Piccolo è bello… ancora

Cinzia Picchioni

Cos’è? Un articolo di sessuologia per maschi con ansia da prestazione? No, tranquilli, tranquille. È «solo» il 50° anniversario dell’uscita del libro Small is beautiful (in italiano Piccolo è bello) di Ernst Friedrich Schumacher, per gli amici Fritz (Bonn, 16 agosto 1911-Svizzera*, 4 settembre 1977). Per chi non lo sapesse, è stato un influente filosofo ed economista, e secondo The Times Literary Supplement il suo Small Is Beautiful si colloca fra i 100 libri più influenti pubblicati dopo la Seconda guerra mondiale.

Schumacher, giunto in Inghilterra prima della Seconda guerra mondiale perché non aveva nessuna intenzione di rimanere in Germania a vivere sotto il nazismo, durante la guerra fu internato in una «fattoria isolata» come un «nemico alieno». In quegli anni, conquistò l’attenzione di John Maynard Keynes, con un articolo intitolato Multilateral Clearing, scritto tra un turno di lavoro e l’altro nel campo di internamento. Keynes riconobbe l’intelligenza e le capacità del giovane tedesco, tanto che lo fece liberare. Durante la Seconda guerra mondiale Schumacher contribuì all’organizzazione della ripresa finanziaria ed economica del governo britannico, e Keynes lo raccomandò per una posizione all’Università di Oxford.

Le sue idee si diffusero principalmente nel mondo anglosassone durante gli anni Settanta. È conosciuto soprattutto per la sua critica alle economie occidentali e per le sue proposte di adottare tecnologie umane, decentralizzate e appropriate.

«Non ho dubbi sulla possibilità di dare un nuovo corso allo sviluppo tecnologico, una svolta che ci riporterà alle esigenze reali dell’uomo, il che significa anche alla dimensione reale dell’uomo. L’uomo è piccolo, e perciò il piccolo è bello. Procedere verso il gigantismo significa procedere verso l’autodistruzione. E quanto costa riorientarsi? Potremmo ricordarci che è ingiusto calcolare il costo della provvidenza. Senza dubbio, bisogna pagare un prezzo per ogni cosa che lo valga: reindirizzare la tenologia affinché serva l’uomo invece di distruggerlo esige soprattutto uno sforzo d’immaginazione e l’abbandono della paura» p. 129.

Paura?

Come-come? Un’emozione parlando di economia? Sì. E non è l’unica che incontriamo in questo imperdibile libro. Incontriamo emozioni nostre – leggendo/rileggendolo – e anche emozioni dell’autore, come quando tratta di tematiche religiose (ma come? Non era un libro di economia?).

Schumacher rifiutò il materialismo e il capitalismo e fu contemporaneamente attratto dalla religione, soprattutto il buddhismo; si interessò anche al misticismo cristiano (Teresa d’Avila, Thomas Merton). Mise in rilievo le similitudini fra la sua visione economica e gli insegnamenti contenuti nelle encicliche papali che trattavano aspetti economici, dalla Rerum Novarum (Leone XIII) alla Mater et Magistra (Giovanni XXIII); nel 1971 si convertì al Cattolicesimo. Chissà cosa avrebbe detto oggi, leggendo l’enciclica Laudato si’?

Economia buddhista

«Nella semplice questione del come trattiamo la terra, che è dopo l’umanità stessa la nostra più preziosa risorsa, è coinvolto il nostro intero modo di vivere, e prima che muti davvero la nostra politica rispetto alla terra dovrà esserci una trasformazione filosofica, per non dire religiosa. Il problema non è che cosa possiamo permetterci, ma in quale direzione scegliamo di spendere il nostro denaro» p. 91. […]

Si potrebbe sostenere che lavare è antieconomico: costa tempo e denaro e non produce altro che pulizia. Ci sono molte attività che sono del tutto antieconomiche ma che si fanno per il piacere di farle. Gli economisti se la cavano facilmente: dividono tutte le attività umane fra produzione e consumo. Tutto ciò che facciamo a titolo di produzione è soggetto al calcolo economico e tutto ciò che facciamo a titolo di consumo non lo è. Ma la vita reale si presta poco a queste classificazioni, perché uomo-produttore e uomo-consumatore sono lo stesso uomo che sempre produce e consuma nello stesso tempo. […]

La scelta di scrivere Budda (senza l’acca) e non violento (con lo spazio) è dell’editore. Ricopio fedelmente dalla traduzione dell’originale (1973) Piccolo è bello, Oscar Saggi Mondadori 1978:

«L’insegnamento del Budda […] unisce un atteggiamento riverente e non violento non solo verso tutti gli esseri sensibili ma anche, e con grande calore, verso gli alberi. Ogni seguace del Budda deve piantare un albero ogni tanti anni e seguirlo finché non sia stabile e sicuro, e l’economista buddista può dimostrare senza difficoltà che se questa regola fosse universalmente osservata il risultato sarebbe un tasso assai elevato di sviluppo economico genuino e indipendente da qualsiasi aiuto straniero. Buona parte del decadimento economico dell’Asia sud-orientale (come di molte altre parti del mondo) è dovuto indubbiamente all’abbandono disattento e vergognoso degli alberi» p. 45.

