Libertà d’espressione vs. libertà d’umiliazione

Johan Galtung

Libertà: la capacità di fare ciò che si vuole entro una cornice di norme/confini

Licenza: la capacità di fare ciò che si vuole senza norme o confini

Tesi base: Una falsa dicotomia. con un po’ d’abilità possiamo permetterci entrambe, rifiutando di farci intrappolare dai fondamentalisti dell’uno o altro fronte. Come? Beh, facciamo prima del nostro meglio per chiarire le due libertà, la libertà d’espressione e la libertà d’umiliazione.

Sull’isola maggiore delle Hawai’i, a un medico dell’esercito USA una volta chiesero d’identificare i punti più vulnerabili del corpo umano dove un colpo avrebbe fatto male al massimo col minimo rischio per chi colpisse. Il giuramento d’Ippocrate glielo fece rifiutare: “Mio compito è promuovere la vita, non la morte”. Fu licenziato e angariato, mentre gli uccisori dell’esercito USA che usano armi di distruzione di massa se la cavano senza pagarne lo scotto, come i signori della guerra finanziaria che pure causano devastazioni massicce con quelle che Warren Buffet chiamava appunto armi finanziarie di distruzione di massa.

E come un tribunale danese che ha mandato assolto il giornale danese Jyllandsposten per le sue armi simboliche di distruzione di massa, i fumetti su Maometto, in quanto non intesi come insulto – cosa sovente usata per proteggere espressioni diffamatorie. Analisi conseguente, essere responsabili per le proprie azioni, non deplorando “che sia stata presa a male”, è segno di maturità. Dunque, quali sono i punti più vulnerabili dello spirito umano dove un colpo verbale-simbolico farebbe male al massimo con minimo rischio per chi colpisse?

Foto Aurelien Guichard | Charlie Hebdo (CC BY-NC 2.0) copia

Ovviamente il santo, sacro nucleo delle identità individuali e di gruppo, la loro ragion d’essere, protetta a tabù, off limits; come Popolo Eletto/Terra Promessa (Genesi 17:1-14) per gli ebrei; la salvezza mediante la fede in Gesù Cristo (Giovanni 3:16) per i cristiani; il Profeta come latore di salvezza anche in terra (l’Egira) per i musulmani. La sacralità viene sottolineata nella proibizione di raffigurare Allah e il Profeta, e per gli ebrei addirittura nel pronunciare appieno il nome dell’Eterno.

Mostrare irriverenza – con fumetti su ebrei che vendono la propria condizione di Eletti per denaro?; Gesù intento alla tortura ad Abu Ghraib?; il Profeta con una bomba nel turbante?: si ottengono credenti rancorosi, polarizzati, umiliati, disumanizzati – pronti a infliggere e ricevere violenza – e si erode il suolo dove potrebbe crescere la pace; come gli altri, un crimine contro l’umanità.

Ma tale esplorazione della vulnerabilità spirituale si focalizza solo sul compimento, non sulla sofferenza – su sukha, non dukkha, nell’hinduismo/buddhismo. Prendiamo gli ebrei: almeno importante quanto la condizione di Eletti è l’enormità dei sei milioni di vittime della shoah, uno dei molti olocausti della storia umana, come per i musulmani a Baghdad [distruzione mongola] nel 1258, a Omdurman [disfatta mahdista] nel 1898, in Libia [conquista italiana cruenta] nel 1911, a Chefchaouen [bombardamento USA gratuito – avio squadrone Lafayette] nel 1925.

E gli africani fatti schiavi, i nativi americani sterminati in “Latin-” e Nord-America, gli armeni, le vittime del bolscevismo e del maoismo, dell’Impero USA e dell’Impero israeliano che presentano il conto per i crimini nazi-tedeschi contro gli ebrei ai palestinesi nella nakba (invocando e la shoah (dukkha) e la Terra Promessa (sukha), gli afghani uccisi per il crollo dell’Impero Sovietico e gli irakeni e afghani uccisi attualmente per il crollo dell’Impero USA.

Badare solo a una sofferenza, la propria, vuol dire umiliare il resto del mondo mostrando che le loro piccole vite non valgono nulla rispetto alle nostre.

