La sentenza della Corte internazionale di giustizia sull’occupazione israeliana della Palestina è importante
Questo livello di consenso giudiziario, in un’atmosfera così politicamente polarizzata, depone a favore della considerazione della sentenza della Corte internazionale di giustizia come autorevole quando si tratta di valutare il comportamento di Israele come potenza occupante in relazione al diritto internazionale umanitario.
La Corte internazionale di giustizia ha deciso a larga maggioranza la scorsa settimana che Israele non ha più il diritto legale di agire come potenza occupante in Gaza e di Gerusalemme Est, rilevando che la sua ulteriore presenza in questi territori è illegale.
La decisione ha assunto la forma di un “parere parere consultivo” in risposta a due “questioni legali” poste alla CIG dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 2022.
Israele ha rifiutato di partecipare al procedimento giudiziario se non con una dichiarazione scritta che si oppone all’intero processo come improprio, sostenendo che il consenso di Israele è necessario prima che la sua condotta governativa possa essere legalmente valutata dalla CIG, anche in un processo etichettato come “consultivo”.
Israele dà ogni segno di ignorare la CIG mentre lavora per “finire il lavoro” a Gaza, continuando le politiche e le pratiche associate al suo approccio all’occupazione dal 1967.
Il fatto che si tratti di un “parere consultivo” piuttosto che di una sentenza formale in un caso “controverso” fa una differenza decisiva nel peso politico o nell’autorevolezza legale del risultato di questo esame legale completo della prolungata occupazione israeliana della Palestina?
Una questione importante è sollevata dal formato formale e obbligatorio del caso sudafricano alla Corte internazionale di giustizia che afferma che Israele sta commettendo un genocidio a Gaza.
Dal punto di vista di Israele, questi due casi non sono molto diversi, al di là del fatto che in un caso la CIG si è concentrata sui presunti illeciti legali associati a 57 anni di occupazione prolungata e nell’altro il Sudafrica ha cercato il sostegno della Corte per porre fine al genocidio di Gaza iniziato lo scorso ottobre.
In entrambi i casi, Israele ha denunciato la Corte internazionale di giustizia per aver raggiunto conclusioni legali che, a suo dire, compromettono la sua sicurezza e il suo diritto a difendersi. Con questo ragionamento, Israele dà ogni segno di ignorare la CIG mentre lavora per “finire il lavoro” a Gaza, continuando le politiche e le pratiche associate al suo approccio all’occupazione dal 1967.
Nessuno ci fermerà
Il linguaggio del rifiuto di Israele è chiaro, con l’ufficio del primo ministro che ha detto in una dichiarazione: “Israele non riconosce la legittimità della discussione alla Corte internazionale di giustizia dell’Aia sulla ‘legalità dell’occupazione’ – una mossa progettata per danneggiare il diritto di Israele a difendersi dalle minacce esistenziali”. O nel linguaggio più crudo del Primo Ministro Benjamin Netanyahu linguaggio“Nessuno ci fermerà”.
Ad un livello superficiale, questa quasi convergenza di risultati sembra trascurare la distinzione prevista tra ciò che è “consultivo” (e quindi non vincolante) e ciò che è “obbligatorio” e vincolante. A un esame più riflessivo, questa convergenza è molto più profonda e si fonda più sull’evoluzione della giurisprudenza della CIG che sulle critiche di Israele al processo e sul rifiuto di attuare le sentenze in entrambi i casi.
Degno di nota è anche il fatto che i giudici statunitensi e australiani hanno espresso il loro voto in linea con il consenso della CIG, nonostante i loro governi siano ardenti sostenitori di Israele.
Nella sua lunga e storica decisione sulla questione dell’occupazione israeliana, la CIG ha raggiunto nove conclusioni, nessuna delle quali è stata osteggiata da più di quattro dei 15 giudici partecipanti.
