“Scontro di civiltà” addio, Gaza si è dimostrata l’unificatore definitivo

Ramzy Baroud

Un tempo le teorie autoassolutorie come quella di un imminente “scontro di civiltà” erano di gran moda tra molti accademici statunitensi e occidentali.

L’identità è fluida, perché concetti come cultura, storia e autopercezione collettiva non sono mai fissi. Sono in uno stato costante di flusso e revisione.

Per centinaia di anni, la mappa dell’Impero Romano è sembrata più mediterranea e, in ultima analisi, mediorientale che europea – secondo la demarcazione geografica, o addirittura geopolitica, dell’Europa di oggi.

Centinaia di anni di conflitti, guerre e invasioni hanno ridefinito l’identità romana, dividendola, alla fine del IV secolo, tra Occidente e Oriente. Ma anche allora le linee politiche cambiavano continuamente, le mappe venivano ripetutamente ridisegnate e le identità opportunamente ridefinite.

Questo vale per la maggior parte della storia umana. È vero che la guerra e i conflitti sono stati i motori del cambiamento delle mappe – e del nostro rapporto collettivo con queste mappe – ma la cultura è anche plasmata e rimodellata da altri fattori.

La permeazione della lingua inglese, ad esempio, come principale strumento di comunicazione nel periodo successivo alla Guerra Fredda, ha portato all’invasione dell’intrattenimento statunitense e, in misura minore, britannico – film, musica, sport, ecc. – di molte parti del mondo. Questa invasione ha interrotto il naturale sviluppo culturale di molte società, ampliando il divario generazionale e ridefinendo le concezioni, i valori e le priorità sociali.

Attualmente, ci sono segnali di un nuovo mondo che sta emergendo.

Un cambiamento così repentino nel flusso culturale difficilmente favorisce la salute di una nazione, il cui senso di sé è il risultato di centinaia, se non migliaia di anni di conflitti sociali, lotte e, spesso, crescita.

Non ci si può quindi fidare dell’identità come significante politico permanente, poiché questo concetto vago è in costante movimento e a causa della connettività senza precedenti tra i popoli di tutto il mondo. Se da un lato questa connettività può portare a un lento etnocidio, difficile da individuare e tanto meno da evitare, dall’altro può aiutare le nazioni assediate e oppresse a reagire.

Un tempo, le teorie autoassolutorie come quella di un imminente “scontro di civiltà” erano di gran moda tra molti accademici statunitensi e occidentali.

La suddivisione di Samuel Huntington del mondo in “grandi civiltà”, le cui relazioni saranno definite dal conflitto, è stata una comoda aggiunta a una storia di tali metafore razziste, che risale alle prime fasi del colonialismo occidentale.

Questo pensiero è stato spinto in avanti dall’opportunità politica, non dal pensiero razionale, ed è stato fortemente commercializzato dopo il crollo dell’ordine sovietico, la prima guerra in Iraq e il rafforzamento del militarismo occidentale in Asia, Medio Oriente e nel resto del Sud globale.

Collegare gli sforzi violenti con parole altisonanti come civiltà – alcune guidate da valori universali, mentre altre, presumibilmente, dall’estremismo – era una mera reintroduzione di vecchi mantra come la “missione civilizzatrice” dell’Europa e il “destino manifesto” americano.

Tutto ciò è comunque fallito o, più precisamente, non è riuscito a produrre il risultato desiderato di mantenere il mondo in ostaggio della definizione di civiltà, identità e relazioni umane dell’Occidente, e quindi del presunto inevitabile “scontro”.

Attualmente, ci sono segnali di un nuovo mondo che sta emergendo. Non è un mondo plasmato da ricerche o impulsi di civiltà, ma dallo stesso vecchio paradigma storico: coloro che cercano il potere per ampliare e proteggere i propri interessi economici e coloro che si oppongono, cercando libertà, giustizia, uguaglianza, stato di diritto e simili.

Coloro che perseguono il potere possono, e si stanno unendo al di là delle loro presunte inclinazioni di civiltà, valori religiosi, orientamenti razziali e geografici.

Anche prima della guerra tra Russia e Ucraina, stava già emergendo una nuova guerra fredda, tra un impero in declino, gli Stati Uniti, e uno in ascesa, la Cina.

Entrambi i Paesi, secondo Huntington, sarebbero serviti come esempi da manuale di “civiltà occidentale” contro la “civiltà sinica”, raggruppata insieme ad altri nel “mondo orientale”.

Tuttavia, né l’approccio raffinato di Barack Obama né lo stile populista di Donald Trump sono riusciti ad approfondire questo presunto scontro di civiltà. Le relazioni del resto del mondo con la Cina continuano a essere governate da interessi economici.

Persino gli alleati europei di Washington, che dipendono fortemente dal commercio e dai progressi tecnologici cinesi, non sono del tutto convinti di unirsi alla guerra commerciale contro Pechino in nome dei comuni valori occidentali e di altre retoriche del genere.

Per quanto riguarda coloro che si oppongono, la guerra a Gaza è stata un inaspettato grido di unità. In effetti, la guerra ha dato vita a una nuova formazione delle relazioni internazionali che prima del 7 ottobre non esisteva quasi.

Coloro che parlano a favore dei palestinesi non sono governati da confini religiosi, razziali, geografici o addirittura culturali. Dalla Namibia al Sudafrica, dal Brasile e dalla Colombia al Nicaragua, dalla Cina, alla Russia e al Medio Oriente, la solidarietà con Gaza è difficilmente definibile da una stretta prospettiva “civile”.

Questo include le proteste di massa in tutto il mondo, anche in Europa e Nord America, dove persone di ogni colore, razza, età, genere, religione e altro ancora sono unite in un unico canto: cessate il fuoco ora.

Naturalmente, ci saranno sempre coloro che vogliono dividerci, in base a qualsiasi linea che possa servire ai loro programmi politici, quasi sempre legati agli interessi economici e alla potenza militare.

Tuttavia, la resistenza globale a questi accademici deliranti e ai politici sciovinisti è più forte che mai. Gaza ha dimostrato di essere l’unificatore definitivo, poiché ha tracciato una linea che unisce tutti i gruppi di civiltà di Huntington, non intorno a un conflitto imminente, ma alla giustizia globale.


Common Dreams, 12 maggio 2024

https://www.commondreams.org/opinion/israel-hamas-war-gaza

Traduzione di Enzo Gargano per il Centro Studi Sereno Regis


 

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