Gandhi e il senso dell’economia
Erica Cupelli, Gandhi e il senso dell’economia, Pazzini Editore, Verucchio (RN) 2018, pp. 150, € 15,00
In prima persona
L’azione nonviolenta
richiede un intervento
in prima persona
da parte di ognuno
Sull’assunto del titolo di questa recensione (ripreso dall’occhiello) si basa tutto il libro presentato, oggi più attuale che mai (non inganni il nome – Gandhi (1869-1948) – che potrebbe far pensare a qualcosa di obsoleto).
L’autrice è una profonda conoscitrice della forza del cambiamento spirituale di Gandhi.
Spirituale? Ma il libro non tratta di economia? E che c’entra lo spirito con la materia? Che c’entra con l’economia, tema del libro? C’entra, c’entra eccome. Lo scopriamo qui e là, con occasioni di riflessione sparse un po’ ovunque, anche quando e dove meno ce lo aspettiamo.
Per esempio da p. 59, al paragrafo Lo Yoga come allenamento spirituale verso una nuova disciplina economica: finalmente sento parlare la «mia» lingua: yoga è una disciplina che permette di trovare una disciplina economica nuova! Finalmente sento definire lo yoga per quello che è: una disciplina, e quella economica è una disciplina che tramite un’altra disciplina – lo yoga – può trasformarsi. Partiamo da qui, giacché l’argomento mi è molto affine, oltreché noto (pratico yoga da oltre 40 anni e lo insegno da più di 30):
«Un’antica pratica di meditazione cara a Gandhi viene qui utile in quanto è una specie di allenamento per il controllo del corpo e della mente: lo Yoga, e che permette di liberarsi ricongiungendosi con l’ordine del reale […] Come Gandhi non ha mai pensato a una economia priva della pratica etica, così per la pratica dello Yoga non si può prescindere da un piano normativo […] un percorso evolutivo della vita in tutte le sue forme, verso la propria realizzazione», p. 59.
Spirito/materia?
Va bene, Gandhi considerava importante lo yoga. Ma che c’entra quel progresso spirituale con l’economia?
«[…] permette di procedere in modo diverso dal consumismo che dà soddisfazioni inutili ed effimere, in quanto consente, attraverso un approccio concreto, di raggiungere un appagamento duraturo. […] Emerge […] come lo Yoga rappresenti una guida non solo a livello filosofico […] bensì anche una mappa che permette di orientarsi e di pianificare le azioni future […]», p. 60.
Parola magica: mappa. Questo libro è ricco di riassunti per passare subito all’azione. È anche un «manuale», nel vero senso della parola (e non in quello svilente, snob e un tantino saccente con cui è usato di solito). Se uno scritto – per quanto elevato – non entra nel mondo fisico tramite l’azione, resta solo a impolverarsi sugli scaffali. Manuale? mano? fare? (le cose si fanno con le mani). Anche l’autrice ci regala «perle» sull’argomento, a p. 31:
«la più preziosa attività intellettuale è quella che forma sia il cervello che le mani […] un intellettuale che continuasse ad accrescere la propria cultura senza applicarla alla vita e condividerla con gli altri resta sterile»; a p. 29: «Quindi ognuno deve svolgere un’attività manuale, altrimenti è ritenuto indegno di vivere, poiché, per farlo, sfrutta il lavoro e la fatica di altri. Ecco il motivo per cui anche coloro che esercitano l’attività intellettuale non possono fare a meno di dedicare parte del loro tempo al lavoro manuale»;
e Gandhi stesso, a p. 30:
«Non voglio sminuire il valore del lavoro intellettuale, ma nessuna qualità di tale lavoro potrebbe sostituire il lavoro fisico, con il quale ognuno di noi deve contribuire al bene collettivo. Il lavoro intellettuale potrebbe rivelarsi […] superiore al lavoro fisico, ma non […] potrebbe mai essere sostitutivo di quest’ultimo, proprio come il nutrimento intellettuale non potrebbe mai sostituire il pane che mangiamo […] Invero, senza i prodotti della terra, quelli dell’intelletto sarebbero impossibili».
