Guardare i nuovi barbari
Non c’è bisogno di essere Seneca per osservare che la Sicilia incarna così tanti archetipi perfetti di Bellezza che tutto sembra sovrumano: a guardare i nuovi barbari da in cima alla montagna
È un altro splendido tramonto nel lembo occidentale della costa siciliana, e mi trovo proprio di fronte al Real Duomo di Erice, il plurimillenario “Monte”, cantato da Virgilio nell’Eneide come “vicino alle stelle”, e fondato dal mitico omonimo figlio di Venere e Bute che divenne re degli Elimi, un’antica tribù che si stabilì in queste terre.
Benvenuti in un regno di dei e semidei, eroi e ninfe, santi ed eremiti, Fede e Arte, che ancora oggi sopravvive come un magnifico borgo medievale praticamente intatto.
Dopo secoli e secoli di splendore, di miseria e di guerre, è illuminante ricordare come Tucidide ricordasse i “Troiani in fuga” che arrivavano con le loro navi in Sicilia e poi interagivano con i Sicani e gli Elimi, “mentre le loro città portavano i nomi di Erice e Segesta”.
E poi, molto più tardi, racconta Tucidide, i Segestani portarono ambasciatori da Atene al tempio di Afrodite a Erice: è lì che si ritrovavano tutti i fighetti dell’epoca.
Dall’appartamento di Ruggero II, re di Normandia, a Cefalù alla fine dell’XI secolo, alle calette e alle insenature che graffiano le rive dell’azzurro intenso del Mar Tirreno; dalla Venere venerata a Erice alla Venere venerata a Segesta, è in questi regni intrisi di storia e mitologia che mi è capitato di seguire, a distanza di sicurezza, una manifestazione piuttosto prosaica e provinciale della post-modernità: uno spettacolo di clown a Vilnius pubblicizzato come vertice della NATO.
Immaginate un epigono di Dionigi di Alicarnasso, storico greco dell’inizio del I secolo che ripercorre l’arrivo di Enea e dei Troiani in Sicilia e sottolinea come l’altare di Venere sulle alture di Erice sia stato eretto dallo stesso Enea per onorare la madre, che reagisce al “cerimoniale” messo in scena da un gruppo di rampanti nordatlantici, guidati da una superpotenza in declino che qualifica la Sicilia crocevia del mondo come un semplice AMGOT: “American Government Occupied Territory”.
Beh, non c’è bisogno di essere Seneca, nella Roma del primo secolo, per osservare che la Sicilia, come nessun altro posto al mondo, incarna così tanti archetipi perfetti di bellezza che tutto sembra sovrumano.
Perciò era impossibile non vedere lo spettacolo di clownerie della NATO per quello che era: una pacchiana e trashissima fregatura cripto-aristofanea – e priva della minima traccia di umorismo autoironico.
Uno spettacolo di clownerie che cade a fagiolo
Tra il cast di personaggi minori, particolarmente abile è stato il piccolo guerrafondaio in felpa, spietatamente snobbato dalla presunta A-list.
Uno dei suoi impotenti ministri ha posto il dilemma: quali condizioni dobbiamo soddisfare per far parte del club, e chi fa le regole?
Purtroppo la semidea Maria Zakharova, nostra contemporanea di Mercurio, il messaggero degli dei, non era disponibile di persona per sedare i suoi dubbi, ma lo ha fatto comunque, da lontano: se non si conoscono le regole del gioco, significa che non si sa nulla dell'”ordine internazionale basato sulle regole”.
Ancora una volta, non serve un dottorato di ricerca su Tacito – un altro grande fan del tempio di Venere a Erice – per sapere come funziona.
L’iperpotenza in declino ha inventato la questione delle “regole”. In realtà non ci sono regole. Le inventano di sana pianta. E le cambiano se i risultati non corrispondono alle loro aspettative. Tiberio – di cui Tacito fa la cronaca – ne sarebbe rimasto impressionato.
L’alternativa al racket mafioso delle “regole” si chiama “diritto internazionale”: un concetto che si dà il caso sia debitamente sostenuto dal Sud globale, o Maggioranza globale.