Alberi, ma anche animali, abitano la Terra

Non mancano parole nei confronti degli altri co-inquilini con cui condividiamo il pianeta di cui non siamo noi i padroni:

«Se potessimo dare di nuovo il giusto riconoscimento ai valori metaeconomici, i nostri paesaggi tornerebbero a essere sani e belli di nuovo e la nostra gente riconquisterebbe la dignità dell’uomo che sa di essere superiore all’animale, ma non dimentica mai che noblesse oblige», p. 91.

Invece della noblesse l’uomo applica solo il proprio desiderio, e per soddisfarlo, senza farsi troppe domande, ha trasformato gli animali in macchine da produzione di carne, confondendo tutto: un conto è l’animale di affezione un altro è il maiale che mangio tranquillamente senza alcuno scrupolo di coscienza. Amo gli animali?

«Non c’è scampo a questa confusione fintanto che la terra e le creature che vi stanno sopra saranno considerate come null’altro che fattori di produzione. In effetti, essi sono fattori di produzione, cioè mezzi per un fine, ma questa è la loro seconda natura, non la prima. Prima di tutto, essi sono fini a se stessi; essi sono metaeconomici ed è perciò razionalmente giustificabile dire […] che […] sono in un certo senso sacri. Non li ha costruiti l’uomo ed è irrazionale che egli tratti cose che non ha fatto lui e che non può fare, né ricreare dopo averle consumate, nello stesso modo e con lo stesso spirito con cui ha diritto di trattare le cose di sua produzione. […] se possiedo un animale, sia esso anche solo un bue o una gallina, una creatura vivente e sensibile, ho il diritto di trattarlo come se non fosse altro che un servizio? Ho il diritto di condurlo alla rovina? Non serve cercare di rispondere in modo scientifico a domande simili. Esse sono domande metafisiche, non scientifiche» p. 85.

Padrone o figlio?

«Cos’è “razionale”, e cos’è “inviolabile”? L’uomo è il padrone o il figlio della natura? […] Queste domande suggeriscono che il giusto uso della terra propone non tanto un tema tecnico o economico, quanto principalmente metafisico. […] Ci sono sempre cose che facciamo per il loro proprio interesse e altre che, invece, facciamo ad altro fine. Uno dei compiti più importanti per ogni società è di distinguere fra fini e mezzi per raggiungere quei fini, e di avere un punto di vista e un accordo in qualche modo comune su questo punto. La terra è semplicemente un mezzo di produzione o è qualcosa di più, qualcosa che è un fine di se stesso? E quando dico terra, comprendo anche le creature che ci stanno sopra. […]» p. 84.

Invece di andare sulla Luna…

Scusatemi, ma proprio non posso fare a meno di usare un tono polemico riguardo alle spese (astronomiche, è proprio il caso di dirlo, riflettendo sul perché si usa quell’aggettivo per indicare spese altissime) spaziali, sugli onori tributati alla cosiddetta Astrosamantha (Cristoforetti) invece che a Vandana Shiva (lei sì una «stella», altroché!). Non ci posso pensare che andiamo su Marte in cerca di acqua invece di occuparci del problema qui sulla Terra!!! Sentite quello che scriveva Schumacher:

«Il perseguimento della velocità supersonica nei trasporti e gli immensi sforzi fatti per portare gli uomini sulla luna […] non furono proposti come il risultato di una indagine approfondita sui bisogni e sulle aspirazioni realmente umani che la tecnologia dovrebbe servire, ma solo del fatto che sembravano rendersi disponibili i necessari mezzi tecnici», p. 37.

La Via di Mezzo

E sì, le parole qui sotto non sono scritte ieri, anche se lo sembrano. Risalgono a 50 anni fa. Ma evidentemente non sono state abbastanza lette, da abbastanza persone, da abbastanza decisori, da abbastanza politici, studiosi, studenti… tutti!

