I media di stato dell’Occidente

Jan Oberg

I media di stato dell’Occidente e la loro violenza in aumento: l’affare Hersh

Gran parte degli stati occidentali hanno media ‘propri affiliati’, cioè finanziati da fonti fiscali e sovente denominati ”servizio pubblico”. Il governo USA ha la US Agency for Global Media con considerevole capacità di propaganda. Tali media sono di solito esclusi quando l’Occidente stesso asserisce di avere media liberi in contrasto a quelli statali non liberi come in Cina e Russia.

La loro libertà è sempre stata una verità qualified, particolarmente quando posseduti da grosse società anonime che s’inghiottivano l’una l’altra per formare una manciata di conglomerati globali, che ora disseminano ripetitivi reportage di politica estera omogenei a una singola verità.

Nel mio libro online in progressivo ampliamento ”Worldmoires” [circa “dissertazione memoriale del/ sul mondo” – ndt] deliberatamente non biografico, ho di recente pubblicato un esposto – certo soggettivo ma analitico – delle me osservazioni critiche dei media mainstream e della mia interazione con essi nel corso di circa 50 anni giusti.(Una diversa versione sarà pubblicata fra poco in un libro  dall’importante agenzia stampa alternativa Pressenza). Mi spiace concludere che, grosso modo, si tratta di degrado su tutto l’arco mediatico. Gli elementi base del giornalismo classico – conoscenza, varietà di prospettive, solida verifica dei fatti, equità, critica del potere, etc. sono ormai spariti. È del tutto appropriato, secondo me, citare George Orwell [1984] ”la guerra è pace, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza”.  I media contribuiscono a tutt’e tre; e vorrei aggiungerne un quarto a quelli di Orwell: ”L’illuminismo è oscurantismo”.

Seguo, eccome, le notizie mainstream occidental quotidianamente, ma non per ottenerne dati fattuali, vari, e nozioni approfondite sul mondo – intanto, badando solo al proprio ombelico, coprono non più del 15% dell’umanità – ma per sapere che cosa cuoce nella pentola delle élite decisionali NATO/UE, come legittimano le proprie politiche e quanto vogliono che crediamo sia la verità. In quanto al [restante] 85%, atteggiamenti generalmente negativi ne precludono la curiosità e un’onesta rendicontazione.

Negli anni 1970 e successivamente venivo utilizzato più volte alla settimana da molti media mainstream; non più. Da quando ho disseminato un’analisi alternative sulla Jugoslavia e le guerre di dissoluzione lì con Johan Galtung e Haakan Wiberg negli anni ’90, poi col mio libro sulla guerra in Iraq come prevedibile fiasco (2004), e la mia visita in Siria quando Aleppo fu liberata dall’occupazione terrorista (dicembre 2016), la mia cancellazione è divenuta completa. Non importa più se nei posti ci sei stato o capiti saperne qualcosa; è la tua correttezza politica che conta. l’odierno esperto di politica estera si può definire come qualcuno che dice le cose giuste, magari sostenuto da una conoscenza.

Suppongo che tutti i lettori sappiano di che cosa sto parlando e abbiano avuto esperienze simili. Nel mio caso, è stato un processo interessante: adesso, vengo invece utilizzato ripetutamente da media alternativi occidentali e soprattutto da media preminenti cinesi e più di rado russi e altri, ’nemici’. È sia divertente sia produttivo per un ricercatore sulla pace raggiungere alcune centinaia di milioni di persone mediante i notiziari interni della Cina e su CGTN.

La mia politica coi media è semplice. Lavoro con:

  1. qualunque media in qualunque paese che sia;
  2. interessato a vere prospettive di conflitti e alla pace;
  3. mi tratti con rispetto;
  4. mantenga la parola riguardo a come debbano essere condotti gli eventi e
  5. non provi a ‘contestualizzare adeguatamente’ e/o giocare altri tiri loschi.

Ho appena pubblicato una corrispondenza con un capo-redattore nell’occasione della decisione della DBC-Azienda Televisiva Danese di ritirare anche una singola citazione del rapporto di Seymour Hersh sul [sabotaggio del] Nord Stream dando invece subito dopo massima enfasi al rapporto di fonti di ”intelligence” USA che avanzavano l’ipotesi bizzarra che sarebbe stato fatto esplodere da un qualche gruppo ”pro-Ukraina” non identificato a bordo di uno yacht noleggiato.

Una storia – su uno fra i più importanti avvenimenti [internazionali] dell’Europa post-1945  – che saltò fuori sul New York Times e qualche media tedesco il giorno dopo che il cancelliere Scholz era tornato da una visita di poche ore alla Casa Bianca, e solo quella, non coperta dai media. Non era venuto in mente al redattore che sia Joe Biden sia [la vice-ministra degli esteri USA] Victoria Nuland hanno asserito che il Nord Stream sarebbe stato fatto saltare e che ”sappiamo come farlo”.

