Gli aiuti militari sono davvero il modo migliore per aiutare l’Ucraina?

Alexandre Christoyannopoulos, Molly Wallace, Ned Dobos

L’Ucraina ha ricevuto decine di miliardi di dollari di aiuti militari dall’inizio dell’invasione russa, un anno fa. Il consenso internazionale sembra essere che sostenere l’Ucraina significhi finanziare il suo sforzo bellico. Ma negli ultimi tempi sono emerse alcune voci dissenzienti, più ambivalenti sulla prudenza e sull’etica dell’attuale politica. Il colonnello Douglas MacGregor, ex consigliere del Segretario alla Difesa degli Stati Uniti, ha avvertito che la scelta della cura potrebbe rivelarsi peggiore della malattia.

 

Almeno 7.000 civili ucraini sono già morti in guerra. Altre migliaia sono rimaste ferite e milioni di persone sono state sfollate. La preoccupazione principale di MacGregor è che l’emorragia continui finché ci saranno i combattimenti. Le forze russe avanzano, quelle ucraine resistono con la violenza, la Russia risponde con la contro-violenza e i corpi continuano ad accumularsi. Lo Stato ucraino mantiene la sua sovranità, ma alla fine si arriva a un punto in cui, per citare MacGregor, “non ci sono più ucraini!”. Si tratta di un’iperbole, naturalmente, ma questo non deve distrarre dal punto fermo di MacGregor. Gli Stati esistono per il bene dei loro cittadini, non viceversa. Pertanto, se un determinato metodo di difesa dello Stato causa l’uccisione o la fuga in massa dei suoi cittadini, questo è un motivo valido per esplorare alternative.

Ciò che spesso si trascura della resistenza armata è che, quando “funziona”, lo fa producendo un effetto mentale piuttosto che fisico. Le guerre si vincono spezzando la volontà di combattere del nemico, non necessariamente la sua capacità di combattere. La vittoria di solito arriva, se arriva, molto prima che non ci siano più soldati nemici; arriva quando i soldati rimasti e/o i loro leader non sono più motivati a combattere o, in casi più estremi, quando i soldati sono così demoralizzati che i leader non possono più esercitare una pressione coercitiva sufficiente a farli continuare a combattere. Tutto dipende da come i membri rimanenti del gruppo avversario reagiscono alla distruzione delle vite dei loro compatrioti e delle loro infrastrutture militari o civili, non dalla distruzione stessa.

Una volta compreso che la condizione della resa non è fisica ma psicologica, è naturale chiedersi: Non c’è modo di cambiare le menti se non attraverso la violenza sui corpi?

La resistenza nonviolenta è una strategia alternativa per spezzare la volontà dell’aggressore. Le proteste e la fraternizzazione possono coinvolgere i sentimenti morali dei funzionari e dei cittadini dell’aggressore, portando a una perdita di sostegno popolare. Boicottaggi e blocchi possono alterare l’equazione costi-benefici materiali dell’aggressione, in modo che non ne valga più la pena. E il sabotaggio non violento può diminuire direttamente le capacità dell’aggressore, disabilitando fisicamente le infrastrutture militari, di trasporto o di comunicazione.

Gli ucraini sono stati impegnati in varie forme di resistenza nonviolenta dall’inizio dell’invasione russa. All’inizio ha assunto forme più visibili – civili ordinari che manifestavano con i colori ucraini o si frapponevano tra i carri armati russi e le loro città – e da allora si è spostata verso metodi meno visibili e più dispersi in risposta all’occupazione e alla repressione russa: graffiti, non collaborazione con le autorità russe, comunicazione alternativa e istituzioni di governo. Ci sono stati anche tentativi di contatto con l’opinione pubblica e i soldati russi, che hanno suscitato risposte da parte di importanti scienziati, ecclesiastici e giornalisti.

A differenza della resistenza militarizzata, tuttavia, la resistenza nonviolenta non ha ricevuto alcun sostegno materiale significativo dalla comunità internazionale. Si consideri, ad esempio, la precoce offerta di denaro e di amnistia da parte del governo ucraino ai disertori russi, che è circolata tramite messaggi SMS contenenti istruzioni su come e dove arrendersi e riscuotere il pagamento. Secondo il Times (Regno Unito), c’è stata una certa adesione iniziale: un soldato russo è stato fotografato mentre si consegnava con il suo carro armato alle forze ucraine a marzo, in cambio di denaro e di un’offerta di reinsediamento permanente in Ucraina. Ma consideriamo ciò che sarebbe potuto accadere.

Supponiamo che la comunità internazionale raddoppi l’offerta del governo ucraino di 50 mila dollari per ogni soldato disertore, come suggerito dall’economista Bryan Caplan. La diserzione è una proposta rischiosa, ma per un compenso doppio forse molti più soldati russi avrebbero considerato il rischio degno di essere corso. Inoltre, altri Paesi oltre all’Ucraina avrebbero potuto offrire ai disertori russi l’amnistia e persino la cittadinanza all’interno dei loro confini. In questo modo i disertori non avrebbero dovuto preoccuparsi del fatto che la Russia alla fine avrebbe vinto la guerra, occupato l’Ucraina, spodestato il suo governo e si sarebbe vendicata contro di loro. Il recente coinvolgimento di mercenari del Gruppo Wagner da parte russa non fa che sottolineare l’utilità degli incentivi economici per modificare la motivazione dei soldati.

Naturalmente, non possiamo dire con certezza che un approccio non violento funzionerà. Ma non possiamo nemmeno dire con certezza che la violenza funzionerà. Finora non ha funzionato.

Se esistono modi non violenti per spezzare la volontà di combattere della Russia, perché questa riluttanza a sfruttarli?

Una possibile ragione è la convinzione diffusa che la nonviolenza, sebbene possa essere efficace, non sia altrettanto efficace della forza militare. Ma questa convinzione è più un assunto a priori che una conclusione razionale basata su una valutazione imparziale delle prove. La ricerca scientifica suggerisce che, nel periodo 1900-2006, la resistenza nonviolenta ha superato la resistenza violenta con un rapporto di quasi 2:1.

Forse il nostro desiderio di vedere i criminali non solo ostacolati, ma anche puniti, spiega la preferenza per la violenza. Forse il nostro senso di giustizia si ribella al pensiero di pagare i combattenti russi per disertare, invece di farli soffrire per ciò che hanno fatto – anche se questa posizione ignora la coercizione e la manipolazione che il governo di Putin ha usato contro le sue stesse forze armate.

In ogni caso, ciò che conta di più in tutto questo è il benessere del popolo ucraino. La realtà è che il finanziamento massiccio dello sforzo bellico ha prodotto uno stato di logoramento senza fine. Perseverare con l’attuale politica a prescindere, aspettandosi che le cose cambino mentre le vittime aumentano, è una combinazione di illusione e depravazione. Dovremmo ora puntare i riflettori su quegli ucraini che, nonostante i forti appelli all’uso di armi militari, sono stati costantemente impegnati in varie forme di resistenza e difesa nonviolenta fin dall’invasione. Le loro azioni meritano un sostegno maggiore, sia morale che materiale, di quello che la comunità internazionale ha finora fornito.


Fonte: Political Violence At A Glance, 3 maggio 2023

Traduzione di Enzo Gargano per il Centro Studi Sereno Regis


 

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