Il processo Solvay di Spinetta Marengo

MEDICINA DEMOCRATICA SARÀ PRESENTE ALLA LETTURA DELLA SENTENZA E ATTUERÀ UN PRESIDIO DAVANTI AL TRIBUNALE DI TORINO LA MATTINA DEL 20 GIUGNO A PARTIRE DALLE H: 9.00

Mercoledì prossimo 20 giugno, la Corte d’Assise d’Appello di Torino, Sezione Prima Penale, presieduta dal dott. Fabrizio Pasi, pronuncerà la sentenza nei confronti di diversi dirigenti delle società Ausimont – Solvay di Spinetta Marengo in provincia di Alessandria.

La cosiddetta “emergenza cromo” scoppiò ad Alessandria nel 2008, quando un’azienda proprietaria di un terreno confinante con lo stabilimento – che fu prima di Montedison, poi di Ausimont e, infine, Solvay, – fece fare delle analisi al fine di eseguire dei lavori. Furono trovati valori fino a cento volte quelli consentite dai limiti di legge di cromo esavalente. Le sostanze inquinanti però erano molte di più, una ventina. La procura di Alessandria aprì un’inchiesta, culminata nel rinvio a giudizio dei vertici dell’azienda.

L’accusa nei loro confronti è che fossero informati delle discariche di rifiuti tossici interratie delle perdite degli impianti chimici ma che nonostante ciò non abbiano fatto nulla, o comunque troppo poco, per impedire che l’inquinamento si propagasse fino a contaminare la falda acquifera de territorio, la terza per importanza del Piemonte. Per questa ragione i dirigenti ed ex amministratori della aziende del polo chimico di Spinetta Marengo Ausimont – Solvay devono essere condannati, come ha sostenuto, nella requisitoria finale dello scorso marzo, il procuratore generale della corte d’Assise d’Appello di Torino, la dott.ssa Nuccio al processo che si sta svolgendo a palazzo di Giustizia proponendo per sette degli otto imputati pene pesanti – da 15 a 17 anni di reclusione – ma commisurate alla gravità dei reati: avvelenamento doloso delle acque ex art. 439 c.p.

Il processo di primo grado iniziato il 14 dicembre 2010 e concluso nel dicembre 2015 è stato lungo e complesso. Davanti alla Corte d’Assise di Alessandria i delitti erano stati riconosciuti ma solo come colposi e le pene comminate sono state relativamente lievi, proprio perché la responsabilità era stata considerata non dolosa. Già durante quel primo processo Medicina Democratica si è profondamente impegnata, anche con i propri consulenti tecnici, i dottori Fulvio Baraldi, Luigi Mara e l’ing. Bruno Thieme. In un processo di questa portata si fa scienza come forse più che all’università. Occorre spiegare, motivare, portare evidenze scientifiche, supportate da una vasta letteratura su ogni argomento, confutando in maniera puntuale le tesi delle controparti (i legali e i consulenti delle difese). Di tutto ciò rendono testimonianza la sentenza di primo grado, l’Appello del Pubblico Ministero e le richieste del Procuratore Generale presso la Corte d’Assise d’Appello di Torino (dott.ssa Marina Nuccio), nonché l’arringa dell’avvocato Mara, terminata con il deposito di una corposa memoria, oltre che le conclusioni rassegnate dagli altri difensori di parte civile.

Ora vi è stato un rovesciamento della prospettiva: le accuse sono per reati dolosi, e le pene richieste conseguenti. Il Pubblico Ministero dott. Riccardo Ghio aveva infatti anteposto Appello contestando in parte la sentenza di primo grado. Il Procuratore Generale della Corte d’Assise d’Appello di Torino ha completato il quadro con una precisa e puntuale requisitoria dimostrando con i documenti la gravità dei fatti perché, a suo giudizio:
– gli imputati erano a conoscenza dell’inquinamento ambientale provocato dagli sversamenti della fabbrica e nessuna azione è stata predisposta tempestivamente per contenere le conseguenze dannose;

– nelle acque sotterranee erano presenti sostanze tossiche e cancerogene (cromo esavalente, solventi clorurati, tetracloruro di carbonio, metalli pesanti ed altro ancora);

– gli imputati avevano tenuto sotto silenzio i dati delle indagini degli enti di controllo (NOE e ARPA) e non avevano considerato le ordinanze sindacali;

– i lavoratori e i cittadini erano in condizione di pericolo e diversi di questi avevano subito danni gravi alla salute fino al decesso.

