The China Study

Recensione di
Cinzia Picchioni


The China Study
The China Study | La copertina

T. Colin Campbell, Thomas M. Campbell, The China Study, Macro Edizioni, Cesena 2011, pp. 400, € 20,00

Gli autori di The China Study sono padre (vegetariano) e figlio, medici entrambi; lo studio si chiama «Cina» perché riguarda 65 contee in ventiquattro province fra Cina sudorientale e nordorientale (vicino alla Siberia), deserto del Gobi, montagne dell’Himalaya. È «lo studio più completo sull’alimentazione mai condotto finora» (come recita il sottotitolo) perché vi si è attuato un confronto fra dieta, stile di vita e patologie: che rapporto c’è, per esempio, fra grassi assunti col cibo e cancro al seno? Che collegamento esiste fra colesterolo endogeno e cardiopatia coronarica?

Il «China Study», lo «studio Cina» (che è iniziato nel 1983 e prosegue tuttora) si è svolto in questo modo: sono state coinvolte 100 persone per ognuna delle 65 contee ( metà maschi e metà femmine, fra 35 e 65 anni d’età), con prelievi di sangue e urine, con visite di controllo presso le abitazioni dei partecipanti allo studio, con raccolta di campioni di alimenti dai mercati locali per valutarne fattori dietetici e nutrizionali.

Tutti i dati raccolti in più di vent’anni di ricerca hanno dato vita al libro di cui state leggendo (e che trovate già disponibile presso la Biblioteca del Centro Studi Sereno Regis di Torino), che comprende, quanto a serietà dei dati, un copioso Indice analitico: da p. 379 a p. 390 comprese (per un’agile lettura) e più di 30 pagine di note, per un «effetto domino» quasi infinito e per il «personal study» di chiunque voglia continuare a indagare il legame fra il cibo e le malattie.

Il libro è un best-seller: la prima edizione è del settembre 2011 e lo scorso giugno gli editori* sono giunti alla terza ristampa!

*Il Gruppo Editoriale Macro [stampa i suoi] libri, dvd, riviste, cataloghi e depliant in Italia su carta riciclata, utilizzando inchiostri ecologici. Acquistando uno dei […] prodotti [Macro Edizioni] contribuirai a sostenere il progetto dell’Associazione Scuola di Ecologia Applicata di Cesena, che ha già messo a dimora migliaia di nuovi alberi per favorire la biodiversità e per compensare e ridurre l’impatto ambientale della stampa di questo libro.

Atto di umiltà

Nonostante l’enorme successo del libro, l’autore si affretta a precisare che: «[…] dobbiamo riflettere di più sui modelli alimentari globali e sui cibi naturali. Intendo forse con questo che l’approccio a tappeto è l’unico modo di fare scienza? Certamente no. Ritengo che i dati accertati da The China Study costituiscano una prova assoluta? Certamente no. Ritengo che forniscano abbastanza informazioni da improntare decisioni di ordine pratico? Certamente sì» (p. 107)

Perché leggerlo/acquistarlo?

Secondo me il capitolo fondamentale del libro, quello per cui dovremmo acquistarlo per tenercelo, è l’undicesimo. Si intitola Mangiare correttamente: otto princìpi di alimentazione e salute. È a p. 213 e contiene un elenco di risposte alle domande che sorgono spontanee dalla lettura di questo libro: «sì, ma allora, cosa mangio?» e anche «e che cosa non mangio?». Elenchi di vitamine (non troppo complicati), spiegazione dei processi digestivi (ma non per «addetti ai lavori» e soprattutto scritti in linguaggio non «medichese», cioè che si capiscono), ma soprattutto il «Principio n. 6»: La stessa alimentazione che previene la malattia negli stadi iniziali (prima della diagnosi) può anche arrestare o far regredire la malattia negli stadi successivi dopo la diagnosi).

In poche parole: «non è mai troppo tardi!» Così, quando leggiamo che il cancro al seno, per esempio, può iniziare nell’adolescenza e non essere diagnosticabile che a menopausa avvenuta, invece di deprimerci sappiamo di poter fare comunque qualcosa per cambiare quello che sembra un destino segnato (tutto dettagliatamente spiegato nel libro).

I due princìpi che preferisco sono però il 7 e l’8, riassumibili nella massima che «tutto è collegato». Entrambi i princìpi enunciano che un’alimentazione benefica per una particolare malattia farà bene alla salute su tutta la linea e che una buona alimentazione promuove la salute in tutti gli àmbiti della nostra esistenza, poiché «tutte le parti sono interconnesse» (pp. 224 ss.)

