Il futuro “s’impara”

Paola Ginesi

Noi crediamo che le utopie sono possibili.
E sappiamo che le strade si tracciano nel camminare,
 che le pietre non ci possono fermare.
Scegliamo la giustizia, la solidarietà, la speranza e la libertà,
anche se sono valori che tanti disprezzano.
Non ci importa se ci accusano di essere stupidi, illusi e pazzi,
perché sono virtù necessarie per volere un mondo migliore.
Non siamo soli, siamo più di quanto crediamo.
E saremo più forti se ci mettiamo insieme.

Ernesto Sábato

Il futuro – parafrasando le parole di Italo Calvino sull’utopia [1] – è “come città che non potrà essere fondata da noi, ma fondare se stessa dentro di noi, costruirsi pezzo per pezzo nella nostra capacità di immaginarla”.

Il futuro in cui crediamo, in cui ci riconosciamo, ci attende, ci stimola, ci interpella: vivrà il domani che oggi pensiamo, che abbiamo preparato nel tempo della nostra esistenza, a livello personale e insieme a uomini e donne con cui condividiamo il progetto e il cammino. Nasce tra “l’ottimismo della volontà e il pessimismo della ragione”, non si può attendere facendoci vivere dagli avvenimenti, dai fatti, dai diktat del conformismo né di chi si arroga il potere di decidere a nome nostro.

È già dentro di noi perché ha le radici nel nostro disagio, spirito critico, inquietudine, delusione, progetto, dubbio, speranza; esiste in noi nell’immagine che ce ne siamo fatti, che abbiamo scelto, per dare una risposta – per quanto provvisoria – alla domanda, personale e comune, del tipo di storia che vogliamo preparare e percorrere: oggi e domani.

È già presente “ora”, per come gli diamo forma insieme a tanti altri; da come e perché ne disegniamo un percorso, ne decidiamo le tappe, le finalità, gli obiettivi a breve e lungo termine.

Ogni giorno è “memoria per il futuro”, così come ogni azione è un messaggio in cui affermiamo il disegno di un tempo migliore.

È necessario coltivare il senso della complessità della realtà, della storia, delle persone, confermato in un percorso di confronto e dialogo, nella valorizzazione delle differenze che arricchiscono e nella scoperta delle somiglianze che rassicurano: cercare, riscoprire, comprendere ciò che abbiamo in comune, sentire gli altri non “contro” ma “con” noi, per non mettere a rischio sia il rispetto per la dignità di ogni persona, la difesa e la rivendicazione dei diritti, sia il progetto di futuro come vita piena per tutti.

Per non fare del presente un tempo sterile non dobbiamo lasciarsi travolgere dalla mediocrità e salvaguardare i valori che un mondo invecchiato sembra aver perso, tra delusioni e difficili speranze.

La “sostenibilità” della vita, del senso del vivere, di esistere… da questo derivano scelte e comportamenti che permettano di rispondere alle necessità basilari senza mettere a rischio nel tempo l’utilizzo delle risorse comuni, naturali, etiche, culturali… sostenibili, appunto, solo in percorsi collettivi, sociali, globali.

“La libertà è la capacità di immaginare alternative e percorrerle insieme”, una “immaginazione realistica, non transitoria” (Biörn Larsson) che si afferma e si difende nel tempo, contro la rassegnazione che intralcia il cammino; non emozione passeggera, precaria ma un complesso e consapevole modo di essere, di pensare, di vivere.

Una immaginazione realistica perché la storia concreta, la realtà così com’è, sono alla base di ogni possibile cambiamento per aprirsi ad un mondo come “potrebbe essere”, per non costruire sulla sabbia effimeri tempi futuri.

La speranza del domani è il percorso di una realizzazione comune, collettiva, che coinvolga tutti verso una “terra” pensata, disegnata – anche da chi sa che non ne calpesterà il suolo – in un cammino possibile, se fatto insieme, perché chi lo desidera ha, scelta dopo scelta, la possibilità, la libertà di indicarne la direzione e le modalità per raggiungerla.

Chi si chiude nel pessimismo – forse per il timore di ulteriori delusioni – tende a denunciare nuove proposte e obiettivi come illusione, miraggio, canto di sirene, chimera… ma chi decide se e cosa è miraggio o oasi lontana, canto di sirene o voci che indicano la strada, chimera o speranza?

Se, qualche volta nella vita, non accettiamo di perderci, di allontanarci dalla strada maestra, di lasciarci stregare da un qualche “abbaglio” saremo destinati a percorrere sempre gli stessi vecchi obsoleti cammini, alla routine che infetta anche le migliori intenzioni, alla luce del tanto rassicurante “è impossibile”!