Precisa e circostanziata è stata la discussione finale dell’avvocato Laura Mara a difesa delle parti civili costituite da Medicina Democratica e da singole persone esposte e danneggiate, terminata con il deposito di una corposa memoria. Oltre a queste, sono una ventina le parti civili ammesse al processo di Appello, tra cui il ministero dell’Ambiente, associazioni che avevano denunciato la contaminazione e dipendenti e residenti di Spinetta Marengo. L’avvocato Mara ha ripercorso il processo di primo grado, mostrando i limiti della prima sentenza, ha ripreso le conclusioni tecniche dei consulenti e ha spiegato il significato dei valori limite (TLV) stabiliti per le sostanze riscontrate nelle acque di falda superficiale e profonda presso il sito Ausimont-Solvay e nei terreni limitrofi, valori che costituiscono un segnale di soglia del pericolo, ma che non garantiscono affatto la salute degli esposti anche se mantenuti entro i limiti di legge. Si tratta infatti di cancerogeni completi per l’uomo, come riconosciuto dalla IARC già nel 1990 e dalla stessa agenzia reiterato nella Monografia n. 100 del 2012, cha ha classificato il Cromo VI (esavalente) nel Gruppo I di classificazione delle sostanze pericolose (ovvero come sicuramente cancerogeno). Per Ausimont prima e Solvay poi, il superamento dei TLV addirittura dell’ordine di decine di volte, non costituiva un’emergenza tale da adottare provvedimenti contingenti.

Non stupisce purtroppo che uno studio epidemiologico condotto dal professor Ennio Cadum, consulente in primo grado, dimostri come tra gli abitanti del sobborgo di Spinetta Marengo vi sia una maggiore incidenza di neoplasie tumorali rispetto al resto del territorio.

La prima considerazione di ordine generale è che, a Spinetta Marengo così come nel resto del territorio nazionale, le industrie chimiche, tanto più se grandi e importanti, non hanno tenuto in alcun conto l’ambiente nel quale erano inserite (e spesso nemmeno i lavoratori impiegati). Il territorio è stato visto come un bene di consumo: sfruttato, utilizzato, inquinato e, alla fine, abbandonato nel suo stato di fatto ormai drasticamente modificato. I danni sono stati subiti in primis dalla popolazione limitrofa alle zone pesantemente inquinate che si trova a dover sopportare anche i costi di bonifica assolutamente elevati.

La seconda considerazione riguarda i processi: Medicina Democratica è stata ed è parte civile in numerosi processi penali con imputazioni per reati ambientali e per lesioni personali e omicidi colposi amianto-correlati ed ha assistito a diverse assoluzioni degli imputati, basate su motivazioni che contraddicono non solo la regola generale che impone al datore di lavoro l’adozione della migliore tecnologia sicura per le lavorazioni, ma soprattutto con l’art. 2087 del codice civile che obbliga l’imprenditore a tutelare l’integrità psico-fisica dei propri dipendenti. Non a caso in una delle sentenze assolutorie, abbiamo tristemente riscontrato argomentazioni giustificative di tale comportamento da parte dei vertici aziendali del tipo come: “… l’impiego dell’amianto era, all’epoca delle condotte, regola industriale pressoché universalmente praticata, … che ha affondato le proprie radici nel sistema industriale dell’epoca, sistema che non tocca all’organo giurisdizionale giudicare”.

Dunque, inquinare l’ambiente era normale, come lo era non manutenere gli impianti, non occuparsi delle perdite di sostanze tossi-cancerogene, oltre che utilizzare sostanze notoriamente e universalmente riconosciute come nocive. In capo agli imputati non grava solo la responsabilità di aver provocato malattie e morti a molti cittadini, che dovranno oltretutto riuscire a districarsi nella tortuosa strada giudiziaria per dimostrare le cause del loro male, vi è anche la responsabilità quella di aver condannato intere popolazioni alla paura, al timore, al “metus” giuridico di essere state esposte, per lungo tempo, ai noti cancerogeni provenienti dal sito industriale di Spinetta Marengo.

Torino 14 giugno 2018

Fulvio Aurora – Responsabile delle vertenze giudiziarie di Medicina Democratica, Milano
Enzo Ferrara  –  Responsabile sezione di Medicina Democratica, Torino

 

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