Il software libero al centro del Recovery Plan

Autore
Arturo Di Corinto

Hacker’s Dictionary. Il software libero al centro del Recovery Plan10 miliardi per programmi open source, a cominciare dalla scuola e dalla pubblica amministrazione. Lo chiede un pioniere dell’informatica italiana come Angelo Raffaele Meo, professore emerito del Politecnico di Torino, insieme a decine di associazioni ed esperti del settore

Il software libero al centro del Recovery Plan
Foto di Génesis Gabriella da Pixabay

Proprio il giorno in cui la Casa Bianca nomina capo tecnologo un attivista ed esperto del software libero, David Recordon, ci giunge la lettera del professore Angelo Raffaele Meo. Chiede al governo italiano di destinare una parte dei soldi del Recovery fund all’informatica libera nel nostro paese.

Cosa si chiede al governo

Secondo il pioniere dell’informatica italiana, infatti, tra le più importanti ragioni delle difficoltà in cui si dibatte l’Italia c’è proprio la mancanza di aziende nostrane nel mercato di applicazioni e servizi informatici.

Per questo nella lettera chiede di cogliere «la splendida opportunità di rinascita rappresentata dall’avvento del software libero e dell’informatica libera». Lo chiede allo scopo di creare un nuovo mercato industriale con benefici economici dell’ordine di alcuni miliardi all’anno. Lo chiede perché «nel mondo alcuni milioni di programmatori già operano su centinaia di migliaia di progetti diversi. E attuano sicuramente tutte le funzionalità dei programmi software proprietari».

A questo proposito lo stimato professore ricorda che per evitare un «danno erariale digitale», «si dovrà operare perché le leggi che attualmente promuovono lo sviluppo e l’adozione di software libero nella pubblica amministrazione siano rispettate».

«Attualmente, la maggioranza delle pubbliche amministrazioni del nostro Paese adotta software proprietario, in violazione dell’articolo 68 del Codice dell’Amministrazione Digitale. Il Codice consente l’acquisizione di software proprietario soltanto quando si sia dimostrata, con adeguata relazione comparativa, la convenienza di quella scelta dal punto di vista tecnico-economico. Bisogna però tenere anche  conto del livello di utilizzo di formati di dati e interfacce di tipo aperto». Meo aveva guidato la commissione governativa che aveva sollecitato queste linee guida.

Ribadendo il testo di una precedente lettera alla ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina, dice: «Quasi tutte le scuole italiane adottano piattaforme statunitensi per la teledidattica. Questa è una chiara violazione delle norme nazionali e comunitarie per la sicurezza e la privacy (come il GDPR). Lo ribadiscono con forza anche la recente sentenza della Corte di Giustizia Europea relativa al noto caso Schrems II e le posizioni del Comitato europeo per la protezione dei dati».

Ed è ancora più deciso quando dice che: «Nell’ambito delle attività finanziate con il fondo per la ripresa ‘Next Generation EU’, non possano essere riconosciuti i costi relativi a software proprietario.

Per incentivare lo sviluppo di un’industria europea del software libero attuando gli scopi del fondo che guarda alle generazioni future e ai valori dell’Unione Europea si dovranno finanziare solo servizi relativi a software libero».

Ma non basta.

Il professore, cogliendo la sensibilità di operatori e associazioni come Assoprovider, afferma: «Noi sogniamo una rete neutrale e scalabile, nella quale l’identità e i dati di tutti i cittadini che vi accedano siano protetti “by design” e nella quale sono disponibili servizi distribuiti e federati».

Meo conclude: «Ci vuole una rete nazionale della scuola che risponda a queste caratteristiche, utile anche ai fini della teledidattica».

Per tutti questi motivi chiede almeno 10 miliardi di investimento.

Non è solo, infine.

La lettera è firmata anche da alcuni dei più noti esperti del  settore.

Docenti  universitari  come Mariella Berra, Maria Chiara Pievatolo, Renzo Davoli, Juan Carlos de Martin. Avvocati come  Giovanni Battista Gallus e Marco Ciurcina.

Attivisti come Giordano Alborghetti, esperti come Flavia Marzano e tante associazioni, da Libre Italia ad Assoli e Open Education Italia.


Fonte: il manifesto, 07.01.2021


Al Centro Studi Sereno Regis il gruppo “Slow-tech” si occupa, tra gli altri, anche di questi temi.


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