Albert Einstein disse: «Analizzando e valutando ogni giorno tante diverse idee, ho capito che, spesso, tutti sono convinti che una cosa sia impossibile, finché arriva uno sprovveduto che non lo sa e la realizza».

Il futuro non può essere scritto nei progetti di “bunker sicuri” per miliardari “destinati” all’immortalità; non si può costruire sugli “effetti collaterali” che riempiono i cimiteri di paesi in guerra né nelle perdite di “imprevedibili” disastri ambientali o in catastrofi economiche e politiche; l’idea di futuro non può rifarsi al mito dell’arca di Noè, in un “si salvi chi può” di pochi privilegiati “eletti” né rispecchiarsi in un’immagine di “suicidio collettivo”.

Il futuro non può vivere negli oltre 2.400 miliardi di dollari spesi nel 2023 per le armi né nascondersi tra le voci di profitti esponenziali del “comparto bellico”; sarà nell’acquisto di 1 F35 o negli equivalenti 3.244 letti di terapia intensiva? in 1 sottomarino o nelle 9.180 ambulanze che si potrebbero invece comperare? nei 24 miliardi di euro stanziati dal nostro governo per “investimenti” militari o nel loro uso per finanziare, secondo un medico italiano, 20.000 contratti di medici per 10 anni?

Bisogna scegliere, nessun governo può coprire le due spese, o l’una o l’altra… e si sta facendo la scelta sbagliata: un futuro di mors tua, vita mea!

Viviamo un tempo sbandato, dobbiamo re-imparare a pensare collettivamente: oggi, più che mai, è indispensabile il ricorso ad una intelligenza collettiva!

Molti ricorderanno l’operatività politica, sociale, culturale in tanti decenni del secolo scorso, era tutto in fermento, alla ricerca di un mondo più giusto, attraverso vie di uguaglianza, libertà, dignità sociale e umana.

Il futuro sognato e preparato nelle lotte operaie del ‘900, da studenti, intellettuali, uomini e donne di ogni classe sociale; “la fantasia al potere” dei giovani del maggio francese e di molti altri paesi; continua nelle tante “primavere” che hanno acceso popoli interi; le ragazze iraniane lo illuminano con le hijab gettate nel fuoco; Navalny, come tanti, troppi altri, l’ha pagato con la morte…

E noi, qui? Diritti conquistati da chi ci ha preceduto ce li siamo fatti sfuggire nella comoda illusione che quel traguardo fosse definitivo, abbiamo smesso di pensare e volere un domani sempre nuovo, ci siamo stancati di continuare a costruire il futuro sulla roccia di valori, diritti, dignità, condivisione, speranza, pace… affidandoci alle rassicuranti parole (queste sì miraggi e canti di sirena) di una stagione oscura per il nostro paese che ne ha cambiato il tessuto sociale, politico, culturale, etico.

Quale progetto di futuro potranno immaginare i ragazzini di Pisa sotto i manganelli della polizia, le vittime di repressione in tante scuole e università, del controllo di ogni tipo di dissenso anche nonviolento? dove condurrà il progressivo controllo su certi giornalisti e mezzi d’informazione? Genova 2001 e la scuola Diaz non hanno insegnato nulla? Quale futuro si sta creando con l’identificazione, a carico della DIGOS, di chi grida, alla Scala, viva l’antifascismo e di chi mette un fiore in ricordo dell’assassinio di Navalny?

Nella fretta tutto viene bruciato, dai social alla politica, alla (pseudo)cultura, all’informazione, ai rapporti sociali, agli avvenimenti… un presente convulso che non perde tempo a porsi domande, il dubbio intralcia il cammino, le risposte sono evanescenti immagini che cambiano giorno per giorno, ora per ora.

Senza domande non esistono risposte e dilaga un pericoloso pensiero unico, un modo di pensare e vivere su misura degli interessi-privilegi di una minoranza che si arroga il diritto di decidere per tutti – su tutto.

E se “non ci sono alternative”, perché farsi e fare domande?

È proprio ora, invece, che non dobbiamo stancarci di chiedere finché non si hanno risposte, finché non abbiamo capito, finché non siamo coscienti di quello che si vuol nascondere: nell’oscurità si fanno i piani per un domani che non rassomiglia al futuro a cui hanno diritto uomini e donne di tutto il mondo.

È necessario imparare a fare le domande – non tutte meritano una risposta -, non è facile fare domande utili, pertinenti, opportune… e le risposte a questo tipo di domande o stimolano il pensiero e lo spirito critico o vengono ignorate o, se toccano nervi scoperti, suscitano reazioni violente, insensate spesso.

Quale futuro – nel bene e nel male – lasceremo in eredità alla storia?