Socrate: «Te l’avevo detto!»

Nonostante le 400 pagine il libro The China Study si legge agevolmente, a volte come un appassionante racconto. Per esempio il capitolo 18, Storie che si ripetono, narra di antichi filosofi che dissertavano di cibo e salute fin dagli albori del tempo. Ho trovato bellissima una citazione di Socrate che indicava gli alimenti di cui avrebbero dovuto nutrirsi gli uomini: orzo e frumento, con un pizzico di sale, olive, formaggio e cuocere «gli alimenti propri della campagna, cipolle e legumi», con dolci a base di «fichi, ceci e fave», bacche di mirto e ghiande abbrustolite al fuoco, e vino in quantità moderata (p. 320).

In realtà il capitolo 18 è un po’ la «summa» dell’intero libro, in cui gli autori si chiedono: «Come siamo arrivati a una situazione in cui i guaritori della nostra società, i medici, sanno poco o niente di alimentazione, le istituzioni mediche denigrano questo argomento, e l’uso di farmaci e il ricovero in ospedale rappresentano la terza causa principale di morte?

Perché nessuno ne parla?

La Quarta Parte, che si intitola Perché non ne avete mai sentito parlare, ci fornisce il modo per rispondere alle inevitabili obiezioni di quanti sentono parlare di indicazioni alimentari: «Mio nonno ha sempre bevuto il latte ed è morto a 90 anni!» «Ma si è sempre mangiato così, cosa mi vieni a dire?» «Perché il medico non me l’ha detto?» e ovvietà del genere.

Veniamo così a scoprire che semplicemente i medici non sono formati (né in-formati) riguardo alle correlazioni cibo/salute e malattie/alimentazione (in entrambi i sensi, cioè mangiando (male) ci si può ammalare, ma anche e sempre mangiando (diversamente) si può stare meglio). Scopriamo anche che la scienza, l’industria e i «governi» collaborano affinché continuiamo a non sentir parlare del fatto che possiamo star meglio semplicemente intervenendo sul cibo che mangiamo. Ed è ovvio, che cosa fanno i medici, i rappresentanti di medicinali, l’industria farmaceutica, gli ospedali eccetera se diventassimo consapevoli di poter intervenire autonomamente sul cibo per promuovere/migliorare la nostra salute? Molto meglio che continuiamo ad essere succubi dei poteri (scientifici, industriali, governativi) che ci dicono «solo la medicina/chirurgia può salvarti».

Mangiare piante!

Ho subito deciso di assumere il modo di dire degli autori di questo libro e, alla domanda «ma che cosa mangi se non mangi carne?» rispondo: «piante». La vicenda che ha dato il via a questo tipo di risposta è narrata in un aneddoto divertente, a pagina 227:

«Non mangi la carne?». Tom [il figlio dell’autore, co-autore di questo libro, NdR] non aveva una risposta pronta, così si limitò a rispondere “no” […]. «E allora cosa mangi?». E mio figlio le rispose alzando le spalle: «Solo piante, credo». […] Questa storia mi piace perché la risposta di mio figlio, “piante”, è stata così semplice. […] Quando qualcuno vuole il prosciutto glassato che si trova dall’altra parte del tavolo non dice: «Passami la carne del sedere del maiale, per favore», e quando qualcun altro dice ai propri figli di finire le carote e i piselli che hanno nel piatto non dice: «Mangiate tutte le vostre piante». Eppure da quando la mia famiglia ed io abbiamo cambiato le nostre abitudini alimentari, ho cominciato a provare piacere nel pensare ai cibi in termini di piante o animali. Questo atteggiamento ben si addice alla mia filosofia di mantenere il più semplici possibile le informazioni su cibo e salute.

Dunque la risposta è facile (e si trova nel capitolo 12: Come mangiare, pp. 227 ss. Quando vi assale il dubbio, lo studio Cina ha decretato che è meglio mangiare piante, cioè tutto quello che non è animale. O meglio ancora: «Se non è animale è pianta» di sicuro! Il che ci semplifica la vita in modo fantastico. Fagioli? Piante! Pasta? Piante! Riso? Pianta! Zucchine? Piante! Mela? Pianta! Pane? Pianta! Alghe? Piante! «Latte» di soya? Piante!…

Meno carne, meno… pausa!

