2. La Resistenza e i giovani – Pietro Polito

Conoscere è indispensabile, ma non esaurisce in sé i valori; da sola la conoscenza può anche fornire strumenti di sofferenza e di morte. Il sapere ricevuto non è sufficiente a dare un senso alla nostra azione. Forse nelle cesure della comunicazione intergenerazionale conta anche il modo di raccontare: se i ricordi si presentano come ornamenti, i giovani hanno molte ragion per rifiutarli. Non li si aiuta ad affrontare i mali di oggi dando loro come modello l’antifascismo di ieri. Li si può invece aiutare dando loro ampia fiducia nella capacità di trovare i mezzi idonei a risolvere i problemi della vita di oggi. […] Che cosa potrà dire allora ai giovani un vecchio come me? Solo esprimere la fiducia nella loro capacità di affrontare questa insicurezza, purché sappiano pensare insieme all’oggi e anche al domani.

(Vittorio Foa, Una testimonianza, in G. Neppi Modona, Cinquant’anni di Repubblica italiana, Einaudi, Torino 1995, p. 48).

resistenza

L’avvio di un colloquio tra le generazioni sull’eredità della Resistenza per essere fecondo deve evitare la retorica delle celebrazioni, le liturgie, antiche e nuove, le commemorazioni ufficiali e di maniera, le versioni canoniche, i riti e la stanca ripetizione di formule, che sovente si rivelano approssimative e rassicuranti, pure, se non soprattutto, quando queste provengono dagli specifici cultori del ramo. Al tempo stesso il confronto non deve temere la polemica se volta all’approfondimento critico volto alla migliore conoscenza degli eventi e alle loro interpretazioni.

Chi scrive ha avuto la grande fortuna di lavorare con Norberto Bobbio su questi temi e da qualche tempo ha la possibilità di discuterne con Bruno Segre. Nel confronto con loro ho maturato alcune riflessioni che sarei lieto di riuscire a comunicare alle generazioni successive alla mia. (La generazione di Bobbio era del 1909, quella di Segre è del 1918).

A mio avviso, un confronto intergenerazionale sulla Resistenza dovrebbe vertere su tre temi: l’antitesi tra fascismo e democrazia; l’apatia come minaccia mortale per la democrazia; quale impegno politico?

  1. L’antitesi tra fascismo e democrazia

Nei colloqui con Bobbio e con Segre è tornata più volte l’esigenza di un raffronto tra le generazioni al tempo della democrazia e la loro generazione vissuta e cresciuta con il fascismo al potere e le opposizioni eliminate.

Allora i giovani si sono trovati immersi in una condizione di estrema precarietà, che dopo l’8 settembre 1943 poteva essere a ragione paragonata a un ritorno allo stato di natura. In una conversazione pubblica, avuta lo scorso 21 aprile, Segre, ha spesso ripetuto “la vita non contava più niente”. In un’altra dichiarazione rilasciata a “Repubblica” (mercoledì 22 aprile 2015), ha affermato che “durante la resistenza ognuno era libero di parlare, di scrivere quello che voleva, di opporsi senza vincoli”, aggiungendo: “Nella Resistenza, per quanto riguarda la mia esperienza, io mi sentivo libero. Quello spirito di Resistenza vive e vivrà sempre”.

La vita in democrazia è imparagonabile a quella sotto la dittatura. In democrazia, infatti, il pericolo maggiore non è il fascismo, che pure lo è stato in alcuni momenti della storia repubblicana e in un certo senso lo rimane ancora nella mentalità e nella cultura (incultura) politica di alcuni partiti odierni. Piuttosto, il fascismo è un pericolo coperto, sotterraneo, rispetto al quale è bene continuare ad esercitare una certa vigilanza. In occasione del Settantesimo della Liberazione la rimozione delle parole fascismo e antifascismo dal linguaggio governativo corrente non è un buon segno durante. (Il fascismo scomparso dal 25 aprile è riapparso nell’aula del Parlamento: una delle opposizioni è giunta ad evocare una sorta di neo “fascismo renziano”).