Nessuno decide in piena libertà («Nessuno nasce senza ombelico» dice un vecchio proverbio arabo)… tutti siamo condizionati dalla storia, dalla cultura, dalla stessa biologia, dalla qualità della propria vita… nessuno parte da zero, però sta a noi arricchire – se non vogliamo impoverirli – il mondo e il tempo che ci sono stati concessi.

La fatica del vivere può piegarci a visioni piccole, limitate, può chiuderci dentro confini ristretti e farci temere per le nostre scelte. La libertà non è decidere in assoluta autonomia e indipendenza, è scoprire ciò che è bene per tutti… una libertà che non possediamo, un’aspirazione a cui ci avviciniamo passo dopo passo, nel passar del tempo… e per avanzare verso questo orizzonte è necessario scegliere, giorno dopo giorno, nella chiarezza degli obiettivi, nella consapevolezza del cammino, in un intreccio vitale che comprende uomini e terra e ambiente fino all’ultimo angolo del mondo e del tempo.

La vita, la storia si fa minuto dopo minuto, per l’intera esistenza… il futuro non è soltanto domani, tra un anno, dieci o cento anni… è il minuto successivo a questo, il passo successivo a quello che stiamo facendo: siamo responsabili di questo domani ed è di questo che ci verrà chiesto conto.

Non aspettiamoci certezze e facili percorsi nell’incognita della storia, bisogna aver coraggio in prima persona, senza regole e schemi precisi che possono chiudere il domani in forme prestabilite.

Dobbiamo “essere” futuro, non soltanto “preparare” il futuro, per non rischiare di rincorrere ciò che è già avvenuto, ma prevedere, precedere il tempo per scoprire ogni fermento come momento in cui si attua l’utopia, l’ideale, il sogno, la speranza della e nella storia; cogliere tutto quanto si muove intorno, smascherandone la provvisorietà e spingere avanti, consapevoli che ogni tappa è un tentativo, una fase intermedia non la soluzione, non il punto d’arrivo finale.

La costruzione del futuro è basata sulla convinzione che niente è definitivo, è affermare il valore delle differenze, ampliare la ricerca delle persone “lontane”, degli schemi diversi, di nuovi cammini, di soluzioni differenti per non divenire schiavi del passato, per non aggrapparsi a tradizioni ormai senza vita, per non perdere il ricordo del fermento di ogni processo storico, per non lasciarsi travolgere dalla mediocrità.

Vivere questa trasformazione sia nella trasparenza della ricerca, difendendo il risveglio di valori che il sistema attuale cerca sempre più di nascondere e soffocare; sia nell’esigenza di una radicalità efficace ed una sicura scelta di campo, in una chiarezza di pensiero e di coscienza che impone l’analisi delle cose e crea la comunione della ricerca.

La storia è costruita da dati di fatto; siamo uomini della storia, costruttori di futuro, quando sappiamo leggere questi dati, prender atto di certe presenze, prevederne le evoluzioni… quando rifiutiamo i miti perché non abbiamo bisogno di idoli e di feticci per dar ragione della nostra azione.

La storia non è una stanza sterile dove si costruisce artificial­mente il cammino del mondo, è il tempo e lo spazio dell’uomo, è la cronaca che irrompe ogni giorno, è tutte le azioni che ci spingono ad essere lettori attenti dei segni dei tempi, dei segni di vita e di crescita, dei segni di sconfitta e di morte… senza che questi creino alibi al disimpegno, alla frustrazione, al rifiuto, all’indifferenza.

È indispensabile unirsi per pensare e creare le basi “dal basso”: il futuro viene pensato, voluto, costruito anche dal potere economico e dal (pseudo?) potere politico; il primo con un progetto di salvaguardia e crescita dei propri interessi, il secondo (spesso un miscuglio di “mosche cocchiere”) con ristrette, meschine visioni elettorali.

È a questi progetti che dobbiamo opporci e vivere ogni momento nella pienezza del tempo.

La forza storica della speranza

«La speranza non è né realtà, né chimera. È come le strade che solcano la Terra: sulla Terra all’inizio non c’erano strade… sono state tracciate dal gran numero di persone che hanno continuato a camminare» Lu Xun

Nell’immaginare/disegnare il futuro è essenziale la speranza per intravedere un orizzonte e un percorso dove quel nuovo mondo si fa storia in un cammino che ne “anticipa” la costruzione.

Speranza come forza storica, concreta, personale, collettiva, capace – anche nelle oscurità dell’oggi – di scatenare l’energia e la forza necessarie per rivelare il “non ancora”, in attesa di essere realizzato, intravisto in utopie, speranze, ricerca, lotta di tanta parte dell’umanità.

