Kosovo: una prospettiva sullo sfondo della guerra e delle tensioni

Gianmarco Pisa

Nel momento in cui torna a salire la tensione, riprendono gli scontri e si riaffaccia l’insoluta questione del Kosovo, quale vero e proprio paradigma, ieri del conflitto e del post-conflitto etnopolitico, oggi del caos e dell’impoverimento nel quale versa la regione, si avverte l’esigenza di interrogarsi in maniera più puntuale e approfondita, al di là delle cronache correnti e delle ricostruzioni estemporanee, intorno alle caratteristiche e alle peculiarità del Kosovo e ai suoi contenuti e significati in prospettiva regionale e internazionale.

Porre la questione del Kosovo significa infatti, anzitutto, individuare gli elementi che ne determinano la specificità e gli ambiti entro i quali offrirne un’interpretazione. Sotto il profilo storico, anzitutto, si tratta di una regione contesa, di una regione a crocevia, sulla quale si stendono le ragioni storiche di lunga durata delle due comunità, numericamente e politicamente, più rilevanti della regione: abitato in prevalenza, ma non esclusivamente, da albanesi e serbi, si tratta, al tempo stesso, di un luogo della memoria, di un contesto identitario e di una terra ancestrale, tanto per gli uni quanto per gli altri e, di conseguenza, una terra oggetto di conflitto, di contesa e di rivendicazione.

Il tema della “rivendicazione”, peraltro, non riguarda solo la terra, ma rimanda a un patrimonio storico, culturale e memoriale di lunga durata che, in quanto tale, costituisce un «sedimento di memoria» e che, proprio per questo, può offrirsi a entrambe le declinazioni: quella della rivendicazione “esclusiva”, basata sull’opzione dell’appropriazione identitaria, e quindi dell’identificazione in chiave etno-nazionale o in chiave religiosa, quale «piccola patria ancestrale» contesa tra gli uni e gli altri, alternativamente reclamata dagli uni e dagli altri; ovvero quella della appropriazione “positiva”, vale a dire, al tempo stesso, dell’identificazione delle matrici storico-culturali di tali contenuti di patrimonio (appunto, storico, culturale e memoriale) e del valore socio-culturale universale di tali stessi contenuti, in quanto intersezione di “bellezza” e di “valore”, su cui si staglia una propensione, al tempo stesso, estetica ed etica, patrimoni, quindi, il cui valore storico, la cui rilevanza culturale, il cui significato universale finiscono (o dovrebbero finire) per trascendere le mere, esclusive, appartenenze nazionali e dischiudere viceversa la possibilità di un mutuo, reciprocamente rispettoso, dialogo.

La ricchezza storica, culturale e memoriale del Kosovo è, infatti, indubitabile e straordinaria: intanto, i patrimoni di eccezionale importanza universale che sono stati già inclusi o indicati ai fini del riconoscimento come patrimoni mondiali dell’umanità dell’UNESCO, quali il Patriarcato di Peć/Peja, il complesso monastico e il monastero di Dečani, il complesso monastico e il monastero di Gračanica, il complesso religioso e la chiesa monumentale di Nostra Signora di Ljeviš a Prizren, il cui significato, peraltro, difficilmente si potrebbe comprendere in tutta la sua portata e in tutta la sua estensione se non in relazione con il più vasto patrimonio e la più vasta connessione, di carattere storico, culturale e religioso, con i patrimoni cristiani, delle diverse denominazioni, dell’intera regione balcanica occidentale, e, in particolare, della Jugoslavia.

Monumento Fratellanza e Unita – Prishtina | Foto di Gianmarco Pisa

Quindi, i patrimoni storico-culturali di eccezionale rilevanza memoriale, tra i quali i punti di riferimento storici (ad esempio, il Gazimestan e la Turbe – Mausoleo – di Murad alle porte di Prishtina, il capoluogo della regione), le eredità memoriali del comune passato jugoslavo (alcune delle quali, peraltro, di eccezionale valore storico-culturale come la Necropoli partigiana a Velania, il Monumento agli eroi della lotta di liberazione anche detto della “Fratellanza e Unità” ancora a Prishtina, il Monumento ai minatori eroici a Kosovska Mitrovica), e i luoghi-testimonianza, quali scrigni di memorie (come Velika Hoča) o città d’arte (come Prizren). Infine, i luoghi della cultura che più specificamente potrebbero traguardare un discorso comune, alludere ad un passato dove episodi di condivisione non sono mancati o segnalare istanze dove contenuti di accoglienza, inclusione e solidarietà non hanno poca importanza, come il complesso archeologico di Ulpiana (Lipljan) e i musei storici meno connotati in senso etno-nazionalistico o micro-comunitario, come il Museo Civico di Mitrovicë.

