La (o le) crisi di civiltà

Howard Richards

Recentemente il sociologo polacco Krzystof Wielicki ha dimostrato la fondatezza di considerare le democrazie del mondo in una crisi di civiltà. Un po’ meno di recente Susan Strange della Scuola Londinese di Economia ha avanzato l’idea che nel nostro tempo una civiltà degli affari globale plasmi sia le democrazie sia le non-democrazie. Qui sotto ipotizzo (1) che la civiltà degli affari sia in crisi anch’essa e (2) un modo per procedere.

La parola “crisi” trae il suo significato dalla medicina. Quando un paziente è in crisi, vita e morte sono in bilico. Quando la crisi è passata, benché il paziente possa non essere ancora guarito, la prognosi è che guarirà.

Per Wielicki, è la democrazia stessa ad essere in bilico per la propria sopravvivenza. La democrazia è in crisi perché i suoi valori di fondo sono stati traditi. Quando negli USA Abraham Lincoln parlava di governo del popolo e per il popolo, o quando Franklin Roosevelt parlava di quattro libertà, esprimevano entrambi un ethos democratico dove si presupponeva che potere e prosperità venissero condivisi. Per Wielicki il caso emblematico di ciò che chiama “capitalismo maturo” era la Svezia nella prima parte della seconda metà del ventesimo secolo.

Oggi, in Polonia, negli USA, in Svezia e nella maggior parte del mono nominalmente democratico, il capitalismo maturo – altri lo chiamano socialdemocrazia – è alle corde. Wielicki scrive di polacchi disoccupati per la seconda o addirittura la terza generazione mentre altri ammassano ricchezze non giustificate da alcun contributo importante alla società. Il contratto sociale è stato rotto. I vincoli che rendevano sostenibile la democrazia sono tesi e sotto sforzo. Come nel caso di un paziente tormntato nel letto che potrebbe essere quello di morte, se la democrazia vivrà o morrà è in dubbio.

La parola “civiltà” da quando fu coniata nel 18° secolo, è stata sovente un sinonimo di “cultura”, come nella definizione classica di E.B.Tylor di “cultura o civiltà”. “Civiltà” tende ad essere la parola scelta quando le istituzioni siano più complesse e su scala maggiore. Arnold Toynbee non fu il solo a resistere alla tendenza di scrivere la storia come storie degli stati-nazione, e nel trovare più sensato focalizzarsi sulle civiltà costruite attorno ai valori e alle prassi comuni di popolazioni che abitavano parecchi stati-nazione. Samuel Huntington, in Lo scontro delle civiltà, non fu il solo a trattare la “moderna civiltà occidentale” come comune a molte nazioni e come in cozzo con la civiltà islamica anch’esso comune a molte nazioni.

Gran parte delle civiltà sono state religiose. Gli studi di Max Weber su quattro di esse – islam, giudaismo, hinduismo e confucianesimo – rivelano, forse un po’ inavvedutamente, l’opinione del proprio autore che la moderna civiltà occidentale sia una civiltà superiore, “più civilizzata”. Io concordo con Susan Strange che component chiave della civiltà occidentale moderna si siano tramutati in una civiltà degli affari globale. Molti sui partecipanti detengono uno “status di civiltà duale”. In quanto uomini d’affari sono più individualisti. Al tempo stesso, in quanto arabi o cinesi, lo sono meno.

Possiamo giustificare dicendo che c’è ora una civiltà globale degli affari, nonostante la doppia appartenenza civile, attribuendo all’odierna élite globale degli affari un senso comune  condiviso, una visione del mondo condivisa e altre caratteristiche che costituiscono una civiltà. Possiamo aggiungerci molti dei loro collaboratori nel settore pubblico. Possiamo considerare come parti integrali della civiltà globale degli affari organizzazioni come l’OECD, l’Organizzazione Mondiale del Commercio e il Forum Economico Mondiale.

Cionondimeno, bisogna che consideriamo l’entità più ampia e più vecchia di qualche secolo che si chiama civiltà occidentale moderna. Una delle sue caratteristiche importanti è che le sue norme basilari sono rigide. Così rigide che il filosofo emblematico della modernità occidentale, Immanuel Kant, dichiarò la propria giurisprudenza ed etica neo-romane, come pure la meccanica newtoniana verità a priori valide ovunque e sempre. Sicché una certa versione del diritto rende l’individualismo formale ed ufficiale. Esso organizza ed autorizza l’accumulazione di capitale che separa i ricchi dalla gente comune ed entrambe le categorie dagli indigenti.