La memoria storica è testimone di speranze realizzate, presenti nella penombra del futuro, attese “irrealizzabili” divenute traccia del percorso umano, fondate sull’immaginario di un nuovo tempo, in ciò che oggi appare soltanto come promessa – e spesso lontana -.

Denunciare le coordinate usate per comprendere il mondo e proporne altre per una diversa lettura della realtà… siamo responsabili del futuro: “ci siamo addormentati, svegliamoci”, da soggetti politici siamo passati a consumatori acritici, chiusi nel proprio privato al cui interno si attesta lo scenario politico del “non ci sono alternative”.

Dobbiamo rispondere con la speranza-certezza che – come indica la storia – il mondo può essere migliorato.

I progressi appaiono frustrati quando vogliamo raggiungere in fretta obiettivi senza dare tempo alla speranza di percorrere il cammino del cambiamento… il contrario della speranza non è la disperazione ma la rassegnazione, la vera sconfitta nella costruzione fallita del futuro.

La ricerca di un mondo diverso ha la sua ragion d’essere nella certezza che ogni situazione è incompleta, inconclusa e, quindi, può essere cambiata, anzi proprio questa “incompletezza” è fondamento dell’evoluzione storica verso progressive trasformazioni per andare oltre, sempre più avanti, pronti a mettere e mettersi in discussione, a rimettersi in causa, nella fiducia che è possibile il superamento dei limiti di ogni tempo.

Tutti siamo responsabili, il futuro è patrimonio comune ed è compito di ognuno essere all’altezza di pensare, disegnare, costruire un domani più giusto, solidale, democratico, collettivo cominciando subito il percorso: occuparsi del bene comune, guardare all’altro, condividere il necessario, rispettare e creare il dissenso, ascoltare e accogliere, preoccuparsi-occuparsi delle disuguaglianze…

Ogni giorno, ogni età, ogni generazione è tempo opportuno di cambiamento ed ogni persona, in ogni momento e geografia, ha gli strumenti, le possibilità per contribuire a immaginare, volere, costruire un futuro di vasti orizzonti, con obiettivi a breve e lungo termine, nella logica di un’evoluzione storica verso mete realizzabili attraverso conquiste graduali, nel percorso delle grandi aspirazioni dell’umanità, attraverso una piena coscienza del presente con una visione che dia forza alle lotte del nostro tempo proiettate nel domani, un’azione attiva e quotidiana in una pluralità che diviene forza di cambiamento.

La semina delle generazioni precedenti ha permesso buoni raccolti, per quanto difficili e imperfetti, e a chi verrà dopo di noi lasceremo messi da raccogliere o terreni aridi, sterili?

È possibile un altro mondo?

Nel pensare il mondo futuro si ricorre spesso a concetti, immagini e figure prese dal presente e dal passato.

Un’esperienza di oggi ha valore grazie alle esperienze di ieri che vivono in essa e le danno, in certo modo, significato, ma è indispensabile anche uscire, andare oltre la nostra conoscenza diretta, per immaginare il futuro innestando sulla memoria una previsione, una proiezione del domani… molte non si realizzeranno mai del tutto, ma hanno una fondamentale funzione di stimolo, sono un po’ il motore per procedere e ricercare.

I “sogni” hanno avuto grande importanza nello sviluppo dell’umanità, senza di essi non ci sarebbe stata evoluzione, trasformazione: in ogni esperienza c’è un futuro che possiamo solo intravedere via via che lo stiamo costruendo, il sogno rappresenta, spesso, le coordinate per il cammino da seguire.

Uno sguardo alla storia ci fa comprendere che non si può conoscere a priori la frontiera tra il possibile e l’impossibile, tante realtà – basta pensare ai diritti faticosamente conquistati – vissute per secoli sotto forma di utopie e sogni, crescono e maturano per tempi lunghi prima di affermarsi; dobbiamo impedire che la delusione, la stanchezza della lotta, le difficoltà che circondano l’esistenza ci spingano a pensare un futuro che sia un ritorno al passato visto come un paradiso perduto… un mondo che, nel bene e nel male, non esiste più.

Molti sono rimasti così attaccati ai limiti della propria esperienza che è difficile stimolare il movimento in avanti; il timore dell’innovazione, della novità, del diverso, rischia di sterilizzare l’immaginazione, la ricerca e impedire il progresso.

L’utopia ha una funzione di fermento per permettere nuovi traguardi e vittorie, ma le utopie che guardano al passato paralizzano l’azione e tendono a bloccare l’evoluzione: non si può fuggire dinanzi alla realtà di oggi, per trasformarla dobbiamo assumerla, saperla leggere, indirizzarla nella direzione che intendiamo percorrere, in un cammino mai compiuto; una rivoluzione continua, forzatamente limitata, che non realizza in pieno la speranza, ma permette passi avanti per la diffusione delle idee di novità nel mondo. Senza queste tappe sarebbe impossibile dare sostanza e incarnare nella storia lotte, rivendicazioni, progetti.