Lo studio Cina evidenzia che con il concludersi degli anni fertili (in cui è del tutto naturale un calo degli ormoni a un livello «di base») le donne vegetariane osservano una caduta meno brusca dei livelli ormonali rispetto alle donne carnivore; usando numeri ipotetici, i livelli ormonali delle donne vegetariane scendono da 40 a 15, quelli delle donne carnivore da 60 a 15. Quindi sbalzo maggiore, sbalzi più violenti (proprio alcuni dei sintomi della menopausa: sbalzi ormonali, sbalzi umorali, sbalzi di temperatura – le famose «vampate») (p. 159, all’interno di un paragrafo su «come “sostituire” la terapia ormonale… sostitutiva!). E a proposito di menopausa e osteoporosi e latte…

Il latte non fai poi così bene!

«[…] il latte è stato associato al diabete di tipo 1, al cancro alla prostata, all’osteoporosi, alla sclerosi multipla e ad altre malattie autoimmuni […] si è dimostrato che la caseina, la principale proteina dei latticini, a livello sperimentale promuove il cancro e aumenta i livelli di colesterolo endogeno e la placca aterosclerotica» (p. 276).

Cambiare idea è da saggi

«I risultati di questo studio […] mi hanno convinto a modificare completamente il mio stile di vita alimentare. Ho smesso di mangiare carne quindici anni fa, e negli ultimi sei-otto ani ho eliminato dalla mia dieta quasi tutti gli alimenti di origine animale, compresi i latticini […] Da un’infanzia in cui quasi due litri di latte al giorno erano la norma, alla prima fase della mia carriera di ricercatore che si faceva beffe dei vegetariani, la mia vita ha compiuto un’insolita svolta. Eppure, a cambiarmi la vita non è stata solo la mia ricerca: negli anni sono andato ben oltre le nostre scoperte per verificare quelle degli altri ricercatori nel campo della dieta e della salute. Via via che i nostri dati si espandevano dallo specifico al generale, il quadro ha continuato ad ampliarsi. […],»

p. 108; quello che si spera accada anche grazie alle 30 e più pagine di note che completano il libro.

Pensiero-guida

Non fatevi ingannare:
il reparto più sano
di qualsiasi negozio di alimentari
è quello in cui si vendono la frutta e la verdura:
il reparto dei prodotti agricoli.

Avete notato invece come nei piccoli supermercati stia diventando sempre più piccolo? E si sta rimpicciolendo anche il reparto con la verdura/frutta sciolta, incrementando invece quello dove la merce è pre-confezionata (insalata già lavata e imbustata, cimette di cavolfiore, cuori di carciofi e via «semplificando» la preparazione e triplicando il costo!)

Un libro, The China Study, per i medici, per chi sta affrontando una malattia, per il personale infermieristico, per gli studenti di medicina, per i pazienti, per le donne in menopausa e pre-menopausa, per chiunque pensi che, in effetti, mangiamo, tutti, almeno due volte al giorno, tutti i giorni, per tutta la vita. C’è solo il respirare che facciamo con la stessa costanza, ripetitività, eternità (finché il nostro corpo vive). Non può essere non potente, in ogni senso, sia nel farci ammalare sia nel farci guarire, o almeno intervenire. Lo studio Cina ci consiglia di partire sempre dal cibo, o almeno ri-partire (anche) da lì!

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3 commenti
  1. Paola Barberis
    Paola Barberis dice:

    Buongiorno!
    Come cotraduttrice del libro La ringrazio di questa recensione completa, informativa e davvero ben scritta.
    Cordiali saluti
    Paola Barberis
    Torino
    PS: Inutile dirle che da quando abbiamo tradotto il libro la nostra dieta è molto cambiata!

    Rispondi
    • Cinzia Picchioni
      Cinzia Picchioni dice:

      grazie, e scusi tantissimo, nessuno mi ha avvertito di questo commento e io sono un'ignorante digitale… tanti cari saluti e auguri di buon lavoro. E se traducesse/avesse tradotto qualcos'altro di affine me lo faccia sapere. Uno dei miei lavori è scrivere recensioni per i siti http://www.serenoregis.org e http://www.leviedeldharma.it. Poi di mestiere faccio l'insegnante di yoga, ma non ci campo… Cinzia (Picchioni 011 535356)

      Rispondi

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