Elezioni in India: flussi elettorali in calo mentre cresce la polarizzazione
In un tripudio di ghirlande, manifesti con il fior di loto ovunque, folle di fans abbigliati in tutte le tonalità dell’arancione (il colore d’ordinanza del Bharatya Janata Party al governo dell’India da ben due mandati), nelle elezioni in India ha votato ieri anche Narendra Modi. Lo ha fatto nella sua città natale, Gandhinagar nello stato del Gujarath di cui è stato amministratore fino alle elezioni che nel 2014 lo hanno consacrato Primo Ministro.
Seguito dalle telecamere in tutte le possibili angolazioni, il Vishwaguru (letteralmente: supremo, o più esattamente guru mondiale) si è presentato al seggio vestito di bianco a parte il vistoso gilet arancione. E per la gioia delle telecamere si è poi presentato alla folla con il dito alzato marchiato di inchiostro, come nella campagna elettorale che la Election Commission non ha mai smesso di diffondere su tutti i possibili media, dagli ovvi manifesti e spot pubblicitari, agli involucri del latte e merchandising vario.
Ma nonostante l’incessante tam tam pubblicitario l’affluenza a queste elezioni risulta inferiore alle aspettative: sia nella prima fase del 19 aprile, che nella seconda del 26 aprile, e ancor più in questa terza di ieri, 7 maggio, che riguardava 93 seggi in 11 stati e territori dell’unione, il numero dei votanti è stato nettamente inferiore alle ultime elezioni del 2019. E per il BJP che da oltre un anno sta lavorando per assicurarsi molto più di una vittoria ovvero il plebiscito, il dato è preoccupante.
Che cosa potrà significare questa minore partecipazione elettorale in termini di voti lo diranno i conteggi finali, che verranno resi noti il 4 giugno. E siccome anche per la tornata di ieri, come per le due precedenti, si sarebbero verificati delle ‘manomissioni’ (o veri e propri furti) di urne in zone particolarmente remote (per esempio in Assam, nord est dell’India), quanto potranno dirsi attendibili questi conteggi… non si sa. E quanto alle cause della minore affluenza alle urne, avrà senz’altro influito la calura, che in alcune zone ha raggiunto negli ultimi giorni i 45 gradi.
Ma potrebbe anche esserci una componente di disaffezione: disoccupazione giovanile mai stata così alta, campagne mai state così in sofferenza nonostante le promesse, disparità e diseguaglianze mai state così esplosive. E infatti gli analisti concordano nel rilevare un certo nervosismo ai vertici del BJP, ben diverso dalla sbandierata sicurezza che aveva inaugurato questa Festa anzi Festival elettorale, secondo la definizione di Narendra Modi.
Decisamente cambiato dagli inizi è proprio lui, che negli ultimi giorni ha abbandonato la rassicurante bonomia che tanto piace all’elettorato femminile, per assumere toni decisamente belligeranti nei confronti delle minoranze, particolarmente quella mussulmana. In un recente comizio in Rajasthan, è arrivato a parlare addirittura di ‘infiltrati’ – definizione quanto mai incendiaria, considerate le proteste, le manifestazioni di dissenso, la partita per niente chiusa che ha caratterizzato la proposta e infine votazione in Parlamento della discussa Legge sulla Cittadinanza, particolarmente penalizzante appunto per la minoranza mussulmana.
“I partiti dell’opposizione, Rahul Gandhi per primo, vi promettono misure di governo che dovrebbero ridistribuire la ricchezza fra tutti… ma tutti chi?” ha ruggito con toni rauchi di rabbia, la testa avvolta in un turbante arancione quasi sul punto di cascare. “Sareste contenti di dover condividere il frutto del vostro lavoro, sotto forma di tasse, con degli ‘infiltrati’…?” E nonostante il tentativo di attutire il colpo da parte del suo entourage, parecchi media (non solo indiani) hanno stigmatizzato queste incaute dichiarazioni in termini di deliberato hate speech: la ben nota ricetta del soffiare sul risentimento contro gli altri (immigrati recenti oppure antichi, poco importa), per massimizzare il consenso interno in termini di hindutva, il suprematismo a matrice religiosa che totalizza numeri di assoluta maggioranza tra la popolazione indù. E così nascondere i problemi reali dietro le battute ad effetto che serviranno a tenere occupati i talk show.
Tuttavia le criticità strutturali restano da risolvere e non sono poche, e fra le tante la sofferenza delle campagne è il problema più grave anche per le dimensioni della popolazione interessata, la cui risposta elettorale resta un’incognita.
Quel settore contadino al quali Narendra Modi aveva promesso miglioramenti sostanziali, nel tenore di vita, nella progettazione di filiere produttive in grado di valorizzare il prodotto dei campi (per esempio nel caso della canapa, o del cotone) con la creazione di piccole industrie locali (per esempio tessili) in grado di dialogare con i marchi del Made in India e quindi con l’export, con il design … promesse non mantenute, settore agricolo sempre più abbandonato e in sofferenza, come abbiamo potuto capire seguendo quella straordinaria mobilitazione contadina, che tra il 2020 e 2021 (in piena pandemia), è rimasta accampata tutt’intorno a Delhi per un anno intero, la più grande protesta mai successa prima sulla faccia del pianeta.