I vari poteri fanno di tutto per impedire un percorso di giustizia e ostacolano l’incontro di persone differenti verso confini sempre più vasti. Si cerca di creare una psicosi per la quale le diversità di lingua, culture, visioni del mondo, invece di rappresentare una ricchezza e render possibile comunione e unità, vengono presentate come un rischio: ognuno deve difendere i propri “diritti” contro il pericolo rappresentato dagli “altri”.

È facile dimenticare che quando parliamo di “un altro mondo possibile”, in realtà ci riferiamo ad “altri mondi” che, nel loro complesso e specificità, costituiscono una realtà in cui tutti gli esseri umani, e l’ambiente in cui vivono, possono occupare il loro specifico posto.

Il futuro che vogliamo non è una realtà unica, uniforme, omogeneizzata, universalmente valida, ma formata e arricchita da differenti culture, religioni, nazioni, etnie, genere, progetti di vita… perché la sua validità e forza risiede nella diversità.

Accanto a valori e diritti essenziali, che ne delineano un denominatore comune, sono la varietà, la molteplicità e la complessità a render possibile un futuro che risponda alle domande di oggi.

L’omogeneità che promette soluzioni universali per tutta l’umanità, in ogni storia e geografia, è un progetto impossibile (per non dire inutile) da realizzare.

La stessa prospettiva di un’etica universale non può avere l’obiettivo di prescrivere norme mondiali generalizzate, né relazioni di produzione universalmente valide, né stabilire quale sia la forma di una società perfetta, adatta ovunque, garanzia di un ordine sociale che va bene a tutti… sono necessarie, piuttosto, la ricerca e l’affermazione di un criterio che si basa e tiene conto dell’essere umano concreto, con le sue specificità e caratteristiche personali, comuni, locali, sociali, politiche, culturali.

Il “mondo che contiene tanti mondi” è, di fatto, un progetto trasversale a tutte le comunità, un criterio orientatore basilare e radicale, non è tanto un modello sociale, quanto una dimensione più generale di critica e messa in discussione del sistema di oggi.

Un principio essenziale, questo sì universale, è la ricerca di un’economia, una politica, una cultura, un’etica, una società per la vita, all’interno del carattere multidimensionale e complesso del percorso storico, in funzione della continuità e riproduzione delle condizioni essenziali dell’esistenza.

Una trasformazione radicale sarà possibile soltanto se, collettivamente, si superano le mediazioni che limitano la libertà di convivere, difendere, rispettare tutti gli esseri umani.

Impossibile? Forse… però chi può dire cosa è veramente impossibile?

Le culture, nel vortice di una globalizzazione selvaggia, rischiano di essere standardizzate secondo il modello occidentale, svilendo i diversi saperi e valori, impoverendone qualità e ricchezze: una simbiosi culturale è possibile solo dall’unione del meglio di ogni cultura, in un processo che leghi l’unità e le diversità.

La “cultura globale” non può essere intesa staticamente, ma come un processo dialettico, al cui interno elementi che appaiono contraddittori vengono letti e compresi nel loro complesso unitario.

L’universalità dei valori non è assicurata dall’uniformità di teoria e prassi: a domande universali ognuno – persona comunità movimento popolo – deve dare risposte personali, la garanzia dell’“universalità” non sta nell’uniformità delle scelte, dei processi e dei progetti, la diversità è garanzia di fecondità e crescita nella pluralità del cammino: diviene, da una parte, molteplicità di opportunità e di idee contro il pensiero semplicistico, unico, ortodosso, che non crea nulla ma isola e innalza muri difficili da abbattere; dall’altra, impedisce quella pericolosa ripetizione che riduce la storia a un circolo chiuso di errori, alla palude della passività, dove ogni indignazione, denuncia, voglia di cambiamento è vista con sospetto se non perseguitata e stroncata per metterla a tacere.

Nell’immaginare/costruire il futuro dobbiamo ragionare più che per “certezze” per “probabilità”: come dimostra ogni epoca, spesso “l’improbabile” si affermò in un preciso presente storico; le crisi hanno molte volte creato una reazione contro le forze che vogliono impedire evoluzioni creative e impongono esclusione, paura, incertezza, divisione, individualismo.