La civiltà occidentale moderna era ed è il fertile suolo generale dove hanno trovato ispirazione e sostegno altri individualismi più specifici e sovente più sfumati, come i punti di vista tipici della Mont Pelerin Society, e di Davos, LSE [Scuola Londinese d’Economia] e Scuola di Business di Harvard. Una generale modernità occidentale rafforza le specificità della civiltà degli affari.

Dunque, quel che oggi è più consolidato, e quel che è più in crisi richiedente revisioni, ha vari strati e versioni. E’ in mega-crisi perché aldilà della sua sopravvivenza come civiltà, è in gioco la sopravvivenza della specie umana e della biosfera. Pur vigile, la specie umana non s’è finora mostrata in grado di reagire efficacemente ad almeno tre crisi esistenziali:

  1. la crisi ecologica;
  2. la crisi dell’assenza di un numero sufficiente di occupazioni valide, che forniscano una paga decente, un lavoro sensato, e dignità – un’assenza con molte conseguenze intollerabili ben note.
  3. il militarismo, inteso come forza capace di distruggere qualunque e tutte le civiltà. Le armi nucleari strategiche sono finora la sua espressione più estrema.

Il modo di avanzare che suggerisco si chiama organizzazione sconfinata (UO). (www.unboundedacademy.org).

Lo scrivo pur ammettendo che l’etichetta UO non sia l’unica etichetta possibile per le realtà che identifica. I lettori possono trovare che UO descriva quel che stanno già facendo sotto diverso nome.

Il pensiero sconfinato apre piste ed è innovativo. Al tempo stesso è riconciliatorio e fautore di pace. Si adatta alle nuove realtà. Consiste in sfide di mutamento dei giochi. Riguarda le opportunità del mutamento dei giochi.

Una sfida di mutamento dei giochi è l’impossibilità, la letterale impossibilità, di continuare per la strada della crescita economica. Continuare a basarsi sulla crescita economica per fornire nuova occupazione e nuove risorse finanziarie è diventata una marcia verso il suicidio collettivo. Eppure, è come se questi fatti fossero troppo grossi per entrare nel cervello umano. Ogni giorno, sulla carta stampata e nei vari media si trasmettono notizie sulla crescita come se non fosse cambiato nulla, come se esistesse ancora il vecchio mondo, come se più crescita fosse una bella notizia e meno crescita fosse una brutta notizia. I maggiori think tank economici globali – come la Banca Mondiale e l’OECD – hanno avallato tutti la crescita verde. Ma dopo di che paiono essersi intorpiditi, come se non sapessero elaborare il fatto che la crescita verde, per quanto possa esistere, finora non ha avuto alcun impatto misurabile sui provvedimenti sul danno ambientale.

Un’opportunità nel mutamento dei giochi: il mondo attualmente è sommerso in enormi quantità di capitale accumulato; la gran parte di cui non riesce a trovare alcun uso remunerativo nell’economia mondiale. Viviamo in quel che la medesima Susan Strange che ha nominato la civiltà degli affari la ha dato il nome della civiltà del casinò, Giorno dopo giorno, delle masse complessive di denaro che attraversano i confini passando da un paese all’altro, più del 97% viene dedicato alla speculazione. Meno del 3% ha un ruolo nell’economia reale che assume le persone e produce le merci. Molta speculazione è nociva, peggio che inutile. L’acquisto massiccio di immobili, scommettendo che aumenti il loro valore si mercato, ha fatto salire sempre più i prezzi delle abitazioni e gli affetti degli appartamenti, costringendo alcuni a trovarsi senza tetto e altri affogati nei debiti.

Sempre fin dai tempi di Adam Smith, gli economisti predicono che arriveranno i giorni di un’eccedenza attiva del capitale accumulato. Adesso sono arrivati. Le immense eccedenze di capitale esistenti sarebbero in grado di essere utilizzate per pagare i disoccupati e i sottoccupati per lavorare nel salvataggio degli ecosistemi pericolanti. Questa è un’opportunità di mutamento dei giochi da non perdersi.

Un po’ di storia ci aiuterà a vedere come l’UO contraddice in linea di principio, e corregge in linea di principio, lo status quo odierno costruito prima che tutti noi fossimo nati. Thomas Piketty spiega in dettaglio in Capital and Ideology che attuare liberté, égalité, fraternité era lungi dale menti degli uomini che riorganizzarono la Francia dopo la rivoluzione del 1789. L’americano Thomas Paine, nei suoi libelli Common Sense e The Crisis, espresse succintamente le mire della guerra rivoluzionaria Americana e la costruzione della nazione che ne seguì quando scrisse “Il nostro piano è il commercio”. Gli USA e altre repubbliche moderne non furono disegnate per essere welfare states. Come scrisse Joseph Schumpeter quando si dimise da ministro delle finanze dell’ Austria nel 1918, un governo con poteri attentamente limitati, basato sulle tasse per il proprio erario, non può essere uno stato assistenziale sostenibile.