E per chi si trovasse a Torino il 10 maggio segnaliamo la proiezione al Kontiki (Via Cigliano 7) del film Too Much Democracy di Varrun Shukraj, ne avevamo già parlato qui.
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Protesta che alla fine si è conclusa con un’importante vittoria, perché di fronte alla determinazione, alla compattezza, alla mirabile unità di così tante sigle sindacali strategicamente confluenti in un’unica leadership, il Samyukt Kisan Morcha, il governo non ha potuto fare a meno di abrogare quelle tre leggi che avevano motivato la mobilitazione, perché avrebbero consegnato l’intero settore ai giganti dell’agrobusiness.
Ma il problema di fondo, la debolezza di un settore produttivo obiettivamente arretrato, caratterizzato da una gestione per lo più familiare, sempre più penalizzato dai cambiamenti climatici, cronicamente indebitato, non si è risolto con la fine della mobilitazione. E infatti anche lo scorso anno ci sono state agitazioni in almeno nove stati e territori dell’Unione e non più tardi di qualche mese fa, dal 13 febbraio in poi le proteste contadine sono riesplose di nuovo, con 20.000 agricoltori provenienti soprattutto dal Punjab, dall’Haryana e dall’Uttar Pradesh occidentale, in marcia verso Delhi per ribadire la richiesta di prezzi minimi garantiti per tutti i raccolti, agevolazioni sui prestiti, aumento di pensioni – e il famoso raddoppio del reddito che era stata la promessa elettorale di Narendra Modi.
Una mobilitazione repressa questa volta non a colpi di bastone ma con lacrimogeni lanciati direttamente dai droni per non dire dei proiettili di gomma sparati ad altezza d’uomo. Una risposta repressiva che Human Rights Watch non ha esitato a denunciare come eccessiva, espressione di una violenza dello Stato incompatibile con la vocazione di democrazia. In risposta alla repressione della polizia, i contadini hanno fatto volare stormi gli aquiloni per distrarre i droni, hanno indossato occhiali da nuoto per proteggersi dai gas lacrimogeni e hanno usato i trattori per abbattere le barricate. “Smaschereremo, protesteremo e puniremo il regime al potere che non solo ha ignorato, ma ha anche usato misure repressive contro gli agricoltori che protestano”, ha dichiarato in quell’occasione Darshan Pal, tra i leader del sindacato unitario SKM.
Una situazione dunque di acuta, cronica, diffusa sofferenza, aggravata negli ultimi anni dalle decine di migliaia di suicidi per debiti, che Narendra Modi ha potuto permettersi di ignorare, o relegare in secondo piano, durante lo scorso mandato, contando sul favore di un sistema media quasi completamente asservito e all’occorrenza attivando la cortina fumogena del risentimento contro gli ‘infiltrati’ di turno, vuoi i terroristi che penetrano dal Pakistan sul fronte del Kashmir, vuoi le truppe cinesi che non perdono occasione di guadagnare qualche pendio himalayano in Ladakh – vuoi appunto le minoranze mussulmane o anche cristiane, purché se ne parli.
Ma i problemi appunto restano, come non smettono di documentare le ottime testate indipendenti rimaste attive (tra esse il sito PARI, People’s Archive of Rural India diretto con ammirevole passione dal giornalista Sainath) e chiamano in causa il governo sul fronte delle minime tutele che riguardano essenzialmente la garanzia legale del prezzo minimo di sostegno, o MSP, che fisserebbe una soglia minima per il prezzo di 23 prodotti di base. Se i prezzi di mercato scendono al di sotto di tale soglia, il governo sarebbe tenuto ad acquistare i prodotti dagli agricoltori al tasso concordato mettendoli al riparo dalle incertezze del mercato e da quelle derivanti da condizioni climatiche sempre meno prevedibili.
Quando l’oceanica protesta di due anni fa si concluse, il governo si era impegnato a istituire una commissione che, affiancata dal sindacato unitario dei contadini (SKM) affrontasse appunto la questione del Prezzo Minimo di Sostegno, ma senza approdare ad alcun risultato.
Secondo il politico e analista politico indiano Yogendra Yadav, la questione è di ineludibile attualità. E infatti anche alla fine di aprile erano di nuovo in agitazione circa 10.000 contadini nello Stato del Punjab, che già in precedenza (17 aprile) avevano bloccato i binari ferroviari vicino al confine di Shambhu, chiedendo il rilascio degli agricoltori arrestati. L’azione ha provocato cancellazioni e deviazioni dei treni. Altre agitazioni più piccole a livello statale si sono verificate un po’ in tutti le aree agricole dell’India e altre sono già state annunciate dai vari sindacati, indice di un disagio che è proprio ovunque e non potrà non avere conseguenze sulle elezioni in corso.
Il Partito del Congresso, attualmente all’opposizione, ha risposto alle proteste con la promessa di includere la garanzia nazionale per il prezzo minimo di sostegno se verrà votato. Quanto al BJP la priorità è vincere alla grande, premendo su qualsiasi pedale (compreso l’utilizzo dell’hate speech, come dimostrato recentemente dal comizio di Narendra Modi in Rajasthan) che possa contribuire al maggioritarianismo nel segno dell’hindutva.
(2 – continua)
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