La guerra di Israele a Gaza

Ramzy Baroud

La guerra di Israele a Gaza: dagli esperimenti con armi disumane agli esperimenti politici sui palestinesi

Sebbene le passate guerre di Israele contro Gaza siano state spesso giustificate da Tel Aviv come una risposta ai razzi palestinesi o, in generale, come atti di autodifesa, la verità è diversa. Storicamente, il rapporto di Israele con Gaza è stato definito dalla necessità di Tel Aviv di creare distrazioni dalla propria politica conflittuale, di flettere i muscoli contro i nemici regionali e di testare la nuova tecnologia delle armi.

Sebbene la Cisgiordania occupata – e di fatto anche altri Paesi arabi – sia stata usata come terreno di prova per la macchina da guerra israeliana, nessun altro luogo ha permesso a Israele di sostenere la sua sperimentazione di armi così a lungo come Gaza, rendendo Israele, a partire dal 2022, il decimo esportatore di armi al mondo.

C’è un motivo per cui Gaza è ideale per questi grandiosi, anche se tragici, esperimenti.

Gaza è un luogo perfetto per raccogliere informazioni una volta che le nuove armi sono state dispiegate e utilizzate sul campo di battaglia. La Striscia ospita due milioni di palestinesi che vivono una vita squallida, praticamente senza acqua potabile e con poco cibo, tutti confinati in un’area di 365 km² (circa 181 mi²). Infatti, a causa delle cosiddette cinture di sicurezza di Israele, gran parte delle terre coltivabili di Gaza che confinano con Israele sono off limits. Gli agricoltori vengono spesso colpiti dai cecchini israeliani, quasi con la stessa frequenza con cui vengono presi di mira i pescatori di Gaza, se osano avventurarsi oltre le tre miglia nautiche assegnate loro dalla marina israeliana.

“The Lab”, un documentario israeliano pluripremiato uscito nel 2013, ha illustrato con dolorosi dettagli come Israele abbia trasformato milioni di palestinesi in veri e propri laboratori umani per testare nuove armi. Gaza, anche prima, ma soprattutto da allora, è stata il principale terreno di sperimentazione di queste armi.

 

GIOCO DEI POLITICI

Gaza è stata anche “il laboratorio” per le sperimentazioni politiche israeliane.

Quando, tra dicembre 2008 e gennaio 2009, l’allora primo ministro ad interim di Israele Tzipi Livni decise, secondo le sue stesse parole, di “scatenare” una delle guerre più letali su Gaza, la politica israeliana sperava che la sua avventura militare avrebbe contribuito a consolidare il sostegno del suo partito alla Knesset.

All’epoca Livni era a capo di Kadima, fondato nel 2005 dall’ex leader del Likud, Ariel Sharon. Come successore di Sharon, la Livni voleva dimostrare il proprio valore come politico forte in grado di dare una lezione ai palestinesi.

Sebbene il suo esperimento le abbia fatto guadagnare un po’ di consensi nelle elezioni del febbraio 2009, si è ritorto contro di lei dopo la guerra del novembre 2012, dove Kadima è stata quasi distrutta nelle elezioni del gennaio 2013. Alla fine, Kadima è sparita del tutto dalla mappa politica di Israele.

Non è stata la prima né l’ultima volta che i politici israeliani hanno tentato di usare Gaza per distrarsi dai loro problemi politici o per dimostrare, uccidendo i palestinesi, la loro qualifica di protettori di Israele.

LE BOMBE DI BIBI

Tuttavia, nessuno ha perfezionato l’uso della violenza per ottenere punti politici quanto l’attuale Primo Ministro di Israele, Benjamin Netanyahu. Tornato a capo del governo più estremista della storia di Israele, Netanyahu è desideroso di rimanere al potere, soprattutto perché la sua coalizione di destra ha margini di sostegno più ampi alla Knesset rispetto a qualsiasi altro dei cinque governi israeliani degli ultimi tre anni.