Quindi Hersh viene cancellato e, beh sì, c’era qualcosa di strambo nel suo rapporto, ma la fonte era persona dei circoli decisionali interni alla Casa Bianca – con reputazione leggendaria ben più credibile che una ”fonte dell’intelligence” USA, alias la CIA (e dintorni) – e che la loro (DBC) fonte. Si era nel 1977 allorché Carl Bernstein rivelò in Rolling Stone come la CIA influenzava ingannevolmente i media – dall’Operation Mockingbird in avanti – e c’è il magnifico classico Who Paid the Piper? The CIA and the Cultural Cold War [Chi ha pagato il conto (stabilendo il pezzo da suonare)? La CIA e la Guerra Fredda culturale], di Frances Stonor Saunders, del 1999.

Normalmente le fonti in tali faccende parlano a condizione dell’anonimato. Si può quindi assaporare come il capo-redattore della DBC aggiri il tema insistendo ad absurdum che non si tratta certo di una faccenda di scelta politica.

Qualcuno potrebbe forse dire che in questo non c’è nulla di nuovo. Che è vero nello stesso senso che nella parabola discendente non accade nulla di nuovo. ma a un certo punto la quantità diventa qualità e il degrado è manifesto. A quel certo punto la generalità dei cittadini – che credono ancora per lo più a quanto gli viene ammannito dai notiziari serali e documentari mainstream riguardo alle questioni internazionali – avranno quel risveglio che io chiamo momento della Pravda [Verità]: ci hanno preso in giro, una volta dopo l’altra; il sistema è marcio.

Si può prendere per fesso solo quel certo numero di persone quel tanto e per quel certo tempo. E poi segue il circolo vizioso, bisogna cancellare più oggi di ieri. Ci si chiede perché Julian Assange sia trattato in quel modo disgustoso, non solo dalle autorità in Svezia e Inghilterra, a anche dai media occidentali, altrimenti così accesi sui diritti umani e la tortura (v. The Trial of Julian Assange: A story of persecution [Il processo a J.Assange; una storia di persecuzione], di Nils Melzer, 2022).

Ci si chiede perché Tucker Carlson – qualunque cosa si pensi di lui – sia stato buttato fuori un bel mattino senza preavviso né spiegazione, nella divina Terra dei Liberi. Chi dev’essere il ”protettore” di noi tutti dal ” teorico della cospirazione”? Giusto: altri cospiratori politicamente corretti!

E ci si chiede – o dovrei dire: mi chiedo? – che ne sarà degli USA, una democrazia che non sa esprimere candidate migliori di quei due al momento mentre un terzo – Robert F. Kennedy jr.– è già cancellato/censurato/demonizzato che sfacciatamente ne attaccano la personalità ignorandone la sostanza.  E’ perché ha messo a nudo il super-potente Complesso Medico-Industriale nel suo libro stra-venduto ma stra-ignorato/sminuito dalla critica? Oppure perché è l’unico candidato che sappia pronunciare la parola ’pace’ – avendo davvero un eccellente nuovo programma per gli USA nel mondo che induce alla speranza? Continuo a chiedermelo.

E qui è dove entra in ballo la parola ’violenza’ del mio titolo: liberalismo, democrazia, libertà – riguarda tutto l’accettazione e il rispetto per la cacofonia dei valori, delle prospettive e delle opinioni  che è la vita e ‘vinca il migliore fra loro’ attraverso un dibattito aperto e dialoghi. Stroncarli é violenza, e i media che vi contribuiscono fanno violenza alla diversità della vita stessa. Ecco perché abbiamo disperatamente bisogno di giornalismo di pace (benché non sia contento del termine).

A mio parere, il solo rimedio a falsificazione, omissione e cospirazione (come Oscar Wilde io non credo a quest’ultima, salvo quando è vera…), è l’educazione accompagnata dal dialogo aperto e rispettorso. Non sono gli algoritmi, l’intelligenza artificiale, la censura, la cancellazione, la correttezza politica, e tutta quella roba lì. Porcheria.

Tuttavia, negli ultimi 40-50 anni si è minato il valore di un’educazione ampia e varia – e del lavoro sodo attraverso i suoi sistemi. Tutto è stato adeguato al mercato, e noi siamo stati i primi; non dovevamo imparare, solo insegnare; e tutto andava così bene senza gran sforzo intellettuale e morale (sostenuto dalla possanza militare eccezionalista a corto circuito).

Forse provocatoriamente, non esito a dire che i media mainstream occidentali sono adesso i maggiori ostacoli singoli alla comprensione del mondo e della situazione dell’umanità.

Abbiamo decisamente troppa informazione, in confronto sempre meno conoscenza e sventuratamente poca saggezza rimasta in àmbito pubblico. la china scivolosa dei media violenti finisce nella morte della democrazia, della conversazione su ciò che importa. Diceva il saggio, ucciso anche perché combatteva la guerra e chiamava gli USA troppo arroganti: ”Le nostre vite cominciano a finire il giorno in cui taciamo sulle cose che importano”.

Credo che di questi tempi la dissidenza – continuare a esprimersi fuori dal coro sulla pace e su altre cose che importano – sia la sola opzione disponibile ad intellettuali rispettabili.

Non abbiamo una chance, naturalmente. E allora cogliamola!


EDITORIAL, 1 May 2023

#794 | Jan Oberg, Ph.D. – TRANSCEND Media Service

Traduzione di Miki Lanza per il Centro Studi Sereno Regis


 

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