«[…] c’è sempre il quesito diretto se la modernizzazione, così come è correntemente praticata, senza riguardo per i valori religiosi e spirituali, stia realmente producendo risultati con i quali si può concordare. Nella misura in cui sono implicate le masse, gli esiti sembrano disastrosi: un collasso dell’economia rurale, un’ondata crescente di disoccupazione nelle città e nelle campagne e la crescita di un proletariato urbano senza nutrimento né per il corpo né per lo spirito.

È alla luce dell’esperienza diretta come delle prospettive a lunga sadenza che lo studio dell’economia buddista potrebbe essere consigliato anche a coloro che ritengono la crescita economica più importante di qualsiasi valore spirituale o religioso. Perché il problema non è la scelta fra crescita moderna e stagnazione tradizionale. Si tratta di trovare il giusto corso dello sviluppo, la Via di Mezzo fra la sventatezza materialista e l’immobilità tradizionalista; in breve, bisogna trovare il “giusto sostentamento”», pp. 46-47.

Il lavoro nobilita l’uomo?

«Il punto di vista buddista […] ritiene che le funzioni del lavoro siano almeno tre: dare all’uomo una possibilità di utilizzare e sviluppare le sue facoltà, metterlo in condizione di superare il suo egocentrismo unendolo ad altri in una impresa comune; e, infine, produrre i beni e i servizi necessari a una esistenza adeguata. […] Dal punto di vista buddista ci sono […] due tipi di meccanizzazione […]: uno che accresce il potere dell’uomo e uno che trasferisce il lavoro dell’uomo a uno schiavo mecanico, lasciando l’uomo nella posizione di chi deve servire lo schiavo. Come distinguere l’uno dall’altro?», pp. 40-41.

Ma per rispondere alla domanda finale, Schumacher va avanti per pagine e pagine, con interessantissime riflessioni (con intermezzi di Ananda Coomaraswamy, capace di parlare sia dell’Occidente sia dell’antico Oriente) che avrei dovuto copiare integralmente!!!

Allora, mi son detta, «rileggiamolo e basta!». E questo è ciò che scrivo anche a noi che siamo arrivati fin qui con la lettura di questa, che più di una recensione è una celebrazione.

E dopo aver letto?

Ma che cosa si può fare? Quali sono le «scelte etiche»?

«È solo questione […] di decidere “quanto siamo disposti a pagare per un ambiente pulito”? L’umanità ha senza dubbio una certa libertà di scelta: non è prigioniera di tendenze, della logica della produzione, o di ogni altra logica frammentaria. Ma è prigioniera della verità. La libertà perfetta consiste solo nel servizio della verità. […]

Non è molto probabile che l’uomo del ventesimo secolo sia chiamato a scoprire verità che non sono mai state scoperte prima. Nella tradizione cristiana, come in tutte le vere tradizioni dell’umanità, la verità è stata fissata in termini religiosi […]. Nel contesto dell’intera tradizione cristiana, non c’è forse corpo dottrinale che sia più rilevante e appropriato alla pericolosa situazione moderna delle dottrine meravigliosamente sottili e realistiche delle quattro Virtù Cardinali: prudentia, justitia, fortitudo e temperantia.

Il vero significato di prudentia [] madre di tutte le altre virtù, […] non è conferito dalla parola prudenza, come la si usa correntemente. Significa l’opposto di un atteggiamento verso la vita piccolo, mediocre, calcolatore, che rifiuti di vedere e valutare qualsiasi cosa non riesca a promettere un immediato vantaggio utilitario. […] la prudenza non potrà essere perfezionata tranne che con un atteggiamento di contemplazione silenziosa della realtà, durante la quale gli interessi egocentrici dell’uomo siano ridotti al silenzio almeno temporaneamente.

Solo sulle fondamenta di questo genere magnanimo di prudenza noi possiamo conquistare giustizia, forza e temperanza, che significa capire quando si ha ciò che basta. […] La giustizia porta alla verità, la forza alla bontà, la temperanza alla bellezza; mentre la prudenza, in un certo senso, le comprende tutte e tre. […] In tutto il mondo la gente domanda: «Che cosa posso veramente fare?» La risposta è tanto semplice quanto sconcertante: noi possiamo, ognuno di noi può, lavorare per mettere ordine nella nostra casa più interna. La guida di cui abbiamo bisogno per questo lavoro non può essere reperita nella scienza o nella tecnologia, il cui valore dipende in gran parte dai fini che servono; ma può essere ancora trovata nella saggezza tradizionale dell’umanità», pp. 247-249.

*Morì per un attacco cardiaco mentre viaggiava, per una serie di conferenze, fra Ginevra e Losanna.


 

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