Come non ricordare, al proposito, il mirabile riassunto di Carlin Petrini (fondatore di Slow Food): «il computer non si mangia»? O forse era: «In futuro non mangeremo i computer». Però… però… io sto scrivendo al computer e forse anche voi leggete da un pc o tablet o smartphone… Come ho scritto questa recensione dite? Già, mi sono posta il problema, in cerca di un po’ di coerenza. Lo faccio ogni volta. In questo caso ho – almeno – fatto così: mi sono recata a lavorare in biblioteca, con fogli di riciclo, libro della Cupello, matita (con allunga-matita fornito di temperino) e occhiali. Così almeno non ho tenuto acceso il pc per tutte le 4 ore che mi sono servite per leggere, prendere appunti, segnare sul libro le parti da copiare/da approfondire con parole mie, ricavare i dati necessari per la recensione ecc. E ora che sono tornata a casa devo solo ricopiare, e il tempo di connessione/alimentazione elettrica/consumo ecc. sarà infinitamente minore. I fogli, poiché scritti a matita, andranno nella raccolta differenziata senza richiedere litri di sbiancante per ridiventare carta riciclata. Un piccolo compromesso, sulla scia della semplicità volontaria (di gandhiana origine), lo stile di vita che cerco di perseguire da anni. D’altra parte, in questo caso era importante raccontare a più persone possibili quanto è importante, utile e interessante il libro della Cupelli (da cui l’uso dell’elettronica).
Cosa leggeva Gandhi (e altri consigli bibliografici)
Mentre parliamo di scritti importanti ci farà piacere conoscere quali sono le fonti del Mahatma, cominciando dal suo nome:
«Il termine sanscrito Mahatma, che deriva da “Maha” (=grande) e “Atma” (=anima) fu l’appellativo attribuito a Gandhi […] egli non ne fu mai contento, poiché riteneva ridicola la distinzione tra “grandi anime” e “piccole anime”. In effetti tutti gli uomini sono figli di Dio, e uguali di fronte a lui», p. 117.
Ma torniamo alle fonti di Gandhi: a p. 23 e nelle note relative scopriamo che il libro che contribuì maggiormente alla profonda trasformazione della sua vita è stato Unt This Last, di John Ruskin; uscito nel 1860 e ripubblicato nel 1962. In italiano abbiamo da scegliere tra 2 versioni: Fino al’ultimo. Quattro saggi di socialismo cristiano, Marco Valerio, Roma 2011 e Cominciando dagli ultimi, San Paolo, Milano 2014.
Nella Bibliografia troviamo citato l’imperdibile Piccolo è bello (fulminante sottotitolo: Uno studio di economia come se la gente contasse qualcosa), sia in italiano sia in inglese. Pochi giorni fa è stato il cinquantesimo compleanno del famoso testo di F. S. Schumacher. Allo scopo di riflettere sulla sua attualità riporto un link: https://serenoregis.org/2023/04/06/piccolo-e-bello-ancora/.
Ricordiamo che tutti i testi di e su Gandhi sono custoditi – e disponibili al prestito (o alla consultazione, i più rari) – dalla Biblioteca del Centro Studi Sereno Regis di Torino. Altri titoli interessanti:
AA.VV., Gandhi. Economia gandhiana e sviluppo sostenibile, Centro Studi Sereno Regis, Torino 2000
- Mancini, L’amore politico. Sulla via della nonviolenza con Gandhi, Capitini e Lévinas, Cittadella, Assisi 2005
Sandel M.J., Quello che i soldi non possono comprare. I limiti morali del mercato, Feltrinelli, Milano 2013
M.K. Gandhi, Una grande Anima. Pensieri spirituali per la vita concreta. tr. it. a cura di N. Salio e C. Toscana, Red Edizioni, Como 1998
Altri libri, altri termini
Altri termini sanscriti familiari (per me, perché si ritrovano anche nello yoga, se praticato come disciplina interiore)? All’inizio del libro – p. 21 – sono svadeshi (cui è dedicato quasi un intero capitolo), satyagraha, ahimsa, aparigraha, sarvodaya ecc. Quest’ultimo indica il benessere di tutta la comunità, che è l’obiettivo dell’economia gandhiana. All’inizio era anche il titolo di un mensile su cui uscivano gli scritti di Gandhi. Riviste con quel titolo esistono ancora oggi; alcune sono disponibili presso la Biblioteca-videoteca-emeroteca del Centro Studi Sereno Regis di Torino.