Nell’umanità è presente l’aspirazione millenaria all’armonia espressa nei miti di eden originari e di paradisi futuri, nei movimenti sociali di ogni secolo, le ribellioni giovanili del ‘900, primavere non solo arabe, gli indignados spagnoli, il Friday for Future, le più recenti rivolte in ogni angolo del mondo… esperienze e iniziative molteplici e diversissime, senza programmi ben definiti, con difficoltà reali, varie incomprensioni nella lotta e nel percorso ma con la comune convinzione che si stanno mettendo le basi per un futuro diverso, per la costruzione non del “migliore dei mondi”, ma di “un mondo migliore”.

La forza rivoluzionaria della speranza

La speranza può trasformare la propria personale esistenza e dare un volto nuovo al futuro dell’intera storia umana, costituisce il fondamento di un progresso che permette di raggiungere finalità impensate, imprevedibili.

Non v’è ideale senza speranza, e più un ideale è profondo e alto, più richiede una speranza che illumini la strada e le scelte; l’ideale diventa così un cammino possibile, seppur difficile, esce dal sogno per divenire realtà, fa superare le delusioni del passato, evita il pericolo di ricadere negli stessi errori.

Non v’è rivoluzione, non v’è rivolta che per diventare forza di cambiamento non sia animata da una profonda speranza che va oltre le sconfitte, oltre la precarietà dei traguardi raggiunti.

«La speranza si vive in mezzo a rivoluzioni fallite che preparano altre rivoluzioni fallite. È molto facile lasciarsi entusiasmare da una rivoluzione come se fosse la salvezza finale. La vera speranza si costruisce sulle rovine delle illusioni perdute, degli sforzi diluiti, dei sogni traditi. Rassegnarsi e rifugiarsi nell’immutabilità delle stelle è soltanto vigliaccheria e mancanza di vitalità. È necessario sognare sempre e ricominciare all’infinito la stessa proiezione verso un futuro intravisto utopicamente»

José Comblin, 1984

Se un popolo perde la speranza, seppellisce il proprio futuro e il futuro delle nuove generazioni.

Viviamo in un mondo arrivato, nel travaglio del tempo, a un momento cruciale del cammino.

Il progresso della scienza, della tecnica, della conoscenza, delle conquiste sociali aveva dato origine alla speranza di un’epoca nuova: superata ogni frontiera, sarebbe stato possibile un modo nuovo d’incontrarsi e di trovare, nel cammino comune, la possibilità di creare un’umanità unita nei grandi valori.

Le conquiste sociali, non più riservate ad una specifica storia, sembravano poter diventare condizione indispensabile, quasi naturale, di ogni popolo e cancellare le barriere etniche ed i pregiudizi originati da culture diverse.

Raggiunta una concezione essenziale della centralità dell’essere umano e della sua dignità, così come la superiorità della ragione e della coscienza, sembrava possibile realizzare la comune società universale del vivere umano.

Il grande progresso tecnico delle comunicazioni e della conoscenza avrebbe dovuto dar vita ad un nuovo universale linguaggio che, nella diversità di tradizioni, culture, fedi, aprisse la strada a quella fratellanza umana che i “profeti” di ogni tempo hanno sperato e preannunciato.

Ma non è stato così!

La società di oggi vive un’esasperata divisione, l’umanità non ha trovato il cammino dell’incontro ma una dura lotta per l’uguaglianza – quando non per la sopravvivenza – e la violenza dello scontro.

Ognuno sembra rinchiudersi nel proprio piccolo mondo e vive nella paura che qualcuno gli strappi il suo passato e le piccole, spesso ingannevoli, conquiste del presente, chiuso nel timore di un futuro oscuro e complesso.

La globalizzazione economica è divenuta ricchezza di pochi e povertà di molti.

La religione non ha creato né una fratellanza né la speranza di un futuro unico, seppur diverso, nella coscienza e nell’incontro, è diventata motivo di lotte, divisioni, odio vicendevole: un “dio” diviso in infinite divinità che si contendono la supremazia di una fede lontana dalla cultura e dalla sapienza, inspiegabile alla ragione umana. Le vecchie lotte religiose non sono scomparse, si sono raffinate e generano sempre maggiori divisioni creando una separazione che appare incontrollabile e insuperabile.

La politica, quella scienza che, pur nella pluralità del cammino storico di ogni popolo, dovrebbe assicurare a tutta l’umanità i diritti universali riconosciuti espressamente nel 1948, è strumento che divide sempre più sotto ogni aspetto, dalla cultura al pane quotidiano… così, la politica non solo ha diviso i popoli, ma ha creato barriere al loro interno; i muri, non sono scomparsi, abbattuto uno ne vengono innalzati altri… e soprattutto all’interno delle coscienze.

La delusione, il senso d’impotenza stanno conquistando anche la coscienza di tanti “uomini e donne di buona volontà”; appare ora illusorio pensare per il domani ad una società dove sia possibile costruire una vita degna di tale nome.

