La giustizia riparativa: un cambio di paradigma.

Elena Camino

La giustizia riparativa è un paradigma che include pratiche di accoglienza e cura delle persone, delle relazioni, delle comunità sociali: tutte in sofferenza a causa del crimine o di altri illeciti e con un bisogno di riparazione del danno, di ricostruzione del senso di fiducia, di risanamento delle ferite delle persone e di ricomposizione delle fratture del tessuto sociale.

Il nuovo ‘pacchetto sicurezza’

Il 16 novembre 2023 il Consiglio dei Ministri ha approvato un nuovo ‘pacchetto sicurezza’. Il disegno di legge è composto di 21 articoli, e spazia tra campi molto diversi tra loro.  Particolare attenzione viene data alla repressione della microcriminalità, e al potenziamento degli apparati di sicurezza. Il giorno successivo, su Il Manifesto, leggo un articolo firmato da Riccardo de Vito che ha per titolo “Le nuove norme e quel che c’è dietro. Il codice penale come misura del mondo”. L’Autore è molto critico, e sottolinea quelli che sono – a suo parere –  i tratti di una legislazione solo repressiva, che da un lato colpisce i più deboli (donne, migranti), contribuendo a sovraffollare le carceri già al limite del collasso; dall’altra aumenta ulteriormente i diritti e i poteri delle forze di polizia.

Riccardo de Vito conclude il suo articolo sottolineando che “la critica alle politiche ‘tolleranza zero’ del governo non porterà da nessuna parte se chi si oppone non proverà a costruire, possibilmente dal basso, una cultura e una pratica politica alternativa a quella del pugno duro”.

Mi è spiaciuto un po’ che l’Autore non abbia citato le ricerche e le esperienze che ormai da anni sono in corso, volte a costruire, sperimentare e trasformare in leggi una nuova visione della giustizia, e una nuova prospettiva sulle norme e sulle pratiche alle quali potrebbe ispirarsi: si tratta della ‘giustizia riparativa’. Ve ne parlerò più avanti.

La Commissione per la verità e la riconciliazione

Molti hanno sentito parlare della “Commissione per la verità e la riconciliazione”: un tribunale straordinario istituito in Sudafrica dopo la fine del regime dell’apartheid[1]. Lo scopo del tribunale era quello di raccogliere la testimonianza delle vittime e dei perpetratori dei crimini commessi da entrambe le parti durante il regime, e richiedere e concedere (quando possibile) il perdono per azioni svolte durante l’apartheid. L’obiettivo era quello di promuovere una reale riconciliazione tra vittime e carnefici, oppressori ed oppressi.

Nelson Mandela, che appoggiò questa scelta, si proponeva di sanare le ferite del Sudafrica attraverso la costruzione di un dialogo tra vittime e carnefici, in antitesi al paradigma della “giustizia dei vincitori” o della corte penale internazionale, spesso orientata alla sola punizione dei colpevoli.  La commissione ebbe precise indicazioni di ascoltare testimonianze da entrambe le parti in causa, e di giudicare anche l’operato della componente africana, e in particolare dei membri dell’African National Congress (ANC) e di altre organizzazioni anti-apartheid. Il mandato chiariva che lo scopo principale della commissione doveva essere una ricostruzione quanto più accurata possibile dei fatti avvenuti, e non la punizione dei colpevoli.

I risultati della Commissione, presieduta da Desmon Tutu (arcivescovo della Chiesa anglicana dell’Africa meridionale), furono pubblicati il 28 ottobre 1998.  Pur accolta da molte critiche, e avendo ottenuto solo una parziale riconciliazione tra le parti, l’esperienza della Commissione fu positiva, aiutò a far luce sul lungo periodo di abusi perpetrata dal regime, e a ottenere numerose riconciliazioni tra colpevoli e vittime.  Essa rappresenta ad oggi la più nota applicazione del concetto di giustizia riparativa (o Restorative Justice) nell’ambito della violazione dei Diritti dell’Uomo.

Alternative alla repressione?

E’ stato pubblicato nel 2011, per la casa editrice Ponte alle Grazie, un libro firmato da Gherardo Colombo[2] dal titolo Il perdono responsabile. Si può educare al bene attraverso il male? Le alternative alla punizione e alle pene tradizionali.

<<Quando ho iniziato la carriera di magistrato ero convintissimo che la prigione servisse, ma presto ho cominciato a nutrire dubbi. Anche se non l’ho detto mai, ritenevo giusto, ad esempio, proporre che i giudici, prima di essere abilitati a condannare, vivessero per qualche giorno in carcere come detenuti. Continuavo a pensare che il carcere fosse utile; ma piano piano ho conosciuto meglio la sua realtà e i suoi effetti. Se il carcere non è una soluzione efficace, ci si arriva a chiedere: somministrando condanne, sto davvero esercitando giustizia?>>

L’Autore parte dalla considerazione  che gran parte dei condannati a pene carcerarie torna a delinquere; la maggior parte di essi  non viene riabilitata, come prescrive la Costituzione, ma semplicemente repressa, e privata di elementari diritti sanciti dalla nostra carta fondamentale – come ne vengono privati i loro cari; la condizione carceraria, per il sovraffollamento e la violenza fisica e psicologica, è di una durezza inconcepibile per chi non la vive, e questa durezza incoraggia tutt’altre tendenze che il desiderio di riabilitarsi.

Gherardo Colombo si chiede allora se non sia possibile pensare a forme diverse di sanzione, che coinvolgano vittime e condannati in un processo di concreta responsabilizzazione, e in questo libro indaga le basi di un nuovo concetto e di nuove pratiche di giustizia che lentamente emergono negli ordinamenti internazionali e nel nostro. Pratiche che non riguardano solamente i tribunali e le carceri, ma incoraggiano un sostanziale rinnovamento del tessuto profondo della nostra società: riguardano l’essenza stessa della convivenza civile.