Più avanti si incontra poi un po’ di storia degli ashram e del programma di Gandhi per realizzare ovunque dei villaggi che funzionassero nello stesso modo. Si fece aiutare da Vinoba Bhave e J. K. Kumarappa, coetanei del Mahatma e a lui vicinissimi dal 1916 agli anni Trenta.
La prima volta che sentivo parlare di Vinoba Bhave e Kumarappa erano gli anni Ottanta, la voce era quella di Nanni Salio, ideatore e presidente (fino alla sua morte, avvenuta nel 2016) del Centro Studi Sereno Regis di Torino. Me ne parlava a proposito di un mio scritto, Del vivere semplice, che nel 1996 avevo realizzato artigianalmente per venderlo alle fiere del biologico quale proposta di un modello di vita che stavo perseguendo da anni e avrei voluto diffondere. Fu lui a propormi il titolo «Perché non lo intitoli Semplicità volontaria? Posso scriverne l’Introduzione». Così uscì la prima edizione, e poi la seconda e ora la terza (Consigli contro gli acquisti. Consumare meno e vivere meglio con la semplicità volontaria, L’Età dell’Acquario, Torino 2013, per giocare col modo usato da Maurizio Costanzo per annunciare la pubblicità: Consigli per gli acquisti).
Da allora, studiando lo yoga e tentando di applicare la semplicità volontaria come stile di vita di gandhiana memoria e pratica, ho re-incontrato continuamente Kumarappa e Bhave, insieme con altri discepoli di Gandhi; ho incontrato anche una donna, Vimala Thakar (1921-2009) che avviò il movimento Bhoodan, di ispirazione gandhiana, per la redistribuzione delle terre in India; vi partecipò attivamente per 10 anni, camminando di villaggio in villaggio, in ogni angolo dell’India, per portare un messaggio di rivoluzione nonviolenta. Per approfondire: https://www.rajayogaitalia.it/vimara-thakar/; Pace radicale, Ubaldini, Roma 1993.
Mantieni il cuore
Mantieni i tuoi pensieri positivi,
perché i pensieri diventano parole.
Mantieni le tue parole positive,
perché le tue parole diventano i tuoi comportamenti.
Mantieni i tuoi comportamenti positivi,
perché i tuoi comportamenti diventano le tue abitudini.
Mantieni le tue abitudini positive,
perché le tue abitudini diventano i tuoi valori.
Mantieni i tuoi valori positivi,
perché i tuoi valori diventano il tuo destino
Il cuore dell’economia di Gandhi è già stato trattato – ma non in italiano – dall’economista Das Amritananda, secondo il quale il Mahatma suggerisce di badare all’impatto dello sviluppo tecnologico avrà non solo sul lavoro ma anche sulle persone: «aumenterà la povertà? Lo stile di vita delle persone migliorerà? Quali saranno le conseguenze per l’ambiente? Solo attraverso la realizzazione del pieno impiego i poveri diverranno membri della forza-lavoro tale da permettere loro di provvedere autonomamente alla loro sussistenza con dignità». Queste domande (le trovate a p. 54), mi hanno ricordato il Talismano di Gandhi, una sorta di linea-guida per chiunque si occupi di economia (cioè tutti/e noi). Abbiamo cominciato con un detto di Gandhi, proseguiamo con un suo altro scritto, Il talismano di Gandhi:
Ti darò un talismano.
