Uscire dalla guerra, per un’economia di pace

Angela Dogliotti

Antonio De Lellis, Rosetta Placido, Stefano Risso (a cura di), Uscire dalla guerra, per un’economia di pace, Cittadella Editrice, Assisi 2023, pp. 182, € 14,90

Cittadella Editrice ha il merito di aver pubblicato un agile libro che raccoglie i contributi di diversi attivisti e studiosi, nella prospettiva di mettere a fuoco le caratteristiche dell’economia di guerra nella quale siamo immersi e di individuare percorsi virtuosi verso un’economia di pace.

Partendo dalla constatazione delle drammatiche crisi prodotte dal modello neoliberista dominante – la crisi climatica, le guerre, l’eclissi della democrazia, dell’uguaglianza e della giustizia – i molteplici interventi analizzano aspetti diversi della situazione. Impossibile darne un resoconto esauriente e completo, ma si possono evidenziare alcune tendenze significative che caratterizzano il quadro generale e che emergono dai singoli interventi.

La prima è la tendenza alla centralizzazione dei capitali e alla concentrazione in poche mani, frutto della lotta per la conquista dei mercati, che ha prodotto una polarizzazione tra Paesi creditori e Paesi debitori. L’acquisizione di capitali da parte di Paesi creditori come Cina, Russia, Arabia Saudita da Paesi debitori come gli Stati Uniti, ha reso tese le relazioni internazionali tra questi Paesi portando allo sviluppo di politiche protezionistiche e alla creazione di aree amiche/nemiche; si è creato così un pericoloso  «equilibrio di guerra» che rischia di saltare in ogni momento, anche grazie alle crescenti spese militari. Come ha evidenziato una recente ricerca di Greenpeace, tali spese negli ultimi dieci anni sono aumentate di quasi il 50% nei Paesi NATO dell’Unione Europea, passando da 145 miliardi di euro nel 2014 a una previsione di bilancio di 215 miliardi nel 2023.

Una seconda tendenza è il ruolo determinante come causa diretta o indiretta di guerra svolto dall’accaparramento di fonti fossili, strettamente connesse al modello di sviluppo capitalistico energivoro e accentratore. Quasi la metà delle guerre scoppiate nel secondo dopoguerra è avvenuta o per conquistare territori ricchi di idrocarburi, o per impedire che un Paese produttore acquisisse una posizione dominante nel mercato internazionale, o per il controllo delle rotte di trasporto di petrolio e gas.

Secondo il rapporto di Greepeace il 64% della spesa militare italiana per missioni militari all’estero è assorbita da operazioni connesse alla difesa delle fonti fossili.

Non si può non considerare, nella guerra russo-ucraina, come le zone contese del Donbass siano ricche di carbone e petrolio e come non sia affatto un caso l’esplosione del Nordstream 2, nel settembre del 2022.

Una terza tendenza è l’impossibilità di mettere in atto, su questi presupposti, una seria transizione ecologica, necessaria per affrontare la crisi climatica. Risulta infatti evidente che una transizione ecologica deve essere fondata su una conversione economica che sappia rinunciare al dominio del mondo, a imporre al pianeta un modello di sviluppo centrato sullo sfruttamento degli esseri umani e della natura. Con questa economia di guerra non c’è possibilità di uscire dalla crisi climatica, perché «l’inquinamento ambientale è causato dalla difesa armata dell’unica ideologia esistente, il capitalismo»  (p.145).

Dunque la «radice della guerra […] va ricercata nella violenza strutturale su cui si basano i modi di produzione, distribuzione e riproduzione oggi trionfanti ad ogni latitudine. Un sistema mortifero, biocida.Perché genera guerre, colonizza e militarizza le menti, recide ogni relazione con chi è diverso da sé, distrugge la biosfera, riduce gli spazi vitali di ogni specie vivente.

Per ripudiare la guerra è necessario estirpare le sue radici profonde ed inventare un’economia di pace» (p. 97). Nella seconda parte del testo, Appunti per un’economia di pace, sono perciò presentati alcuni contributi in questa direzione.

Un cambiamento di paradigma è rappresentato dal modello dell’economia gandhiana, fondato sulle 6 parole-chiave: nonviolenza e non sfruttamento; autolimitazione e sobrietà; lavoro autodiretto al servizio dello sviluppo proprio e della comunità di appartenenza; sviluppo locale autocentrato (swadeshi); amministrazione fiduciaria come strumento operativo per la gestione delle attività economiche.

