Bettazzi, Pax Christi e la lotta per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza

Marco Labbate

Quando nel 1968 Luigi Bettazzi, da poco nominato vescovo di Ivrea, ricevette l’incarico di presiedere Pax Christi, questa aveva una dimensione spiccatamente spirituale: era la preghiera per la pace il carattere che contraddistingueva le caratteristiche routes. Il clima stava però cambiando, soprattutto per impulso dei giovani che partecipavano al movimento. Prima di Bettazzi altri vescovi avevano rifiutato l’incarico, forse intimoriti di dover guidare un movimento a forte trazione giovanile impegnato sul fronte della pace durante la guerra del Vietnam, nel pieno del Sessantotto.

Bettazzi invece accettò. Era a sua volta uno dei vescovi più giovani in Italia, ma con alle spalle esperienze significative: era stato vescovo ausiliario nella diocesi bolognese del cardinal Lercaro e aveva partecipato alle ultime sessioni del Concilio Vaticano II. Inoltre il suo impegno episcopale cominciava a caratterizzarsi per una spiccata originalità rispetto all’impegno pastorale dei vescovi italiani, articolandosi attorno alla riflessione sul rapporto Chiesa-mondo, alla giustizia sociale, all’aspetto rivoluzionario del cristianesimo, all’attenzione al mondo del lavoro e ai suoi contesti più precari e squilibrati, al rifiuto della guerra e all’adesione alla nonviolenza.

Questa ispirazione sarebbe stata alla base del nuovo impulso inferto a Pax Christi italiana, sull’esempio di quanto aveva fatto per Pax Christi internazionale il nuovo presidente, il cardinale Alfrink, che ne aveva stimolato la dimensione sociale.

La novità si avverte fin da subito: lascia spazio ai giovani e al laicato, mentre da un punto di vista ideale si mette risolutamente sulla via di Giovanni XXIII e del Concilio. A meno di due mesi dalla nomina, lo stacco si avverte in una nuova ritualità, che unisce la tradizione delle routes con le marce capitiniane. Pax Christi avrebbe festeggiato il Capodanno infatti camminando, con una marcia per la pace, che celebrava, più della fine dell’anno, la giornata mondiale della pace istituita l’anno prima da Paolo VI per il 1° gennaio. La prima marcia è un omaggio a Giovanni XXIII, il papa della Pacem in terris: da Bergamo si arriva a Sotto il Monte, suo paese natale, dove è celebrata la messa.

Ma l’anno successivo Pax Christi trasforma il suo impegno per la pace in atto politico. Un intero anno sarebbe stato dedicato al riconoscimento dell’obiezione di coscienza. Lo inaugura la seconda marcia per la pace, che arriva a Peschiera del Garda, per chiudersi in silenziosa preghiera davanti al carcere militare dove sono detenuti gli obiettori. Bettazzi diventa un punto di riferimento del discorso sull’obiezione di coscienza in Italia.

Per Bettazzi l’obiezione di coscienza è il nerbo di una più ampia teologia della pace. La questione coinvolge le fondamenta dello Stato: le nazioni autenticamente democratiche riconoscono l’obiezione: «solo le dittature – di sinistra o di destra – la rifiutano». Ma è soprattutto al punto di vista cristiano che Bettazzi si rivolge. Nella coscienza risiede la parola di Dio. E alla coscienza si lega il dilemma tra violenza e nonviolenza. L’invito di Gesù a Pietro a rimettere la spada nel fodero, perché «chi di spada ferisce, di spada perisce» è una massima universale. Gli obiettori non possono dunque essere ridimensionati a «individui marginali»: sono «membra vive» della Chiesa, che si pongono in una posizione profetica.

La sua solerzia per la causa si affianca alla vicinanza al mondo del lavoro, in particolare quello operaio che, nel Canavese patisce la crisi di alcune industrie locali. La solidarietà ai lavoratori in sciopero è percorsa dalla stessa ispirazione evangelica che muove quella verso gli obiettori. Entrambe sono unite anche nelle carte di prefetture e questure che sottopongono il vescovo e Pax Christi a un attento monitoraggio.

Foto di Enzo Gargano

Bettazzi prende posizione pubblica in favore dei giovani che obiettano, come Enzo Melegari. Quando uno di loro, Alberto Trevisan, è aggredito verbalmente da «un gruppo di ex alpini bellunesi che si vergognano di avere un concittadino come te» interviene in sua difesa esternando la sua preoccupazione contro una tale «penosa impressione di poca intelligenza», rispetto alla quale il mondo militare si sarebbe dovuto interrogare: «Se l’esercito educasse così, bisognerebbe davvero sopprimerlo in nome della democrazia».

Interviene anche in difesa di un professore, Giuseppe Marasso, minacciato dal provveditore scolastico di un grave provvedimento per avere impresso sul muro di una chiesa una scritta contro i cappellani militari: Bettazzi non aderisce al gesto «rozzo», ma nemmeno approva che un tale provvedimento venga impartito a un docente non in servizio, basando la condanna più che sul modo sul contenuto della scritta.

L’impegno sociale e pacifista di Bettazzi gli costa numerosi interventi ostili che provengono dalle componenti più reazionarie del cattolicesimo, ma anche da formazioni di estrema destra. Uno dei momenti di maggior tensione si raggiunge alla marcia della pace del Capodanno 1972, che si svolge da Condove a Sant’Antonino. È interrotta per un paio d’ore da un falso allarme bomba: piazza Fontana non era così lontana.

Quando infine, nel dicembre del 1972, il Parlamento riconosce l’obiezione di coscienza al servizio militare egli interviene subito per evidenziare la necessità di modificare una legge nella quale erano presenti troppe restrizioni che non garantivano un pieno diritto di scelta. La nascita del servizio civile lo vede ancora protagonista. La Casa dell’ospitalità di Ivrea – da lui voluta come una realtà diocesana capace di diventare «la casa di chi non ha salute, di chi non ha affetti, di chi non si sente di affrontare da solo la vita, di chi non ha l’assistenza a cui avrebbe diritto» – sarebbe divenuta un laboratorio volto a superare le differenze tra ospiti e operatori, ma anche un luogo di riferimento dei primi obiettori, infatti assieme all’Ospedale psichiatrico di Trieste di Franco Basaglia e alla Comunità di Capodarco di don Monterubbianesi avvia i primi corsi di formazione per giovani in servizio civile.

Nella sua lunga vita Bettazzi sarebbe poi divenuto presidente di Pax Christi internazionale, mentre sarebbe toccato a don Tonino Bello raccogliere il suo testimone di pace per Pax Christi. Tonino Bello ne sarebbe stato, al tempo stesso, il prosecutore, l’amico fraterno, il discepolo e, come lui stesso amava ricordare, il maestro. In realtà il legame tra Pax Christi e Bettazzi non si sarebbe mai davvero sciolto: divenutone presidente emerito avrebbe continuato a seguire le marce della pace ogni fine dell’anno, fino all’ultimo, a Gravina di Puglia.

Nel 2021 al Centro Studi Sereno Regis abbiamo raccolto la testimonianza del suo impegno per la pace e per l’obiezione di coscienza dagli anni del Concilio fino a oggi in una lunga intervista. Ecco un piccolo estratto.


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