Passiamo ora alla trama principale della pagliacciata. La NATO ha formulato esplicitamente che “non vuole” una guerra con la Russia. Traduzione: sono assolutamente terrorizzati. Più spaventati che se Zeus in carne e ossa li minacciasse con un milione di saette (o il loro epigono postmoderno: il signor Khinzal).
Quello che la NATO – tramite i veri padroni, gli americani, o il loro pezzo di legno norvegese che si spaccia per uomo al comando – non potrebbe mai ammettere in pubblico è che ha meno di zero risorse per una vera guerra.
La Russia, invece, ne ha a bizzeffe.
La NATO, già miseramente umiliata in Afghanistan, è ora in fase di spietata e metodica smilitarizzazione, un processo che va di pari passo con lo stato economico sempre più disastroso di tutti i membri della NATO.
La guerra? Contro una superpotenza nucleare e ipersonica? Non ci sono dubbi, Tucidide.
Guardare i nuovi barbari
C’è poi la storia di un personaggio importante che ha finito per fare colpo: il Sultano. Può essere un potentato neo-ottomano o un semplice truffatore di strada, ma alla fine ha ottenuto ciò che gli serviva: il denaro nella borsa.
Beh, non ancora nella bara: visto che si tratta di un racket del FMI, il denaro arriverà con un miliardo di condizioni.
Le cose stanno così. Il Sultano è al verde. La Turchia è al verde. Le riserve di valuta estera stanno finendo nel Bosforo. Cosa deve fare il Sultano? Fare miseramente default? Vendere ciò che resta dell’oro di palazzo? O piegarsi al FMI?
Non c’è una pistola fumante su chi abbia chiamato chi per primo per organizzare l’accordo. Ad Ankara potrebbe essere stata promessa un’ancora di salvezza fino a 13 miliardi di dollari – di fatto una paghetta. Il Sultano avrebbe potuto ottenere un accordo molto migliore con i cinesi “win-win”, con tanto di progetti di investimento BRI in serie.
Eppure ha deciso di giocare le sue carte con la NATO, non con l’Eurasia. La realtà non ci metterà molto a dettare le sue condizioni. La Turchia non sarà mai ammessa nell’Unione Europea, che sta vacillando. Gli americani potranno costringere Bruxelles a farlo – ricordate le “regole” – ma fino a un certo punto.
Vendere tonnellate di droni Bayraktar in più a Kiev – sì, è un racket della famiglia Sultano – non cambierà nulla sul campo di battaglia.
Tuttavia, inimicarsi contemporaneamente la partnership strategica tra Russia e Cina e la loro spinta all’integrazione dell’Eurasia – attraverso la SCO, i BRICS, l’EAEU – altera lo scacchiere.
Il Sultano potrebbe condannare la Turchia al ruolo di spalla secondaria – con un tempo di proiezione quasi nullo – nella trama che conta davvero: il secolo eurasiatico.
Il Ministero degli Affari Esteri di Mosca, riflettendo sulla pagliacciata di Vilnius, ha osservato che il mondo non sarà trasformato in un “globo NATO”. Certo che no: quello che ci aspetta è stato definito dal Vecchio Luka, l’Oracolo di Minsk, come il “Globo Globale“.
Ma basta con le “regole”. In una splendida mattinata di sole, dopo aver lasciato il Mare Tirreno e aver guidato verso l’interno, mi sono trovato proprio di fronte al tempio di Segesta, il centro più importante degli Elimi, uno dei popoli originari della Sicilia prima dell’arrivo dei Greci.
Segesta, per secoli, fu alleata di Cartagine e poi di Atene. Il tempio è l’incarnazione della perfezione dorica assoluta. La sua costruzione fu iniziata nel 430 a.C. Ma potrebbe essere stata abbandonata vent’anni dopo, quando Segesta fu conquistata da… Cartagine.
La storia, sempre capricciosa, ha fatto sì che il sito sia attualmente denominato Monte Barbaro. Questo deriva dalla denominazione data a Segesta dagli arabi: Calatabarbaro. La giustizia poetica ha colpito ancora: così ero lì, sotto il sole cocente, in cima a un plurimillenario Monte Barbaro, a guardare i Nuovi Guerrafondai Barbari tessere il loro velenoso “ordine basato sulle regole”.
Fonte: Strategic Culture Foundatione, 18 luglio 2023
Traduzione di Enzo Gargano per il Centro Studi Sereno Regis
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