Se dal punto di vista storico si impone dunque un’opzione, in definitiva, politica, se privilegiare gli elementi di rottura, di separazione comunitaria e di rivendicazione esclusiva, in chiave nazionalitaria o nazionalistica, di determinati contenuti storici e culturali, dal punto di vista materiale non divergente è l’opzione, anche questa propriamente politica, se creare uno spazio separato, esclusivo, economico e sociale, di fuoriuscita dalla povertà e di avvio dello sviluppo, o definire un terreno comune, in cui i diritti non possano essere garantiti ed esercitati e lo sviluppo non possa essere avviato e diffuso se non per tutte le comunità e le nazionalità che vivono nella regione. L’opzione “separata” della fuoriuscita dalla povertà e delle condizioni dello sviluppo, che può soddisfare le “ragioni” etno-nazionali e nazionalistiche di determinati gruppi di potere, peraltro variamente dislocati all’interno della società kosovara, e che può determinare lucrosi ritorni in chiave discorsiva o elettorale, dovrebbe essere posta fuorigioco, semplicemente perché non tiene conto della realtà del Kosovo.

Il tema della povertà e il tema dello sviluppo restano, infatti, i due ambiti decisivi: non solo come contenuti “discorsivi”, intorno ai quali imbastire un messaggio diverso proprio perché difficilmente immaginabile sarebbe l’innesco di opportunità di sviluppo per gli uni a discapito degli altri, ma soprattutto come contenuti “strutturali”, essendo la distribuzione delle risorse e dei potenziali dello sviluppo naturalmente irrispettosa di immaginarie linee di separazione tra le comunità. Le risorse energetiche, il patrimonio idrico, la stessa Trepča, per lungo tempo fabbrica-simbolo di un intero apparato produttivo, stanno lì a dimostrarlo.

È, come si diceva, la configurazione reale della situazione reale a imporre un discorso di sviluppo che possa e debba diventare anche un discorso di reciprocità, e sarebbero sufficienti pochi dati a dimostrarlo.

Il Kosovo è, a tutt’oggi, una delle regioni in assoluto più povere d’Europa: in un territorio abitato da ca. 1.8 milioni di persone, il 18% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà, il 56% della popolazione si trova in una condizione di “povertà multidimensionale” (vale a dire in una situazione di povertà in relazione a un insieme di indicatori, tale da mostrare una condizione di deprivazione almeno pari al 33.3% di indicatori quali mortalità infantile, nutrizione, scolarizzazione, condizioni igieniche e sanitarie, disponibilità di acqua ed energia), il tasso di disoccupazione è al 33%, il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) è al 58%, il tasso di disoccupazione femminile è al 36% (dati WB). Il tasso di emigrazione è ancora particolarmente elevato e il morso della povertà assoluta e relativa ancora assai stringente.

Le componenti fondamentali che spiegano l’interesse del Kosovo agli occhi delle potenze occidentali sono, a tal proposito, essenzialmente due: le sue risorse fondamentali e la sua collocazione strategica. La produzione di energia elettrica in Kosovo dipende pressoché interamente dai due impianti storici a lignite denominati Kosova A (800 MW) e Kosova B (678 MW), con una capacità effettiva attuale, tuttavia, ridotta complessivamente a 915 MW. Di questi, in particolare, l’impianto Kosova B è ritenuto il più alto emettitore di polvere di tutte le centrali a carbone nei Balcani occidentali e questo è uno dei motivi per i quali il Kosovo è anche una delle regioni più inquinate dell’intero continente, sommando, alla contaminazione legata all’impiego di lignite, anche la contaminazione più recente legata alla dispersione di contenuti di uranio impoverito (DU) conseguenza dell’uso di tali ordigni da parte della NATO nel corso della guerra di aggressione alla Jugoslavia (1999).

Rifornite dalle miniere di carbone di Sibovc e Sitnica, cui va aggiunta quella storica, già ricordata, di Trepča, nel distretto di Mitrovica, indicano che il Kosovo possiede vaste risorse di lignite, per un totale di 12.5 miliardi di tonnellate, le seconde più grandi in Europa e le quinte più grandi nel mondo. Sebbene non disponga di risorse idriche comparabili ad altre regioni dei Balcani, tuttavia il Kosovo è ricco anche di acqua, e le autorità dell’autogoverno di Prishtina hanno progettato una produzione di 240 MW con un sistema di piccoli impianti idroelettrici.

È impossibile pensare che risorse e potenziali di questa natura possano essere oggetto di una programmazione “mono-etnica”: se, da una parte, il sistema di mercato e l’accelerazione capitalistica propria di questa, singolare e contraddittoria, «economia di transizione» non hanno fatto altro che fare aumentare in maniera esponenziale polarizzazioni, diseguaglianze sociali, povertà, oltre ad alimentare una vasta area di mercato “grigio” e “nero”, dove prosperano corruzione e illegalità, dall’altra solo una rinnovata sensibilità nel senso della programmazione democratica e della prospettiva di una «moderata prosperità economica» per tutte le comunità e tutti i territori potrà avviare un percorso di emersione dalla povertà e dall’impoverimento nei quali continua a trovarsi oggi la regione.

