo al libro, dopo le note, si trovano appendici che aiutano il lettore ad approfondire: il Glossario delle culture e dei siti principali e il Glossario dei termini tecnici, la Cronologia degli eventi di maggiore rilevanza e le Tabelle delle datazioni al radiocarbonio.
Ovviamente quando si studiano civiltà vissute in un tempo così remoto è veramente molto arduo dare carattere definitivo alle ricerche in un senso o nell’altro e si rischia a volte di trarre conclusioni azzardate per avvalorare una tesi piuttosto che un’altra. E’ altresì indubbio che la cultura accademica e quindi anche l’antropologia siano sempre state dominio quasi incontrastato del l’universo maschile quindi non stupisce che il punto di vista dato per scontato sia quasi sempre solo quello androcentrico.
Un libro che stravolge molte concezioni consolidate sul più lontano passato della nostra Europa e in un certo senso ne equilibra la nostra visione.
Vien da pensare che le piccole comunità di pacifici popoli di cultura matrilineare che ancora oggi sopravvivono in tutti i continenti, siano forse retaggio di un passato che accomuna tutto il genere umano…
Luisella Veroli, biografa di Alda Merini scrive dell’autrice:
«Marja Gimbutas attraverso l’archeologia, Riane Eisler la sociologia, Alda Merini la poesia, hanno contribuito a farci sperare in un mondo in cui la spiritualità sarà di nuovo declinata al femminile, l’erotico tornerà ad essere spirituale e la famiglia patriarcale come modello sociale lascerà il posto a piccole comunità solidali, pacifiche, ugualitarie e creative».
Nota
1) Cioè che colloca al centro la figura femminile. Diverso è il concetto di matriarcale che ha una valenza di dominio del sesso femminile su quello maschile.
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