La guerra per por fine alle guerre 100 anni dopo: valutazione e riorientamento della nostra resistenza alla guerra | Robert J. Burrowes

L’autore e commentatore sociale britannico H.G. Wells ha forse coniato l’espressione che rese originariamente popolare la 1^ Guerra mondiale: La guerra che porrà fine alle guerre, secondo il titolo del suo libro basato su articoli scritti durante quel vasto conflitto militare. In ogni caso, in una versione o un’altra, l’espressione fu una delle più comuni frasi ad effetto della Grande Guerra del 1914-1918 e da allora sopravvissuta come espressione, spesso usata con una smorfia di sarcasmo.

Commemorando la ricorrenza del 100° anniversario dell’armistizio che terminò la “Guerra per por fine alla guerra”, ci si può solo meravigliare per quanto gli umani possano sbagliarsi talvolta. : Non contenti della violenza inflitta durante la 1^ guerra mondiale, gli umani hanno usato il ventesimo secolo per decimare sistematicamente la vita umana e non, coll’infuriare della guerra per tutto il pianeta con un arsenale sempre più massiccio e sofisticato d’armi. In effetti, per la metà del secolo, in un tribute al proprio ingegno tecnologico e alla propria disfunzionalità psicologica, gli umani avevano inventato un’arma che poteva distruggere la vita sulla Terra.

E per l’inizio del 21° secolo, gli umani vivevano nell’era della guerra perpetua contro la vita – si veda ‘L’umanità ha spazzato via circa il 60% della popolazione animale rispetto al 1970, secondo il rapporto’ e ‘Living Planet Report 2018: Aiming Higher (Puntiamo più in alto)’ – con la guerra per giunta come massimo contribuente alla catastrofe climatica: ‘Non solo il Pentagono è il massimo consumatore industriale singolo di combustibili fossili, ma gli aerei da caccia, i cacciatorpediniere, i carri armati e altri sistemi d’arma emettono sostanze ad alto tenore di carbonio, per non parlare poi dei gas serra rilasciati dall’esplosione delle bombe. Come ha dimenticato in fretta il mondo la lezione tossica dei pozzi petroliferi incendiati da Saddam Hussein! Si veda ‘War and Climate Change: Time to Connect the Dots’[Guerra e cambiamento climatico: è ora di connettere I puntini].

La nostra guerra alla vita è così progredita che è ormai imminente l’estinzione umana. Si veda ‘Human Extinction by 2026? A Last Ditch Strategy to Fight for Human Survival’ [Estinzione umana entro il 2026? Una strategia estrema per lottare per la sopravvivenza umana].

Resistere alla guerra storicamente

Ovviamente, non aver saputo por fine alla guerra non è stato il risultato di mancanza d’impegno. E se ci sono stati molti sforzi focalizzati a terminare una guerra specifica, un aspetto specifico della Guerra (come l’utilizzo di un certo tipo d’arma, e ad evitare un certo tipo di Guerra (come la guerra ‘d’aggressione’ o la guerra nucleare), ci sono stati altresì sforzi continui per arrivare al ‘sacro graal’: farla finita con la guerra in sé.

Questi tentativi hanno compreso una mobilitazione di base in corso da parte di organizzazioni antibelliche suscitate dalla 1^ Guerra mondiale (come la Women’s International League for Peace and Freedom fondata nel 1915 e la War Resisters’ International fondata nel 1921) e molti equivalenti da allora, tentativi ufficiali di mettere la guerra fuori legge come il Patto Kellogg-Briand che bandì la guerra nel 1928 ma è stato da sempre ignorato – si veda League of Nations ‘Treaty Series’ vol. XCIV, 1929, pag. 63 – e sforzi istituzionali per evitarla, particolarmente istituendo la Lega delle Nazioni nel 1920 e la successiva Organizzazione delle Nazioni Unite nel 1945, entrambe peraltro anch’esse prontamente ignorate o manipolate.

