In ricordo di Bruno Segre (1918-2024)

Enzo Ferrara

Bruno Segre è stato un protagonista, disobbediente quando occorreva, del suo tempo, da lui vissuto con grande senso del presente. Ed è però per il nostro tempo che vale il suo insegnamento. Il senso della memoria del passato (oltre quello dell’omaggio e dei ringraziamenti a chi non c’è più) è infatti di fare luce sul presente, dargli continuità e se possibile farlo risplendere.

Questo accade con la memoria di Bruno Segre. Porto la testimonianza del Centro Studi per la Pace dedicato a Domenico Sereno Regis, un altro disobbediente. È anche grazie a Segre che esiste un Centro come il nostro, nato dalla lotta per il riconoscimento del diritto all’obiezione di coscienza al servizio militare. Fu il primo storico e tenace difensore dei giovani obiettori di coscienza fin dall’immediato secondo dopoguerra, offrendo un sostegno legale e solidale a quei giovani la cui colpa era il rifiuto della violenza assurda eppure organizzatissima della guerra.

Non fu solo quello dell’assistenza legale il suo contributo a quella lotta. La sua rivista, L’incontro, fu una delle poche voci assidue nel diffondere notizie sull’obiezione che sui quotidiani andavano cercate nelle pagine della cronaca nera. Fu grazie al dibattito pubblico, culturale e politico, che rimbalzava fra le aule di giustizia e la società civile nelle università e nelle scuole, che si giunse, con dibattiti che ancora proseguono, alla legge istitutiva del diritto all’obiezione di coscienza: naturale e democratica soluzione di un conflitto fra diritti e doveri dei cittadini di uno stato repubblicano.

Il primo processo in Italia si tenne a Torino nel 1947, la prima legge sull’obiezione è del 1972, le modifiche successive proseguirono nel 1998 e nel 2007, quando l’obiezione di coscienza è diventata servizio civile: 60 anni di lotte gratuite e volontarie iniziate quando non c’era nemmeno la parvenza di un possibile successo, ma – avrebbe detto la sua amica Bianca Guidetti Serra, anche lei avvocata degli obiettori insieme a Maria Magnani Noya e Gianpaolo Zancan – non c’è bisogno di certezza di successo quando si intraprende una causa giusta.

Bruno Segre non aveva bisogno di certezze consolatorie per sapere da che parte sta il bene e da che parte il male: aveva quella capacità soggettiva di giungere a persuasioni in autonomia: l’antifascismo, la militanza partigiana, la lotta per l’obiezione hanno dato frutto grazie al fatto che c’è stato qualcuno capace di leggere il presente e di vedere oltre anche nei momenti più bui.

Non stiamo parlando di profeti: l’accezione religiosa di questo termine non gli si addice, perché era avvezzo a non aspettarsi né aiuti, né soluzioni in nessun altrove che non fosse l’esperienza da lui vissuta insieme ai suoi compagni. Aveva però una capacità di profezia laica sempre più rara: quella dell’incantamento. Questa consiste non nel bearsi in un immaginario avveniristico, ma nel saper vedere il presente con le sue tragedie e ingiustizie e di sapersi però insieme anche immaginare un futuro diverso tanto intensamente da metterlo in pratica, non con gli strumenti della violenza da cui si tenne il più possibile distante anche durante la militanza partigiana, ma con gli insegnamenti della nonviolenza: farsi specchio del cambiamento che vorremmo, come in modi diversi suggerivano anche Aldo Capitini, don Lorenzo Milani, Norberto Bobbio, Domenico Sereno Regis e tanti altri suoi corrispondenti.

Soggettività e compartecipazione, perfino nell’incantamento. C’è da sognare, ma c’è anche bisogno di attivarsi – per esempio completando la valorizzazione della pluridecennale rassegna stampa sull’obiezione di coscienza che Segre ha depositato presso gli archivi del nostro Centro, dov’è anche disponibile l’intera collezione della sua rivista – per ringraziarlo e proseguire l’insegnamento per la pace e l’antifascismo che sono in fondo, come ha dimostrato nella sua vita, un obiettivo unico, indivisibile e realizzabile.


 

 

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