Di-segno nero: come parla la destra?
Gli ospiti del terzo incontro del ciclo “Di-segno nero” organizzato dalla fondazione Giangiacomo Feltrinelli, questa volta si sono concentrati ad analizzare il linguaggio utilizzato dalla galassia di destra, in quanto è anche attraverso l’uso che fanno delle parole che i politici e i militanti riescono a manipolare la realtà e a fare presa sulla popolazione.
Andando a vedere il modo in cui comunica il mondo della destra radicale, dobbiamo innanzitutto andare a vedere le tematiche che vengono portate avanti e sostenute. Nel discorso di insediamento di Orbán, ad esempio, possiamo rintracciare i punti salienti di questa comunicazione: patria, famiglia e libertà. Mentre le prime due tematiche si rifanno ad istanze tipiche della destra tradizionale, la terza risulta essere una concezione più recente e che porta con sé più confusione. Sul concetto di difesa della patria e della famiglia tradizionale infatti, i partiti di destra si spendono da tantissimo tempo; quello che è avvenuto negli ultimi anni è stato un progressivo adattamento di queste battaglie “classiche” alle questioni più moderne, legate ad esempio ai fenomeni migratori e ai diritti della comunità LGBT+.
Ecco quindi che i confini della patria vanno difesi in ottica della “Grande sostituzione” che sarebbe in atto da parte delle classi politiche al potere in Europa, con l’obiettivo di sostituire appunto la popolazione bianca e cristiana con quella proveniente da altri continenti e che professa altre religioni. È compito dei patrioti (termine che ha progressivamente sostituito quello di camerati) impedire anche con la forza che questo avvenga, e poco importa se questa teoria non ha nessuna base fattuale che possa confermarla.
Tra i valori che con questa “grande sostituzione” si andrebbero persi, spicca nella narrativa di destra quello della cosiddetta famiglia tradizionale. Nella concezione tradizionalista della destra infatti, la famiglia dovrebbe essere composta da una madre donna, un padre uomo e dei figli eterosessuali: non c’è spazio quindi per tutto il mondo LGBT+ che, nella loro ottica, non è meritevole di comporre una famiglia insieme alle persone con le quali sono legate da un sentimento di affetto o amore. Non solo: anche in questo caso ci sarebbe un piano segreto atto a distruggere questa concezione di famiglia tradizionale.
Secondo questa “teoria gender” tutte le attività e le iniziative che hanno come obiettivo il ridurre la discriminazione e la violenza nei confronti del mondo LGBT+ sarebbero in realtà finalizzate a “convertire” i bambini nati nelle coppie tradizionali, per farli aderire ad una visione del mondo non binaria e fluida. Quella che viene minacciata in questo caso, è l’identità sessuale eterosessuale, cosa che minaccerebbe la capacità riproduttiva della nostra specie. L’abile uso del linguaggio, unito ad una forte quota di paranoia e complottismo, riesce quindi a restituire una visione del mondo diversa dalla realtà ma aderente alle credenze che sono presenti in buona parte della popolazione, andando a toccare non tanto l’aspetto razionale ma quanto quello emotivo dell’elettorato.
Sul concetto di libertà invece, il discorso delle destre si fa più confuso e a tratti persino contraddittorio. Da un lato, il liberismo, soprattutto economico, è considerato un punto fermo indiscutibile, con la libertà di impresa e di espressione che vengono difesi strenuamente; dall’altro sono invece attaccate le libertà sociali che il liberismo ha portato con sé, come i diritti universali, le libertà delle donne e delle minoranze sessuali e il multiculturalismo. Si difende, in pratica, la libertà dell’individuo a discapito del benessere della comunità, la libertà di esprimersi in modo omofobo e sessista a discapito delle minoranze discriminate. Si tratta di difendere la libertà non di tutti, ma solo degli europei bianchi maschi ed eterosessuali.
Oltre al contenuto del linguaggio, durante l’incontro ci si è focalizzati anche sul modo in cui le destre comunicano. L’uso della disinformazione e delle fake news, è ormai riconosciuta come una strategia comunicativa usata dai partiti di destra ed estrema destra. Quello che avviene quindi, è la creazione ad hoc e la diffusione di informazioni false con lo scopo di dirigere l’attenzione e condizionare l’opinione pubblica verso le idee che vengono promosse da questi partiti.
Questo si sposa con la concezione che molti studiosi hanno del nostro tempo, definito come “era della post-verità” nella quale molte persone ritengono che la loro opinione che non si basa su evidenze, sia equiparabile ad un fatto assodato. Ma perché fare tutto questo? Per portare avanti un sentimento anti-establishment nei confronti delle classi politiche al potere, dal momento in cui in molti casi si trovano all’opposizione rispetto al governo. Oppure, quando essi stessi rappresentano l’establishment come nel caso di Orbán, il bersaglio diventa l’Unione europea, una forma quindi di establishment superiore.
C’è però un elemento che è comune a tutto questo discorso, ed è l’aggressività unita alla violenza verbale che viene usata nella comunicazione. Sarebbe infatti possibile promuovere le stesse idee senza dover per forza denigrare e offendere la controparte; si potrebbe costruire un dialogo per venirsi incontro, ma evidentemente non è questo l’obiettivo. Ciò che si vuole suscitare nell’elettorato, è invece un sentimento di divisione, di noi contro di loro, che inasprisce i rapporti con chi è diverso e fa sentire meglio chi ha paura dell’altro, perché “noi” siamo buoni mentre gli “altri” sono i cattivi, i nostri nemici. È a questo che mira quindi la destra usando un linguaggio d’odio e farcito di inesattezze e falsità, a porsi come alternativa tradizionalista contro tutti gli altri, che invece sono progressisti e “buonisti” e che non vogliono il bene del paese. Un linguaggio che non crea dialogo, ma lo distrugge.
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