Separatamente da ciò, tuttavia, c’è stata una lunga storia d’attivismo nonviolento per por fine alle guerre, condotto da singoli e gruppi in tutto il mondo. Indubbiamente il più efficace movimento antibellico della storia fu quello intrapreso per reazione alla guerra US contro Vietnam, Cambogia e Laos. Ispirato e sostenuto dalla resistenza nonviolenta della popolazione civile, e appoggiato a una lunga storia di resistenza alla Guerra entro l’apparato militare – si veda ad esempio The Soldiers’ Strikes of 1919 [Gli scioperi dei soldati del 1919] – ci fu una diffusa resistenza nonviolenta intrapresa dalle truppe professionali e di leva US per por fine alla guerra US contro Vietnam, Cambogia e Laos dal 1968 finché terminò nel 1975.

Se gradite, potete leggere descrizioni dettagliate della sistematica e continua resistenza  (non-violenta o meno) in ambito militare US, in molte forme, che progressivamente disabilitarono  l’Esercito, il Corpo dei Marine, la Marina e la Forza Aerea US durante l’ultimo anno di guerra, costringendo gli US a venir via da Vietnam, Cambogia e Laos. Si veda Soldiers in Revolt: GI Resistance During the Vietnam War e Self-Destruction: The Disintegration and Decay of the United States Army during the Vietnam Era con un compendio del primo libro in ‘Antiwar Resistance Within the Military During the Vietnam War’ e una sua recensione in ‘The soldiers’ revolt in Vietnam: Rebellion in the ranks’.

Per un resoconto documentale dell’obiezione di coscienza da parte di oltre mezzo milione di soldati di leva US destinati al servizio militare in SudEst-Asia durante questo periodo, che sopraffece il sistema legale che ne rese impossibile la persecuzione aldilà di sporadici casi simbolici e, insieme alla resistenza dei soldati e all’impegno civile, costrinse i presidenti Johnson e Nixon a ridurre i piani per intensificare la guerra e anzi fare piani per porvi termine – si veda l’imminente film The Boys Who Said NO!

Rianalizzare la causa della guerra per riorientare la nostra resistenza

Se dobbiamo dunque utilizzare questo 100° anniversario per rinnovare la nostra lotta per por fine alla guerra e agire efficacemente per conseguire lo scopo, dobbiamo chiaramente riesaminare la nostra analisi delle cause della guerra in modo da capire il problema con più precisione, e poi usare l’analisi rivista per guidare lo sviluppo e l’attuazione di una strategia che tratti le cause. Non sto ovviamente suggerendo che por fine alla guerra sia facile pur con una sana analisi e una strategia esaustiva. Ma almeno sarà fattibile.

Prima di procedure, vorrei riaffermare la mia passione per il tema. Ho perso due prozii nella 1^ guerra mondiale: Tom Farrell fu ucciso in azione a Gallipoli e Les Burrowes fu vittima di uno ‘shock d’artiglieria’ – in seguito definito sindrome da stress post-traumatico – dopo essere stato ferito tre volte a Gallipoli, morendone prematuramente alcuni anni dopo. Mio padre fu militare nella 2^ guerra mondiale come guardiacoste e i suoi due fratelli compreso il suo gemello, furono uccisi. Io ho avuto il nome del fratello maggiore di mio padre, Bob, che morì quando la nave giapponese per prigionieri di guerra Montevideo Maru fu colpita da siluri della USS Sturgeon il 1 luglio 1942. Quella notte morirono 1.053 prigionieri di guerra australiani. E il gemello di mio padre, Tom, morì quando il suo bombardiere Beaufort fu abbattuto il 14 dicembre 1943 uccidendo l’intero equipaggio.   Sicché la mia infanzia è punteggiata da ricordi di commemorazioni occasionali di guerra che per me finivano sempre con la stessa domanda: Perché?  Ma non solo ‘perché la guerra?’  Date alter manifestazioni di violenza che osservai per il mondo durante la mia infanzia, compreso lo sfruttamento dei popoli in Africa, Asia e Centro/Sud-America come pure la distruzione dell’ambiente, la domanda più a fondo fu sempre al centro della mia attenzione: ‘Perché la violenza?’