La giustizia riparativa

In un libro edito da Carocci nel 2019 la curatrice, Patrizia Patrizi [3], in collaborazione con numerose colleghe e colleghi, delinea le nuove frontiere della giustizia riparativa (restorative justice) secondo le prospettive del più recente dibattito nazionale e internazionale. La giustizia riparativa è un paradigma che include pratiche di accoglienza e cura delle persone, delle relazioni, delle comunità sociali: tutte in sofferenza a causa del crimine o di altri illeciti e con un bisogno di riparazione del danno, di ricostruzione del senso di fiducia, di risanamento delle ferite delle persone e di ricomposizione delle fratture del tessuto sociale.

Il libro, caratterizzato da un approfondito dialogo interdisciplinare, evidenzia la varietà dei programmi che rientrano nel paradigma della restorative justice, la fondamentale presenza della comunità, la trasversalità delle applicazioni nei diversi contesti di vita, l’ottica orientata al benessere di persone e gruppi sociali.

Nell’introduzione Patrizia Patrizi sottolinea la presenza di “una convivenza sociale costantemente minacciata da atteggiamenti interni difensivi, espulsivi e securitari, e da corrispondenti sentimenti di sfiducia in una giustizia percepita come lontana e inefficace”. Secondo l’Autrice “è sempre più sentita la necessità di un cambiamento in grado di recepire il malcontento senza cavalcarne l’onda autodistruttiva, ma ascoltando le voci della non violenza, pure presenti nelle nostre comunità di vita e sempre più attive nei movimenti pacifisti e per l’uguaglianza di tutte e di tutti.”

La giustizia riparativa si prospetta come una giustizia delle persone e delle relazioni, come risposta rigenerativa. Elemento focale è la partecipazione attiva della vittima, dell’autore di reato e quanto più possibile delle altre parti (la comunità).  La giustizia riparativa non intende ‘rimuovere’ il passato, ma utilizzarlo per la prospettiva di un futuro di protezione e sicurezza, fiducia, responsabilità e benessere di tutte le parti coinvolte. Non intende ridurre la portata giuridica del crimine, ma lavorare su ciò che il reato contiene: persone autrici e vittime, luoghi e comunità, danni, sofferenze.

I numerosi capitoli di questo libro offrono interessanti stimoli in questo senso, come si può intuire scorrendo i titoli degli 11 capitoli, ciascuno riccamente articolato al suo interno. Si parla di giustizia riparativa ‘positiva’, di immaginazione riparativa, di una giustizia ‘che cura’, delle potenzialità del ruolo delle comunità… La giustizia riparativa propone dunque – in tutte le sue articolazioni – un’inversione culturale rispetto allo schema tuttora dominante, per cui al male si risponde con il male. Nella restorative justice tre soggetti – vittime, colpevoli e comunità – sono coinvolti nella costruzione di un futuro in cui l’immagine della Giustizia non sia più rappresentata dal potere della spada, dalla cecità della benda e da una bilancia che pesa il male fatto con il male da affliggere [4].

Oltre la rilevanza penale

Il libro curato da Patrizia Patrizi – e in generale le pratiche riparative – non riguardano solo i comportamenti a rilevanza penale, ma più in generale i diversi conflitti che possono generarsi nella comunità (scuola, vicinato, contesto di lavoro). I principi sui quali si basa sono la partecipazione volontaria basata sul consenso informato, la comunicazione diretta e autentica, processi progettati per soddisfare le esigenze e la cultura dei partecipanti, la valutazione equa dei bisogni e dei desideri dei partecipanti, una facilitazione non giudicante, l’importanza del dialogo…

Da queste parole emerge la sintonia con altri ambiti di ricerca, di riflessione e di azione: in particolare con la teoria e la pratica della trasformazione nonviolenta dei conflitti, a cui il Centro Studi Sereno Regis ha dedicato sempre grande attenzione [5],[6].  Si aprono così interessanti opportunità di dialogo e di sinergia, verso percorsi condivisi per restaurare, costruire e sviluppare relazioni umane (non solo nell’ambito della giustizia) indirizzate al ben-essere di tutti/e.


NOTE

[1] https://it.wikipedia.org/wiki/Commissione_per_la_verit%C3%A0_e_la_riconciliazione_(Sudafrica)

[2] Pubblico ministero presso la Procura di Milano dal 1989 al 2005, poi giudice di Cassazione, ha lasciato la magistratura nel 2007.

[3] Professoressa ordinaria di Psicologia sociale e giuridica all’Università di Sassari, dove insegna Psicologia giuridica e pratiche di giustizia riparativa

[4] Nel corso del tempo numerosi artisti hanno proposto immagini molto critiche della giustizia e del diritto:

https://www.artearti.net/ius-est-ars-osmosi-tra-arte-e-diritto/la-dimensione-satirico-caricaturale-delliconografia-del-diritto-e-della-giustizia

https://www.artearti.net/ius-est-ars-osmosi-tra-arte-e-diritto/la-percezione-contemporanea-delliconografia-del-diritto-e-della-giustizia

[5] Erica Chenoweth, Come risolvere i conflitti. Senza armi e senza odio con la resistenza civile, Edizioni Sonda, Milano 2023. Versione italiana a cura di Angela Dogliotti

[6]https://serenoregis.org/2023/07/21/una-donna-chiamata-maixabel-note-su-violenza-dolore-e-dialogo/


 

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