Un tema, quest’ultimo, non nuovo ma che si pone adesso, dopo la guerra e il lungo dopoguerra, in una rinnovata spirale di tensioni e di violenze, alle prese con una transizione apparentemente inesauribile e le limitazioni di autonomia decisionale legate agli orientamenti dell’UE e alla presenza militare della NATO, che proprio in Kosovo, dopo la guerra, ha imposto la missione militare KFOR e impiantato l’imponente base di “Camp Bondsteel”, presso Uroševac/Ferizaj, estesa per quattro chilometri quadrati e capace di ospitare fino a settemila soldati, la più grande e dispendiosa base militare costruita dagli USA in Europa dalla guerra del Vietnam.

La transizione kosovara è quindi una transizione guidata dagli esiti della guerra e dalle evoluzioni del lungo dopoguerra (dal 1999 a oggi) e non potrà trovare una soluzione positiva, al netto degli esiti del processo negoziale attualmente mediato dalla UE, se non riportando al centro i fattori sociali e culturali, alcuni dei quali poc’anzi richiamati, che rendono tale regione la terra comune, non solo di albanesi e serbi, ma della vasta pluralità delle comunità etniche che la abitano (oltre albanesi, ca. 1.6  milioni, e serbi, ca. 100 mila, bosgnacchi, turchi, rom, ashkalij, egyptians, gorani, janjevci, etc.), quindi fuoriuscendo dalla gabbia imposta dall’imperialismo e dalle storture determinate dal mercato capitalistico, al di là degli aspetti formali della sua “regolamentazione” o “moderazione”, nelle quali si trova bloccato.

Nel suo celebre intervento, in occasione dell’incontro con la dirigenza kosovara il 3 aprile 1975, Tito, nel contesto della allora Jugoslavia socialista, federale e multinazionale, pose l’accento su elementi utili per indicare una possibile, positiva, “direzione di sviluppo”.

Di Bundesarchiv, B 145 Bild-F032669-0029 / Wegmann, Ludwig / CC-BY-SA 3.0, CC BY-SA 3.0 de, Collegamento

«Il Kosovo si trova – disse – in una situazione politica e geografica nevralgica, come mostra la lettura dei giornali stranieri, che ora profetizzano che la Jugoslavia avrà grosse difficoltà con il Kosovo, e che il Kosovo è la questione più importante. Penso che vi siano alcune ragioni, ma dimenticano che abbiamo risolto questioni di tale portata e anche più complesse, siamo stati coerenti nel nostro lavoro, abbiamo respinto ogni tentativo che avrebbe violato la nostra fratellanza e unità. Tuttavia, non basta predicare la fratellanza e l’unità in Kosovo se poi non vi sono risorse materiali, se non si sviluppano le condizioni materiali. Invece di andare avanti, non solo si ristagna, ma si torna indietro. […]

Dobbiamo quindi impedirlo, togliere dalle loro mani quella carta, fare tutto il possibile affinché il Kosovo possa svilupparsi più rapidamente. Ha una grande ricchezza potenziale, di cui ha bisogno l’intera Jugoslavia. […] La Jugoslavia ha molti nemici, all’interno e all’esterno.

«Tutti questi nemici hanno un obiettivo unico: non solo minare il Kosovo, ma insediarsi in Kosovo per avviare un lavoro distruttivo al fine di minare l’intera Jugoslavia. Ecco perché dico che la questione del Kosovo è la questione di tutta la Jugoslavia, non solo della Serbia. […] Nei Balcani, la Jugoslavia e l’Albania hanno un’enorme importanza per la realizzazione della pace».

Una pace, cioè, inconcepibile, attualizzando questa indicazione strategica, senza liberarsi dalle ingerenze straniere e dalle mire e dagli interessi delle grandi potenze, e senza prospettare una costruzione propriamente democratica, capace di traguardare un diverso modello economico e di giustizia sociale, insieme multietnico e inclusivo. Non vi si potrà accedere senza un cambio di paradigma politico e, non secondariamente, senza la maturazione di nuovi gruppi dirigenti non nazionalistici. Come ebbe a ricordare il grande filosofo e scrittore, Dimitrije Tucović (1881-1914), «l’unità e la reciprocità di Paesi e popoli nei Balcani sono l’unica strada che conduce alla liberazione economica, nazionale e politica».

Dea in Trono – Simbolo di Prishtina | Foto di Gianmarco Pisa

Riferimenti

Sugli sviluppi legati al dopoguerra in Kosovo: https://www.pressenza.com/it/tag/kosovo

Sulla più recente escalation di tensione in Kosovo: https://www.pressenza.com/it/2023/05/sindaci-nel-nord-tensione-in-kosovo

Sul patrimonio culturale UNESCO in Kosovo: https://whc.unesco.org/en/list/724

Sulle risorse energetiche in Kosovo: https://bankwatch.org/beyond-fossil-fuels/the-energy-sector-in-kosovo

Sugli indicatori di sviluppo della Banca Mondiale relativi al Kosovo: https://data.worldbank.org/country/XK

Sul programma di sviluppo delle Nazioni Unite in Kosovo: https://erc.undp.org/evaluation/documents/download/16960

Sull’intervento di Tito del 3 aprile 1975 sul Kosovo: https://www.blic.rs/premium/kako-je-tito-pre-45-godina-objasnio-problem-kosova-jos-u-aprilu-1975-znao-je-ko-ce/slhk3z1


 

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