Presentazione del libro L’Umanità di uno scienziato. Antologia di Giulio Alfredo Maccacaro

Seminari Ambiente, Salute e Democrazia
venerdì 10 giugno 2011 – ore 17.30
Sala Gandhi – Centro Studi Sereno Regis – via Garibaldi, 13 – Torino

Presentazione del libro L’Umanità di uno scienziato. Antologia di Giulio Alfredo Maccacaro (Edizioni dell’Asino 2011). Un’ultima occasione per riflettere su Salute, ambiente e democrazia prima dei referendum del 12 e 13 giugno

Interverranno:
Benedetto Terracini, già direttore di Epidemiologia e prevenzione;
Roberto Bertucci, medico, redattore di Lavoro e salute;
Enzo Ferrara, curatore dell’antologia.

Gli scritti di Giulio A. Maccacaro (1924-1977) – medico, scienziato, organizzatore sociale e culturale, fondatore di Medicina Democratica, rinnovatore del sistema sanitario italiano – ci interrogano sui doveri del medico in una società come quella contemporanea, attraversata da ingiustizie, conflitti e contraddizioni profonde che si riflettono anche negli interventi in difesa della salute.

Maccacaro mostra la realtà della medicina come dottrina sociale, oltre che tecnica e attraverso l’analisi dei suoi rapporti con le altre scienze e il potere ne mette in questione lo status, presunto, di scienza “neutrale”. I suoi scritti danno risalto al carattere universale e solidaristico delle discipline mediche e denunciano l’espropriazione del controllo sulle cure e sulle terapie a danno dei lavoratori, portando al rifiuto di ogni separazione tra medici e pazienti a favore di un concetto ampio di partecipazione e costruzione della salute come bene e diritto collettivo, frutto in primo luogo dell’azione politica e sociale.

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Mi prendo l’acqua e la spreco come voglio

Da qualche giorno lo “spettro della siccità” e la “morsa della sete” fanno grandi titoli sui quotidiani: si legge di fiumi in secca, colture inaridite, raccolti perduti, città boccheggianti. Su tutto ciò grava una congiuntura meteorologica sfavorevole: così il mostro da sbattere in prima o in altra pagina e la “calamità naturale” e, per definizione e consuetudine, conta molte vittime e nessun colpevole. Ma, sotto tutto ciò, che c’è veramente? Forse un Paese in cui mancano, per inopinata congiuntura di venti e di nubi, quelle precipitazioni idriche che saremmo ben pronti a raccogliere con oculatezza, a utilizzare con tempestività, a trasformare con accortezza? È proprio vero il contrario.

Dal che si può fermare documentatamente che se il nostro patrimonio idrico e l’inerente sistema di distribuzione sono oggi così vulnerabili e soccombenti di fronte a un’evoluzione sociale non favorevole ma non imprevedibile, ciò è ancora effetto di un trentennale malgoverno clientelare che ha lasciato trasformare anche l’acqua in oggetto di speculazioni, che non ha posto freno o disciplina al drenaggio e all’inquinamento perpetrati a mani basse dalle imprese, che non ha saputo promuovere adeguate ricerche scientifiche finalizzate all’interesse del Paese, che non ha intrapreso nemmeno il censimento dei pozzi nelle altre iniziative per salvare un bene naturale e collettivo, qual è l’acqua, dal diventare un altro “greggio”, come il petrolio che non scorre più verso il bisogno ma verso il profitto.

Per capire le cose bisogna rileggere la storia: anche l’acqua ha una storia. Basta ricordare, come fece un acuto studioso come Ezio Tabacco, che fin quando si ebbe grande eccedenza di disponibilità idrica sul fabbisogno, cioè fin poco oltre l’esordio di questo secolo, l’acqua non aveva valore di scambio ma soltanto valore d’uso: non era quindi una merce. Nel mezzo secolo successivo la domanda agricola e civile continuò a crescere senza scontrarsi ancora con i limiti dell’offerta naturale, pur avvicinandosi progressivamente: si sviluppò soltanto il settore scientifico-tecnologico relativo alla trasformazione in energia elettrica dell’acqua, che cominciava così a diventare merce. È questa nuova identità che si afferma come unica e soverchiante e determina la fondazione di una nuova impresa, l’industria dell’acqua, destinata alle grandi concentrazioni per la spartizione di concessioni paragonabili alle petrolifere.

Così accade che dei tre consumi fondamentali dell’acqua: civile, agricolo e industriale, il terzo diventi preminente sugli altri, non solo per il volume del suo drenaggio ma per l’entità dell’inquinamento che, in assenza di leggi efficaci o in presenza di leggi inapplicate, rende non più utilizzabili e riciclabili le acque rimesse dallo sfruttamento industriale.

E accade che una temporanea siccità, che oggi scopre la terra all’arsura, possa essere usata a coprire la sete d’acqua che affligge il nostro Paese da molti anni. Non perché esista una reale mancanza di disponibilità idrica o di risorse utilizzabili; non perché le tecniche da impiegarsi per l’approvvigionamento, la conservazione, il trattamento e la distribuzione non siano note e praticabili. Ma perché manca e si è voluto che mancasse un più razionale sistema distributivo che distingua tra acquedotti civili, industriali o agricoli e perché se si deve consentire, anzi annullare il prezzo dell’acqua per uso civile, è ora di darle un prezzo di mercato per gli usi agricoli industriali; evitandone la dilapidazione privilegiata dei grandi consumatori.

Dunque, la sete degli italiani e della loro terra non è solo un problema meteorologico. È un problema politico che va risolto come tale.

Giulio A. Maccacaro, «Tempo», 11 luglio 1976

 

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