Ogni volta che sei nel dubbio
o quando il tuo «io» ti sovrasta,
fa’ questa prova:
richiama il viso dell’uomo più povero e più debole che puoi aver visto
e domandati se il passo che hai in mente di fare sarà di qualche utilità per lui.
Ne otterrà qualcosa?
Gli restituirà il controllo sulla sua vita e sul suo destino?
In altre parole,
condurrà all’autogoverno milioni di persone affamate nel corpo e nello spirito?
Allora vedrai i tuoi dubbi e il tuo «io» dissolversi.
7 Punti 1 Programma
Gli aspetti fondamentali dell’economia gandhiana possono riassumersi in 7 punti:
- proprietà nonviolenta e riconoscimento formale dell’amministrazione fiduciaria;
- produzione nonviolenta e uso di tecnologie appropriate;
- consumo consapevole e limitazione volontaria [da cui la Semplicità volontaria, NdR] del possesso dei beni superflui;
- lavoro nonviolento e lavoro per il pane:
- cooperazione;
- distribuzione nonviolenta delle risorse e uguaglianza;
- socialismo comunitario e nonviolento (p. 131)
11 Consigli 1 Programma
A riprova del fatto che la proposta di questo libro per un’economia diversa non è un sogno utopico ci sono le testimonianze della vita nei villaggi indiani ai tempi di Gandhi, Vinoba Bhave e non solo:
«Gli Ashram divennero di fatto dei luoghi di sperimentazione diretta in cui il non possesso, l’uguaglianza, il non sfruttamento, l’amministrazione fiduciaria e la scelta diuna vita semplice come espressione della povertà volontaria, caratterizzavano ogni membro», p. 114.
La visione di Gandhi, sperimentata nei villaggi e negli ashram indiani, si basa su questi consigli, applicabili in ogni comunità (convento, famiglia, scuola, ufficio, fabbrica, paese, città, nazione, gruppo di lavoro ecc.):
- allenamento spirituale per autodisciplinarsi;
- decentramento;
- valorizzazione dei punti di forza della propria comunità;
- scelta e utilizzo di tecnologie che siano a servizio dell’uomo;
- incoraggiamento al lavoro manuale;
- cura e attenzione alla natura;
- servizo alla comunità;
- liberazione da ciò che vincola e rende schiavi;
- tutela dell’eguaglianza (economica e socio-politica);
- condivisione di ciò che si ha;
- scelta di una vita semplice.
La scelta di una vita semplice anzi è definita l’espressione della «povertà volontaria», termine che mi piace di più rispetto a «semplicità volontaria», anche se può spaventare.
9 punti 1 regolamento
Ditemi se non siete d’accordo con tutti questi 9 punti! Sono le indicazioni del paragrafo Attenzione al lavoratore:
«1. le ore di lavoro non superino le 6 giornaliere e le 32 ore settimanali;
- l’orario sarà flessibile per venire incontro alle esigenze personali di ognuno;
- l’ambiente sia quanto più possibile naturale e pieno di luce;
- non vi siano turni notturni, eccetto per quei lavori che, per il benessere della società, richiedono tale servizio (esempio: medici, infermieri, pompieri, poliziotti);
- nel caso di turno notturno, una persona deve essere remunerata maggiormente rispetto ad un turno normale;
- il turno di notte deve essere svolto a rotazione e non più di una volta alla settimana per ogni lavoratore;
- venga promossa la cultura tramite l’inserimento di biblioteche negli ambienti di lavoro;
- siano inseriti dei corsi di aggiornamento periodici;
- sia tutelata», p. 80 Questo elenco vale un po’ per tutti i lavoratori e tutti i posti di lavoro. Quello qui sotto vale per la politica.