C’è una soluzione a tutto questo?

Una risposta fondamentale è la speranza, una speranza condivisa, collettiva, forza morale di un’idea e di un orizzonte futuro, sogno personale vissuto nel profondo di se stessi, che nasce nel proprio intimo e vede la luce quando, come e in quanto diviene convinzione che si apre ad un cammino comune.

La speranza, allora, da testimonianza privata diviene valore comunitario, forza rivoluzionaria del nostro tempo; da aspirazione e riflessione interiore, da luce e stimolo personale si apre ad un percorso di profondo cambiamento sociale e politico facendosi storia concreta.

Chi non si arrende alle sconfitte della giustizia, libertà, uguaglianza, dignità, pace… crea una speranza che va al di là di ogni rimpianto e difficoltà per trovare la forza di altre conquiste e per tradurre i desideri, le aspirazioni, i progetti più ambiziosi nella sicurezza di un nuovo cammino.

Per il pessimismo non è possibile una società in cui i grandi valori della dignità di ogni persona diventino storia, per la speranza, fondata sulle infinite ricchezze della coscienza e sulle “virtù” personali e comuni, ogni conquista è possibile perché la storia insegna che l’essere umano nasce per partecipare ad una sempre nuova creazione ed ogni sconfitta può divenire seme di un tempo nuovo.

La speranza – da non confondersi con il desiderio, che è fluttuante, legato ai diversi tempi dell’esistenza, su cui intervengono numerosi e contrastanti fattori – è un momento essenziale della vita nella sua complessità, non è solo frutto di ottimismo, fa parte del mondo cognitivo, di una presa di coscienza che cambia il personale modo di essere nel percorso storico, prospetta la possibilità di una diversa storia: la speranza non è un optional per illusi, è un’autentica ragione di vita.

Sperare non significa cullarsi in una chimerica illusione, la speranza è frutto di un cammino interiore, agisce controcorrente, ha caratteristiche che ne fanno una virtus, preziosa soprattutto nei momenti più bui di ogni storia.

La speranza

  • cerca ed esige costantemente la verità, pur nelle realtà più negative e dolorose, senza nascondersi dietro il pressappochismo o le mezze menzogne;
  • non si ferma alla superficialità dell’esistenza e dell’evidenza, va alla ricerca delle spiegazioni e pretende risposte ai perché di una situazione, analizza le cause, cariche spesso di sofferenze, delusioni, sconfitte sia personali che sociali; la critica – e l’autocritica – è fondamentale alla costruzione di una speranza che sorge nel pensiero, nella coscienza, nell’agire dei singoli e di una collettività;
  • è forza concreta, storica e individuale: «pur non essendo certezza, è fattore energetico mobilitante, entusiasmo fattivo nell’attesa dell’adempimento» (Ernst Bloch);
  • sa leggere e cogliere tra le righe gli elementi positivi, non ancora evidenti, del presente;
  • è frutto della convinzione che il mondo, nel suo complesso e in tutte le sue componenti, dall’universo al singolo uomo, è migliorabile; lo è stato nel passato e non può non esserlo nel futuro, pur nell’assurda abilità dell’umanità di ricadere negli stessi errori per l’incapacità di leggere la storia.

Affermare che la speranza va al di là dei confini dell’esistenza e dell’esistente, non è un’espressione consolatoria per dare alla durezza e oscurità del vivere una piccola luce che illumina un momento difficile, ma esprime un progetto di vita che pone le radici nella personale ricchezza interiore, una forza capace di proporre vie inedite e nuove finalità.

Abbiamo ereditato dal passato un patrimonio immenso del pensiero e del percorso di liberazione dell’umanità: la fonte della speranza non sta, ripeto, nell’illusione delle nostre idee e desideri, ma nelle conquiste di ieri, in questa personale e comune storia millenaria.

La speranza e il tempo

La speranza nasce dall’intreccio del passato con il futuro, il presente è il momento di maturazione dei due tempi, vivi nella coscienza di ogni essere umano: ricordare il passato è saggezza, prevenire il futuro è dimensione profetica che diviene momento creativo e operativo.

L’essere umano singolo, le società, l’umanità intera distruggono ogni speranza per il domani se non prendono coscienza di esser parte viva di una creatività storica che viene da lontano ed ha il compito di realizzarsi nel presente, consegnandola al futuro: senza questa convinzione, la speranza è fuori dalla storia e appartiene all’infinito e inconsistente tempo dell’illusione.

Il dovere della speranza è un tributo a chi ci ha preceduto, a chi ha lottato e sofferto per ideali e progetti, in parte irrealizzati, lasciati in eredità per assicurarne il compimento; è un dono per le generazioni future perché facciano propri quei valori incompiuti ma indispensabili al loro attuale percorso.