Questo livello di consenso giudiziario, in un’atmosfera così politicamente polarizzata, depone a favore della considerazione della decisione della Corte come autorevole quando si tratta di valutare il comportamento di Israele come potenza occupante in relazione al diritto internazionale umanitario – in particolare la Quarta Convenzione di Ginevra che regola l’occupazione belligerante – e al diritto internazionale dei diritti umani, in particolare il trattato che vieta la discriminazione razziale.
Tale consenso è rafforzato da ulteriori commenti da parte di giudici di paesi del Sud Globale (tra cui Somalia e Libano) che si spingono oltre il parere consultivo stesso per esplorare la rilevanza del contesto coloniale che informa l’occupazione della Palestina.
Degno di nota è anche il fatto che i giudici statunitensi e australiani hanno espresso il loro voto in linea con il consenso dell’ICJ, nonostante i loro governi siano ardenti sostenitori di Israele, con gli occhi chiusi sulla criminalità israeliana sia nella lunga occupazione che nel genocidio di Gaza.
Primato della geopolitica
Come nel caso sudafricano, la Corte internazionale di giustizia ha ottenuto un’ampia approvazione per aver anteposto così chiaramente il diritto all’identità nazionale. Questo tipo di priorità manca negli organi politici dell’ONU, in particolare nel Consiglio di Sicurezza, dove le bandiere affiliate hanno la precedenza indiscussa e, per essere sicuri di mantenere il primato della geopolitica, i membri permanenti, i P5, hanno diritto di veto (il che ha spinto la Turchia a non fare nulla). Il Presidente turco Recep Tayyip Erdogan per obiettare ha usato parole pittoresche: “Il mondo è più grande di cinque”.
La CIG formula la sostanza della sua analisi giuridica in un linguaggio che intende essere obbligatorio nei confronti di Israele. La Corte Internazionale di Giustizia indirizza tutti gli Stati e le stesse Nazioni Unite ad applicare le sue sentenze su questioni di illegalità e sulle conseguenze dell’illegalità israeliana. Sebbene la decisione sia etichettata come “consultiva”, come richiesto dal quadro normativo della CIG, i suoi pronunciamenti sulla legge sono dichiarati come se fossero autorevoli e sono sostenuti dalla stragrande maggioranza dei giudici.
La CIG sembra inoltre rivendicare l’autorità di dire a tre categorie di attori politici – Israele, tutti gli Stati e le Nazioni Unite – quali sono i loro obblighi rispetto alla sua conclusione centrale, secondo cui la presenza prolungata di Israele non è più legale e dovrebbe essere interrotta il più rapidamente possibile.
Questo parere consultivo fornisce un importante supporto autorevole a diverse lamentele centrali dei palestinesi in relazione al diritto umanitario internazionale e ai diritti umani.
Nel raggiungere questa importante conclusione, la CIG ha stabilito che Israele è responsabile di aver bloccato il diritto palestinese all’autodeterminazione, di aver annesso illegittimamente il territorio palestinese con la forza, di aver violato la Quarta Convenzione di Ginevra attraverso il suo progetto di insediamento su larga scala e di aver fatto affidamento su politiche e pratiche discriminatorie per amministrare i territori occupati.
I pochi giudici che si sono rifiutati di accettare queste conclusioni hanno sostenuto che il procedimento della Corte internazionale di giustizia non ha tenuto sufficientemente conto delle preoccupazioni e delle controdeduzioni di Israele in materia di sicurezza.
Indipendentemente da ciò, questo parere consultivo fornisce un importante sostegno autorevole a diverse rivendicazioni centrali dei palestinesi per quanto riguarda il diritto internazionale umanitario e dei diritti umani, in particolare per quanto riguarda la legittimità delle controverse politiche e pratiche israeliane nei territori occupati e il dovere legale di Israele, degli altri Stati e delle Nazioni Unite di dare seguito a questa decisione con azioni concrete.
Fonte: Common Dreams, 25 luglio 2024
https://www.commondreams.org/opinion/icj-ruling-israel-occupation
Traduzione di Enzo Gargano per il Centro Studi Sereno Regis
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