Beh, nonostante considerevoli ricerche per tre decenni, non fui mai soddisfatto di alcuna versione di risposta trovata a quella domanda. Di conseguenza, 14 anni d’isolamento con Anita McKone ‘facendoci a pezzi la mente‘ mi diedero finalmente la risposta che volevo; disgustosamente particolareggiata. Se voleste leggere la risposta, che spiega l’accanita violenza ‘visibile’, ‘invisibile’ ed ‘estremamente invisibile’ che gli adulti infliggono ai bambini e l’enorme danno di tempo di vita (compresa l’eredità della paura inconscia, dell’odio per sé stessi e dell’impotenza) che ciò causa, potete farlo in ‘Why Violence [Perché la violenza]?’ con le nostre elaborazioni descritte in ‘Fearless Psychology and Fearful Psychology: Principles and Practice’ [Psicologia impavida e pavida: principi e prassi].

Manco a dirlo, capire un problema rende molto più facile sviluppare una strategia (il che non vuol dire che il problema sia facile da risolvere). Però, il punto è anche che la violenza ha molte manifestazioni – che includono specialmente la guerra, la violenza contro enormi settori della popolazione umana in vari contesti (che vanno dalla violenza sulle donne e sui popoli indigeni alle occupazioni militari e alle dittature), lo sfruttamento economico e la distruzione della biosfera – e affrontare ciascuna di queste richiede effettivamente la propria sofisticata strategia nonviolenta.

Ciò è in parte dovuto a certe manifestazioni di violenza sono strutturali – si veda ‘Violence, Peace, and Peace Research’ – o culturale – si veda ‘Cultural Violence’ – come descrive questi termini il professor Johan Galtung, ed esse originarono molto tempo fa e sono state ricreate e ‘incorporate’ per secoli successivi.

Tuttavia, è importante capire che la natura di qualunque struttura data o simbolo/processo culturale riflette la psicologia di chi la crea e/o mantiene. Cioè, sono esseri umani resi(si) disfunzionali che creano e mantengono strutture e culture disfunzionali (cioè, violente e/o sfruttatrici).

Così, per esempio, mentre l’origine del capitalismo si può spiegare nei termini dello sviluppo delle strutture e dei processi economici che hanno avuto luogo per i secoli precedenti (in un ambito  socio-politico-legale particolare), fondamentalmente la natura sfruttatrice del capitalismo è un risultato diretto della psicologia gravemente danneggiata di chi l’ha progressivamente creata e ora quegli uomini (e alcune donne) che lo mantengono, lo espandono e ne beneficiano primariamente per il modo in cui esso sfrutta la maggior parte degli altri.

E se quegli uomini e donne non fossero lesi psicologicamente dalla violenza sofferta durante l’infanzia dedicherebbero I propri sforzi a creare strutture e processi economici egalitari che beneficino ugualmente ognuno e nutrano la biosfera. In breve, un essere umano psicologicamente integro considera deplorevole l’idea di uccidere o sfruttare un altro essere umano. Questa non è una posizione morale. E’ un risultato psicologico per il bambino amorevolmente accudito dai genitori: tale cura produce un’identificazione compassionevole con gli altri (e anzi con qualunque essere vivente della biosfera come insieme).

Lo stesso ragionamento vale per l’istituzione della guerra particolarmente nel suo evolvere ed è ora condotta dalle nazioni occidentali, guidate dagli US, e dai loro alleati come Israele. La guerra è un metodo di condurre un conflitto. Ha moltissimi componenti comprese le élite che promuovono la guerra-per-profitto utilizzando vari canali come i ‘think tank’, i media megaziendali, la propaganda governativa e i sistemi d’istruzione per invocarla e ‘giustificarla’, processi politici per ordinarla, procedimenti legali per difenderla (compreso contro chi intraprendere azioni nonviolente contro di essa), il comando militare, il controllo e le strutture di comunicazione per programmarla ed attuarla, grosse aziende che impiegano manodopera per fabbricare armi e altra ferraglia da utilizzarci, personale militare da schierare per utilizzare le armi da fuoco, e cittadini disposti a pagare tasse (o troppo impauriti per astenersi dal farlo) per finanziarla.