La visione della speranza come responsabilità comune rende consapevoli che quanto non fu possibile a noi, sarà possibile ad altri, a coloro ai quali lasciamo il compito di completare la nostra parte che, senza la fatica delle generazioni future, sarebbe vana: nella fiducia di un sicuro progresso umano, avrà un senso anche il proprio percorso individuale e sociale.

Per questo si può parlare di speranza come forza di vita nel tempo personale; di speranza sociale che trasforma, in un processo inarrestabile, il cammino comune; di speranza politica, intesa come metro e frutto di un percorso universale che fa veri e presenti i più alti ideali per i diritti di ogni persona, portando al centro della storia la dignità di ogni uomo, donna, essere vivente e ambiente naturale.

Se non ora, quando?

«Tante conquiste a suo tempo furono definite “utopistiche” quando, in realtà, si trattava di “verità premature”» J.C. García Fajado

Come “parlare” della storia di oggi?

Sembrano perse le parole per dire il mondo, quasi non si sa più come interpretarlo dentro e intorno a noi, così diviene davvero difficile immaginare il futuro sulle radici di passato/presente… però:

«Non si può rinviare la decisione di comprometterci dinanzi alla terribile crisi che attraversa il mondo. Il fondamento di una speranza sorgerà da questa nostra immersione, da questo nostro coinvolgimento. Dobbiamo penetrare nella notte e, come sentinelle, rimanere in guardia per coloro che sono soli e soffrono l’orrore provocato da questo sistema mondiale perverso. Abbiamo il dovere di resistere e di essere complici della vita anche nella sua immondizia e miseria. Un gesto di assoluta fiducia nella vita e d’impegno con l’altro. Così riusciremo a costruire un ponte sull’abisso» Ernesto Sabato

Ri-scoprire il senso di responsabilità personale comune verso il presente che prepara il futuro, coscienti che ogni scelta causa determinate conseguenze ed ognuno deve sentirsene garante.

Non hanno purificato la nostra immagine di futuro i peggiori incubi della storia – Auschwitz, Hiroshima e Nagasaki, genocidi e etnocidi, guerre umanitarie, stupri etnici, confini minati, eccidi nel Mediterraneo, la fame come arma di guerra, violenze in nome di un qualche dio… – frutto di lunghi tempi di indifferenza, in una serie di passi “insignificanti” e decisioni non così “allarmanti” poi arrivate alle peggiori conseguenze, una lunga preparazione storica che doveva mettere in guardia.

Democrazia – intesa come garanzia di libertà, dignità, uguaglianza, diritti, pace – e totalitarismo sono i due poli di un cammino – più o meno lungo, più o meno cosciente – su una strada che può essere percorsa nei due sensi: quando libertà, dignità, uguaglianza, diritti, pace subiscono dei limiti, i confini della democrazia si restringono, mentre si ampliano dinanzi ad ogni apertura verso libertà, dignità, uguaglianza, diritti, pace… ogni taglio, offesa, lacerazione a libertà, dignità, uguaglianza, diritti, pace avvicina al totalitarismo.

Democrazia-totalitarismo: dobbiamo scegliere in quale direzione camminare tra questi due limiti ideologici, di pensiero, di diritti, di visione del mondo, del ruolo di ogni uomo/donna, in una successione spazio-temporale che presenta vaste variazioni storiche da determinare la possibilità di un passaggio graduale da una all’altro – e viceversa – come la storia ha ampiamente dimostrato in tempi e geografie diverse.

Democrazia-totalitarismo sono termini estremi di una linea che collega due variabili in una contrapposizione/continuità legata alle scelte storiche di cui ognuno è responsabile.

La storia dimostra che non esiste, di fatto, una polarizzazione assoluta, democrazia-totalitarismo non sono separati da confini così netti da escludere totalmente un qualche rapporto di “continuità”, varie vicende storiche evidenziano la possibilità di punti di “vicinanza” che possono portare alla sostituzione di uno sull’altro.

Francesco Guccini, tanto tempo fa, cantava: la notte sta per finire ma l’alba non è ancora arrivata. Tornate, domandate, insistete.

Che fare, allora?

«Getta il tuo pane nelle acque,
perché con il tempo lo ritroverai.
Chi bada al vento non semina mai,
e chi osserva le nuvole non miete.
Fin dal mattino semina il tuo seme
e la sera non dare riposo alle tue mani,
perché non sai quale lavoro avrà buon esito,
se questo o quello,
o se tutti e due andranno bene» Qoelet 11


Nota

[1] Italo Calvino, L’utopia pulviscolare, 1973


 

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