Con un elettorato di destra, favorevole alla guerra e molto più interessato all’espansione degli insediamenti illegali e alla “sicurezza” che alla crescita economica o all’uguaglianza socio-economica, Netanyahu dovrebbe, almeno tecnicamente, essere in una posizione più forte per lanciare un’altra guerra contro Gaza. Ma perché esita?

Il 1° febbraio, un gruppo palestinese ha lanciato un razzo verso il sud di Israele, provocando una risposta israeliana intenzionalmente limitata.

Secondo i gruppi palestinesi della Striscia assediata, il razzo è stato lanciato come parte della ribellione armata in corso da parte dei palestinesi della Cisgiordania. L’obiettivo era illustrare l’unità politica tra Gaza, Gerusalemme e la Cisgiordania.

La Cisgiordania sta vivendo i suoi giorni più bui. 35 palestinesi sono stati uccisi dall’esercito israeliano nel solo mese di gennaio, dieci dei quali sono morti a Jenin in un singolo raid israeliano. Un palestinese, agendo da solo, ha risposto uccidendo sette coloni ebrei nella Gerusalemme Est occupata, la scintilla perfetta di quella che di solito è una massiccia risposta israeliana.

Ma questa risposta si è limitata, finora, alla demolizione di case, all’arresto e alla tortura dei familiari dell’aggressore, all’assedio militare di varie città palestinesi e a centinaia di aggressioni individuali di coloni ebrei contro palestinesi.

PROIETTILI, COMPAGNI E “CATTIVI”

Una guerra totale israeliana, soprattutto a Gaza, non si è ancora concretizzata. Ma perché?

Innanzitutto, i rischi politici di attaccare Gaza con una lunga guerra, per ora, superano i benefici. Sebbene la coalizione di Netanyahu sia relativamente sicura, le aspettative degli alleati estremisti del Primo Ministro sono molto alte. Una guerra dall’esito indeciso potrebbe essere considerata una vittoria per i palestinesi, un’idea che potrebbe da sola far crollare la coalizione. Anche se Netanyahu potrebbe lanciare la guerra come ultima risorsa, al momento non ha bisogno di un’opzione così rischiosa.

In secondo luogo, la resistenza palestinese è più forte che mai. Il 26 gennaio, Hamas ha dichiarato di aver usato missili terra-aria per respingere un raid aereo israeliano su Gaza. Sebbene l’arsenale militare del gruppo di Gaza sia in gran parte rudimentale, in gran parte fatto in casa, è molto più avanzato e sofisticato rispetto alle armi utilizzate durante la cosiddetta “Operazione Piombo Fuso” di Israele nel 2008.

Infine, la riserva di munizioni di Israele deve essere al punto più basso da molto tempo a questa parte. Ora che gli Stati Uniti, il principale fornitore di armi di Israele, hanno attinto alla loro riserva di armi strategiche – a causa della guerra Russia-Ucraina – Washington non sarà in grado di rifornire l’arsenale israeliano di munizioni in modo costante come ha fatto l’amministrazione Obama durante la guerra del 2014. Ancora più allarmante per le forze armate israeliane, il New York Times ha rivelato a gennaio che “il Pentagono sta attingendo a una vasta ma poco conosciuta riserva di munizioni americane in Israele per aiutare a soddisfare l’estremo bisogno di proiettili di artiglieria dell’Ucraina…”.

Anche se le guerre israeliane contro Gaza sono molto più rischiose oggi rispetto al passato, un Netanyahu messo alle strette e in difficoltà può ancora ricorrere a questo scenario se sente che la sua leadership è in pericolo. In effetti, il leader israeliano lo ha fatto nel maggio 2021. Anche in quel caso, non è riuscito a salvare se stesso o il suo governo da una sconfitta umiliante.


Fonte: MintPress News, 9 febbraio 2023

Traduzione di Enzo Gargano per il Centro Studi Sereno Regis


 

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