Ma ad ogni livello dell’istituzione guerra, e nonostante grossi progressi nella pace, nella teoria e nella prassi dei conflitti e della nonviolenza nei 60 anni scorsi, essa richiede individui che siano stati terrorizzati durante l’infanzia al punto di credere che uccidere co-esseri umani sia un modo appropriato di trattare un conflitto (o – variante – che uccidere esseri umani sia un modo ragionevole di guadagnarsi una paga o fare un profitto).

E poiché sono così lesi psicologicamente e ormai profondamente incastonati nell’istituzione Guerra, considerare alternative alla violenza è contemplato, se mai, solo a scopo campionario-simbolico (con eccezioni occasionali per coloro la cui coscienza sia sopravvissuta alla violenza infantile patita). Volendo, si può leggere un po’ di più su come la violenza durante l’infanzia crei  individui alienati che perpetuano la violenza e la guerra in articoli come ‘The Global Elite is Insane Revisited’ [L’élite globale è psicopatica – rivisto] o parecchio altro in quel sito web.

In essenza, se la gran parte degli esseri umani non fosse così psicolesa dalla violenza inflittagli durante l’infanzia (lasciandola inconsciamente terrorizzata, con odio verso di sé e impotente), ci sarebbe un’insurrezione di massa contro la barbarie della guerra: il massacro industriale su grande scala di persone come noi.

Allora che cosa dobbiamo fare?

Beh, se consideriamo la guerra come un esito non di differenze politiche ed economiche manifestantisi come violenza militare, bensì fondamentalmente un esito di una disfunzionalità psicologica che impedisce una risoluzione intelligente del conflitto, allora la nostra strategia per por fine alla guerra può acquisire una sofisticazione altrimenti necessariamente mancante. In parole semplici, comprendendo le radici psicologiche della violenza possiamo sviluppare ed attuare una strategia che intelligentemente le tratti, a breve nonché a medio termine.

Come affrontiamo quindi strategicamente il complesso di problemi interrelati costituenti l’istituzione guerra?

Se il vostro interesse primario è concentrarvi sulla guerra in sé, consultate il Volante Strategico Nonviolento che illustra semplicemente lo schema strategico in 12 punti necessario per condurre un’efficace campagna nonviolenta e poi considerare l’elenco base di 35 obiettivi strategici necessari a por fine alla guerra. Scegliete uno o più obiettivi appropriate alle vostre circostanze  conducendo una campagna nonviolenta strategicamente orientata, come spiegato al medesimo sito web, per conseguirli.

Se siete preoccupati di dover mantenere una qualche forma di difesa militare da coloro che potrebbero attaccare il vostro paese, è davvero strategicamente superiore utilizzare una strategia di difesa nonviolenta, spiegata in dettaglio in The Strategy of Nonviolent Defense: A Gandhian Approach e presentata più semplicemente in Nonviolent Defense/Liberation Strategy. In effetti, questa struttura strategica si può usare per programmare ed attuare una strategia nonviolenta per difendersi da un invasore straniero o un colpo di stato politico/militare, per liberare il vostro paese da una dittatura o un’occupazione straniera o per sgominare un assalto genocida.

A proposito, se il vostro punto d’attenzione principale è la catastrofe climatica, qualche altro attentato alla biosfera o una campagna di giustizia sociale di qualunque genere, il sito web Nonviolent Strategy vi assisterà nello sviluppo di una strategia irata ed esaustiva.

Conducendo una campagna, tenete a mente con lucidità il succo di ‘Nonviolent Action: Why and How it Works’ […: perché e come funziona] e ricordate la distinzione fra ‘The Political Objective and Strategic Goal of Nonviolent Actions’ affiché la vostra campagna (e ciascuna sua tattica) sarà ben mirata ad un impatto strategico.