Il sacro s’accorpa attorno agli elementi religiosi e laici, ai traumi e alle glorie, sia per le persone che per le nazioni. Mettete in questione i miti norvegesi sul 9 aprile (1940: l’attacco nazista alla Norvegia) e raccogliete odio o, peggio, un silenzio assordante. Contestate l’Impero USA e raccogliete lo stesso risultato – ma fa meno male se non ne contestate le intenzioni, ben nascoste. Se si usa il nasone di un politico come argomentazione contro la sua politica, o ci si riferisce a sua madre come una puttana, si oltrepassa una linea stabilita per legge – come quelle a protezione di ebrei e cristiani dall’umiliazione. Ma non i musulmani, finora: libera per tutti.

Allora, qual è l’armatura che rande così invulnerabili gli autori dell’umiliazione di massa? Ovviamente la libertà d’espressione, cui volgiamo adesso l’attenzione.

Tale libertà è un diritto umano e una condizione per la democrazia. Ma una condizione necessaria cui si adempie con poco: uno sgabello a Hyde Park Corner già basta. Meglio che una società dove nessuno parla perché tanti ascoltano. Ma una società dove nessuno ascolta perché tanti parlano non è democrazia neppur quella.

L’altra condizione necessaria è il dialogo, la reciprocità di discorso. Non essere uccisi da un proiettile va bene, ma essere uccisi dal silenzio (come di élite che non han la minima idea di che cosa rispondere) neppure fa democrazia.

La libertà d’espressione presuppone pure libertà d’impressione, essere visti e sentiti, sapere, come una delle condizioni per avere qualcosa che alimenti la libertà d’espressione. L’Occidente sa dell’11 settembre [2001], ma quanti sanno dei 25 importanti attacchi occidentali alla nazione musulmana, che rendono una puntura di spillo l’11 settembre? Quanti musulmani capiscono le conquiste musulmane?

Le risposte pigre provengono dai fondamentalisti della libertà d’espressione, spesso coloro che vivono della parola – giornalisti, redattori, autori: la libertà è sacrosanta, ogni sua limitazione è un crimine. E dalla libertà dei fondamentalisti dell’umiliazione, sovente autentici credenti: non provate neanche a contestare i punti della mia anima, dove può cominciare a far male, o guai! La libertà di libello è in questa direzione, ma è una gara di potere. Tuttavia, vogliamo contestare tutti i punti, fra i tanti quelli appena usati sopra ad esempio! Perché mai dovremmo essere così modesti da propugnare una sola preziosa libertà? Dobbiamo considerarle entrambe, come diritto e come dovere, e forse “questione” è proprio la chiave a l’una e l’altra, a come parlare?

  • “Siete sicuri di essere stati Eletti per il dominio, come in Isaia 2:1-4?”
  • “Una Terra Promessa non è irreale con una globalizzazione priva di confini?”
  • “Quella fede concorda con il vangelo di Giuda? E il vangelo di Gesù non era anch’esso salvezza in terra, occupandosi dei poveri e privi del necessario?”
  • “Come distogliere certi musulmani – e non-musulmani – dall’uccidere donne e bambini e altri civili contrari al Corano?”
  • “Come pensate che reagiscano gli altri alla vostra sola attenzione al vostro olocausto?”
  • “L’attacco tedesco alla Norvegia diventa meno sbagliato perché anche l’Inghilterra ha attaccato, e perché i dirigenti norvegesi si aspettavano un attacco sovietico e avevano schierato l’esercito nel nord?”
  • “Se tutti i numerosi interventi USA fossero benintenzionati, come potrebbero gli USA perseguire intenzioni come la democrazia direttamente, non mediante guerre?”

E così via. Ovviamente possiamo indicare i nostri dubbi senza umiliare. E ovviamente possiamo essere rispettosi senza sottometterci. Ma facciamolo in spirito di dialogo, non in quella continuazione della guerra con mezzi verbali nota come dibattito. Ed esploriamo insieme le risposte.


Originariamente pubblicato il 2 marzo 2009 – #52

EDITORIAL, 19 Aug 2024

#862 | Prof. Johan Galtung – TRANSCEND Media Service

Traduzione di Miki Lanza per il Centro Studi Sereno Regis

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