L’UO perdona il passato e costruisce un futuro sostenibile, proponendo collaborazione trasversalmente in tutti i settori per il bene generale, praticando un’etica della cura. Fa appello alla mobilitazione delle risorse per soddisfare i bisogni in armonia con la natura. Se si può chiamare “errore” preferire i propri interessi economici e quelli della propria classe sociale al bene di tutti e ai requisiti a lungo termine della realtà fisica, l’UO corregge gli “errori” storici elevandosi a on livello etico superiore dove le anime vengono messe in grado di perdonare l’imperdonabile.

L’UO si può descrivere come un approccio diretto all’approvvigionamento e alla sostenibilità. quel che lo rende diretto è che procede direttamente dall’identificazione di bisogni alla mobilitazione delle risorse per soddisfarli. Minimizza gli omaggi commerciali per la semplice ragione che i bisogni umani comprendono il bisogno di dignità, auto-rispetto, libertà, e realizzazione di sé stessi. Ma aggira le strettoie imposte dal senso comune della civiltà degli affari. La regola che i bisogni siano soddisfatti solo se qualcuno trova modo di volgere i bisogni in opportunità di profitto non è mai stata strettamente attuata. Adesso che i robot sono lavoratori migliori degli umani e l’intelligenza artificiale è più pronta di quella umana, è proprio ora di abrogarla. Le persone non sono risorse umane. Lo scopo di un’economia è permettere alla gente di vivere meglio. Che altro potrebbe mai essere?

Un approccio diretto inizia con un elemento sovente sottolineato da Gracia Navarro, una psicologa all’Università di Concepcion specializzata nello studio dello sviluppo morale e della responsabilità sociale. Il suo punto principale è “La solidarietà è una scelta”. Ciascuno di noi può scegliere di vivere guidato da un’etica accudente di solidarietà. Dopo aver fatto questa scelta, se sì, troviamo naturale assumere un approccio diretto: fare quel che si può per risolvere il problema – piantare alberi, includere gli esclusi, essere pace, pensare, pensare e ripensare.

Hyman Minsky ha messo in luce aspetti negativi dell’odierna realtà economica, scrivendo: “Ciò che non può essere finanziato non può accadere”. Ma ovviamente ogni giorno accadono eccome cose che non sono finanziate. Per esempio, le madri che allattano danno latte ai poppanti. L’argomentazione di Minsky è che entro i confine della razionalità economica qualunque cosa non finanziata non può aver luogo. E ne consegue che la razionalità economica è spesso disfunzionale.  It does not follow, however, that economic rationality is always dysfunctional or that entrepreneurs and managers big and small should change careers and take up dentistry or bartending. Riguardo a come separare il grano dalla pula, sono temi per cui raccomanderei i voluminosi scritti di Peter Drucker (1909-2005).

la storia dell’UO risale alla metodologia di Paulo Freire per l’addestramento a una consapevolezza e al saper leggere e scrivere. Il suo amico, college, e talora compagno di cella in prigione, Clodomir Santos de Morais, credeva che i contadini del nordest del Brasile avessero bisogno di qualcosa in più che saper leggere e scrivere e una coscienza, cioè imparare a organizzarsi. E sviluppò un metodo facilitante: facendo organizzazione. Offrì una paga a un grosso gruppo (forse 300 persone) per completare un compito, dandogli tutti gli strumenti necessari e assistenza tecnica. Però dovevano organizzarsi loro, in piena libertà di farlo in qualunque modo ritenessero che funzionasse. Di solito ci volevano varie iterazioni prima che riuscissero ad organizzarsi in modo da compiere con successo il compito che gli incombeva.  Adesso le metodologie di DeMorais si usano in tre continenti. Gavin Andersson, nativo del Botswana, imparò per prima cosa come in patria e in Zimbabwe. I suoi istitutori erano due discepoli cileni di DeMorais, Isabel e Ivan Labra. In seguito, nella sua dissertazione di laurea nel 2004 per l’Università Aperta del Regno Unito, elaborò l’approccio etico alla gestione dell’organizzazione denominata UO-Organizzazione Sconfinata.


EDITORIAL, 22 May 2023

#797 | Howard Richards – TRANSCEND Media Service

Traduzione di Miki Lanza per il Centro Studi Sereno Regis


 

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