Se v’interessa principalmente minare la guerra alla sorgente, prendete in considerazione di fare

‘La mia promessa ai bambini’ ascoltandoli a fondo inoltre tutte le volte che sia appropriato. Si veda ‘Nisteling: The Art of Deep Listening’.  Questo significherà che qualunque bambino della vostra vita è sostenuto almeno da parte vostra nel diventare persona che si ama ed è robusta e

immune alle seduzioni e all’indottrinamento di chi giustifica e fa la Guerra e intanto sviluppa la capacità di perseguire opzioni comportamentali pro-vita trattando conflitti.

Se avete la sensazione che fungere da genitori in questa maniera vi superi, prendete in considerazione di permettervi il tempo di guarire dalla violenza che avete patito per tutta la vita. Si veda ‘Putting Feelings First’ [Mettere anzitutto i sentimenti].

E non dimenticate: Se da un lato dipende dalla nostra disfunzionalità psicologica nell’accettare, finanziare e fare la guerra come mezzo per trattare il conflitto, la guerra è d’altro canto, a livello più  terreno, un conflitto per le risorse, particolarmente i combustibili fossili, i minerali strategici e l’acqua dolce, ed è il nostro consumo di tali risorse, in tutti quei prodotti (come la carne e le automobili) e servizi (come i voli di linea) che compriamo, ad alimentare le guerre fatte in nostro nome che tra l’altro distruggono la in vari altri modi. (Se si vuole capire l’origine psicologica di questa ossessione per i beni materiali, si veda ‘Love Denied: The Psychology of Materialism, Violence and War’ [Amore negato: la psicologia del materialismo, della violenza e della guerra]).

In breve, non c’è costrutto ad illuderci di poter sovvertire quest’ordine mondiale violento senza ridurre sostanzialmente i nostri consumi su tutti i fronti.

Quindi un altro modo per ottenere un impatto strategico nel minare l’istituzione della guerra (e del capitalismo), e intanto rallentare la distruzione della biosfera, è unirsi ai partecipanti a ‘The Flame Tree Project to Save Life on Earth’[Il progetto Flame Tree per salvare la vita sulla Terra], che delinea un semplice programma di riduzione progressiva dei consumi di almeno l’80%, riguardante sia l’energia sia le risorse di qualunque tipo – acqua, energia domestica, combustibili per trsporti, metalli, carne, carta e plastica – nonché di intensa espansione del proprio auto-affidamento individuale e comunitario in 16 settori.

Potreste anche essere interessati a firmare l’impegno online de ‘Lo Statuto del Popolo per creare un mondo nonviolento’ dove sono già elencati i nomi di molte persone intente a cercare di por fine alla guerra (e ad altra violenza).

Por fine alla Guerra non è impossibile; tutt’altro, effettivamente. Ma ci vorrà una quantità fenomenale d’intelligente sforzo strategico, coraggio e dedizione.

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Robert Burrowes, Ph.D. è membro della of the ReteTRANSCEND per pace, sviluppo e ambiente e ha l’impegno di una vita nella comprensione ed abolizione della violenza umana. Ha condotto estese ricerche dal 1966 nel tentative di capire perché gli esseri umani siano violenti ed è un attivista nonviolento dal 1981. E’ autore di  Why Violence? Websites: (Charter)  (Flame Tree Project)  (Songs of Nonviolence) (Nonviolent Campaign Strategy) (Nonviolent Defense/Liberation Strategy) (Robert J. Burrowes) (Feelings First)

Email: [email protected]

EDITORIAL, 12 Nov 2018, #560 | Robert J. Burrowes, Ph.D. – TRANSCEND Media Service

Titolo originale: The War to End War 100 Years On: An Evaluation and Reorientation of our Resistance to War

Traduzione di Miki Lanza per il Centro Studi Sereno Regis

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