I nuovi nomi dei ministeri
In questo momento storico in Italia c’è un restyling dei nomi di Ministeri e altre realtà politiche, alcuni dei quali sono agghiaccianti, ma non è questo di cui voglio parlare. Mi interessa molto di più il funzionamento delle comunità gandhiane, e anche i loro nomi. Semplici. Chiari. Non ambigui. Il campo d’azione va dalla comunità al mondo, secondo un ennesimo, evocativo, adorabile e utilissimo schema a ellissi concentriche (p. 104):
comunità > regione > Stato > continente > mondo.
Queste realtà sono collegate tra loro: «Ciascuna autonomia è legata all’altra da rapporti nonviolenti in cui nessuno è nemico o concorrente, ma ognuno contribuisce al miglioramento dell’altro» e le Commissioni operanti all’interno di ciascuna realtà hanno nomi di una parola, al massimo due. Di più farebbero solo confusione (o propaganda): ambiente, urbanistica, educazione, sanità, lavoro, economia, welfare e società, sicurezza interna, rapporti interni, rapporti esterni. Perché non si riesce a fare una cosa semplice così? Un suggerimento ci viene dal paragrafo No allo sfruttamento (uno dei fondamenti dell’economia gandhiana), alle pp. 47-48:
«Infine, l’altro sfruttamento che va evitato non è solo, e direttamente, quello dell’uomo, ma anche quello delle società e delle nazioni. In tal modo, i paesi più ricchi non dovranno sfruttare gli altri territori, ma ci dovrà essere collaborazione da parte di nazioni sorelle. Lo sfruttamento e la dominazione di una nazione rispetto a un’altra non può aver luogo in un mondo che cerca di porre fine a tutte le guerre. Ciò che deve essere promosso è la completa libertà di ogni paese dal controllo straniero […]. La nazione più forte dovrà aiutare quella debole a svilupparsi e porre al centro della loro relazione la fiducia […]».
Proprio quello che sta succedendo ora no? (Ironico… come si traduce graficamente un tono ironico?)
Repetita juvant, purtroppo…
La visione di Gandhi illumina ancora oggi, e anche nell’81, quando Romesh Diwan, professore di economia ebbe a dire, durante un incontro di studi sull’economia gandhiana tenutosi a Washington:
«Questa crisi è stata portata in superficie a causa dell’incapacità della teoria economica di spiegare gli attuali feonomeni di stagflazione [recessione e inflazione concomitanti; ndC], produttività e altro. La questione riguarda concetti alquanto fondamentali: razionalità, massimizzazione, minimizzazione, ottimizzazione, equilibrio. Senza questi fondamenti, l’intero edificio logico dell’economia neoclassica cade», p. 55.
Queste parole si trovano anche in un suo articolo uscito nell’82, The Economics of Love or an Attempt at Gandhian Economics. Ma a questo riguardo prima ancora, nel ’68, Aldous Huxley aveva pre-annunciato che prima o poi ci si sarebbe resi conto di una cosa, affermata successivamente (2008) da Roberto Burlando, e cioè che «non vi è nulla di più insostenibile che lo sviluppo sostenibile», nel libro della Cupelli a p. 55 (dove troviamo i dati sia per Huxley sia per Burlando).
Lavorare meno, lavorare tutti!
Pure questo l’ho già sentito… è uno slogan che ricordo di aver urlato (e sentito urlare) per le strade di Milano, alle manifestazioni degli anni ’70 e ’80. Può darsi che il seme sia stato gettato allora, quel seme che mi ha portato a decidere di lavorare meno, guadagnare meno, avere meno per poter scegliere che lavoro fare, per poter scegliere di non fare un lavoro che non voglio, o che non è etico, o che sfrutta qualcuno, o che uccide qualcuno (anche gli animali) ecc.