In questa prospettiva si collocano le esperienze di decentramento, autogestione, cittadinanza attiva, che vanno dai GAS (Gruppi di Acquisto Solidale), alle comunità energetiche per l’autoproduzione di energia a livello locale e decentrato; alle forme di boicottaggio verso prodotti insostenibili a livello sociale e ambientale, che rappresentano l’esercizio del potere del consumatore che diventa consum-attore perché può contribuire a indirizzare l’economia con le sue scelte di acquisto anche attraverso Campagne collettive e organizzate (come quelle, ad esempio, contro le banche armate). Se le fonti fossili sono strettamente legate a un’economia di guerra, le fonti rinnovabili, decentrate e controllabili dal basso, rappresentano un diverso modello di società e di economia, un’economia di pace.

Sono presentate, come esempi nella direzione di un’economia di pace, le esperienze di lotta del Comitato per la riconverisone del Sulcis Iglesiente, che ha creato il marchio etico «War Free» e il caso della mobilitazione della società civile nella Valle del Sacco (inquinata da un’industria bellica e chimica) che nel 2005 è stata inclusa tra i siti di interesse nazionale per le necessarie bonifiche.

Un’altra importante esperienza è quella del movimento NO BASE a Pisa S. Rossore, contro l’ampliamento, nel parco di S. Rossore, di insediamenti militari, già presenti nel territorio, con la base militare statunitense di Camp Darby.

Infine, è importante la nascita dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e dell’Università, che, appellandosi ai principi della Dichiarazione universale dei diritti del fanciullo (1959), per un’educazione «in uno spirito di comprensione, di tolleranza, di amicizia tra i popoli, di pace e di fratellanza universale»; alla Convenzione ONU sui diritti del fanciullo (1989) e allo Studio ONU sull’educazione al disarmo e alla non-proliferaznione (2002), che auspica «curricula di studio su risoluzione pacifica dei conflitti, dialogo, creazione del consenso e non violenza attiva», denuncia la propaganda bellica nelle scuole e la collaborazione di Istituti scolastici e Università con enti e realtà militari o con Fondazioni, come la Med-Or di Leonardo, secondo gruppo in Europa nella produzione bellica.

Il testo si chiude con alcune proposte conclusive:

De-colonizzare la mente: invece che paura, costruzione del nemico, precarietà, sviluppare il senso del limite ed una economia della custodia e della cura;

De-colonizzare il pianeta: porre fine alla guerra per lo sviluppo di pochi e a danno dell’ecosistema;

De-costruire la retorica della sicurezza: riumanizzare l’altro, perseguire la giustizia economica che il capitalismo non può garantire;

Rispondere alla crisi globale del capitalismo con una risposta globale, anticapitalista, femminista, ecologista, antirazzista;

La pace disarmata come paradigma della politica: obiezione fiscale per la conversione delle spese militari; costruzione dei Corpi civili di pace; riconversione industriale; disarmo e ripudio della guerra; difesa popolare nonviolenta;

Mobilitarsi in convergenza: sviluppare e mettere in rete movimenti territoriali per costruire la pace dal basso (come i citati Sulcis, Valle del Sacco…)

Rifondare l’economia:

  • messa al bando dell’industria degli armamenti
  • abbandono del consumismo
  • passaggio alle energie rinnovabili
  • potenziare e demonetizzare l’economia pubblica
  • improntare i rapporti internazionali a spirito di collaborazione ed equità

Passare dai principi di guadagno, crescita, concorrenza, a quelli di equità, sostenibilità, cooperazione

Il consumatore può diventare consum-attore ed essere promotore di un indirizzo diverso dell’economia.

Assumere come orientamento i 4 obiettivi dell’economia gandhiana: una vita fondata sul rispetto e sull’etica; il benessere non solo materiale; il senso di raggiungimento; la propria elevazione spirituale;

Costruire la cultura della pace, sostenendo l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole

Più Vangelo e più Costituzione

Un testo ricco di spunti e frutto di un lavoro di rete, di riflessioni e di esperienze condivise. Da conoscere, sviluppare, promuovere, per crescere in consapevolezza e diffondere una cultura di pace capace di tradursi in azioni concrete.


Recensione di Angela Dogliotti, pubblicata anche nel numero di aprile della rivista Missioni Consolata, nella rubrica Librarsi, a cura del Centro Studi Sereno Regis


 

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