2. L’apatia come minaccia mortale per la democrazia

In democrazia il principale pericolo è l’apatia, l’indifferenza, l’attaccamento al proprio particolare a scapito dell’interesse generale. Gli ideali dell’apatico non sono superati come quelli dei fascisti, il fascismo è un fenomeno di regressione storica, piuttosto sono ideali limitati, ristretti. Contro l’apatia Piero Gobetti ha scritto una pagina memorabile: “Non può essere morale chi è indifferente. L’onestà consiste nell’avere idee e credervi e farne centro e scopo di se stesso. L’apatia è negazione di umanità, abbassamento di se stessi, assenza di idealità”. Il giovanissimo Gobetti è tra coloro che più di altri ha compreso quanto l’apatia intesa come “assenza di ideali”, sia letale per la democrazia. Il punto di partenza per la democrazia – scrive ancora Gobetti – “è proprio l’affermazione della legittimità di ogni forma di pensiero, e la negazione di tutte le rivelazioni di verità, perché la verità è concretazione e creazione di ogni individuo, ed è insieme progresso e universalità e trascende la possibilità dei singoli” (La nostra fede, “Energie Nove”, 5 maggio 1919).

Il principale avversario di una visione critica della Resistenza oggi è da cercare nell’indifferenza, più che nelle equiparazioni impossibili tra l’una e l’altra parte, quella che ha combattuto il nazismo e il fascismo, facendo la scelta giusta, e quella che ha combattuto accanto ai nazisti e ai fascisti, facendo la scelta sbagliata.

La pietà e il rispetto dovuti alle vittime di una guerra atroce per gli uni e gli altri non può tradursi in una sorta di equidistanza tra fascismo e antifascismo. Come si fa a non cogliere la differenza Occorre trasmettere la differenza tra uno stato di polizia e uno stato di diritto? Il fascismo è stato la prima dittatura imposta nel cuore dell’Europa dopo la prima guerra mondiale e ha avuto la responsabilità di aver scatenato, insieme al suo alleato più potente, la seconda guerra mondiale. Il fascismo rimane un’onta nella storia del nostro Paese.

  1. Quale impegno politico?

La democrazia attuale necessita di nuovi ideali. Quali? Si può concordare con Bobbio il quale ritiene che i nuovi ideali sono ancora quelli della Resistenza, che la Resistenza dopo la Liberazione sia continuata nelle lotte di liberazione nazionale, che le forme contemporanee della Resistenza siano la lotta della pace contro la politica di potenza e la lotta per la democrazia contro ogni forma di autoritarismo. Un nuovo impegno politico dei giovani potrebbe esprimersi come una nuova Resistenza da un lato all’insorgere di vecchi e nuovi irrazionalismi alla luce di una conoscenza diretta dei problemi concreti, dall’altro allo svuotamento dello spirito della democrazia attraverso l’adattamento e il conformismo.

Si tratta di un impegno politico che è anche impegno morale. Un impegno consapevole dello scarto tra gli ideali e la realtà, che non è l’ora di girarsi dall’altra parte, come l’apatico che non sente, non vede, non parla.

Come ha osservato ancora Bobbio, il grande ideale della Resistenza è stato la democrazia, intesa come quella forma di governo e di società in cui ciascuno ha la sua parte e si assume la responsabilità che gli spetta. Le sorti della nostra democrazia dipendono dall’energia, dalla serietà, dalla qualità del nostro impegno.

Rivolgendosi ai giovani, Aldo Giassi, partigiano comunista, li sprona a impegnarsi nella vita, a vincere la pigrizia, a “protestare ma senza violenza”. Settant’anni dopo afferma: “Proprio perché conosco la guerra, oggi sono contro l’uso della violenza. […] Contestare è un diritto sacrosanto, ma bisogna farlo con la parola con gli scritti, mai in modo violento” (“Corriere della Sera”, domenica 5 aprile 2015).

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