Su questa scia ho trovato qui pagine e pagine di proposte operative su come organizzare il lavoro, altroché «sogni utopici» validi solo al tempo di Gandhi e in India! Trascrivo alcuni passaggi importanti:
«Gandhi propone una “vita vivibile”, in cui si persegue la pace. Per questo motivo si dovrà lavorare tanto basta per comprare il pane quotidiano, così che il resto del tempo possa essere dedicato a ciò che ha vero valore, non la ricchezza materiale, ma ciò che nobilita l’anima. Allora ci si potrà prendere cura dei propri figli, assistere le persone anziane, fare volontariato, coltivare le proprie passioni, mentre, al tempo stesso, molte più persone potranno lavorare. Il miglior lavoratore sarà dunque colui che si sente a suo agio nella semplicità, l’unica via che può portare alla felicità, fatta di affetti, emozioni, vita. Con la speranza di aver illustrato in modo adeguato i fondamenti etici dell’economia gandhiana, la sfida […] sarà quella di tradurli in concetti praticabili, pur essendo consapevoli del fatto che ciò diventerà possibile solo con una profonda e sincera trasformazione del cuore», p. 51.
Pratica e autarchia
Per poter entrare in un ashram ai tempi di Gandhi era necessario osservare dei voti, uno dei quali era la semplicità volontaria, portata a scelte davvero forti che fanno riflettere sul nostro aprire l’armadio zeppo di vestiti e pensare “non ho niente da mettermi!”, o arrabbiarci quando non possiamo fare l’inutile ennesima quotidiana doccia bollente:
«Non basta non possedere e non trattenere molto, ma è necessario non tenere nulla che non sia necessario per la protezione e il nutrimento del nostro corpo. In tal modo, se si può fare a meno di sedie, si dovrebbe fare proprio così. Chi ha preso questo voto dovrà ricordarlo ogni giorno e cercare di semplificare la sua vita sempre più», p. 38.
Senza rinunciare alle sedie si potrebbe pensare se sia davvero necessario avere 20 borse, 40 paia di scarpe o 7 cappotti no? In effetti queste regole sono inserite in un paragrafo intitolato Aparigraha, altro termine yogico, in sanscrito, che ha a che fare con l’accontentamento, con il sentirsi soddisfatti col poco che abbiamo e non delegare al possesso di cose il nostro sentirci realizzati e felici. E lo yoga, ricordiamolo, è una disciplina spirituale che predica il non attaccamento come attitudine da coltivare assolutamente. Ma, come vediamo, non è necessario fare yoga per frequentare questi concetti, queste parole, queste indicazioni di comportamento. Anche un’economia più giusta richiede una conversione interiore.
Autarchia antica e moderna
A proposito di altri termini sanscriti che non riguardano solo l’India dei tempi di Gandhi ecco le sue parole attualizzate da un libro appena pubblicato:
«Si deve fare a meno di tutto ciò che non può essere prodotto nel proprio paese, perché la persona che ha preso il voto di Swadeshi non potrà mai usare articoli che abbiano comportato nella loro fabbricazione, o da parte dei loro produttori, una violazione del voto di verità. Infatti da questo scaturisce anche il voto di Swadeshi. Esso richiede di concentrare la propria attenzione sulla comunità o, meglio, sul territorio nel quale si vive, preservando e tutelando tutto ciò che circonda l’uomo, natura inclusa», p. 19
A questo proposito ecco l’annunciato consiglio bibliografico: ancora per ribadire il concetto che queste cose «gandhiane» non sono vecchie per il fatto che la vicenda di Gandhi è terminata nel 1948, vorrei citare un ultimo libro che ho letto – per scriverne una recensione (pubblicata di recente https://serenoregis.org/2024/05/03/ecologia-e-autarchia/) – intitolato Ecologia e autarchia. Cento anni di genio italiano per la transizione ecologica, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 2023, con l’Introduzione di Serge Latouche. Ecco fatto.
Riassuntino colorato
Se tutte le parole lette finora sono state troppe, le trovate riassunte nella copertina del libro, i cui colori riassumono il modello gandhiano in modo immediato: il verde (valori, cultura, società) contiene e fonda il blu (economia). E non viceversa, come scrive a p. 4 l’autrice Erica Cupelli: «Lo schema visualizza il modello gandhiano, che guarda il mondo secondo i valori etici che […] fondano una economia al servizio dell’uomo e non viceversa».
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