Gli scienziati sono in affanno? Ai confini tra scienza, politica e società

Elena Camino

La scienza post-normale

Come anticipato nell’articolo Le crescenti incertezze della scienza, gli scienziati sono in affanno perché sempre più spesso alla scienza viene chiesto di fornire risposte chiare e univoche su questioni sanitarie o socio-ambientali, in contesti di per sé ad elevata complessità e incertezza, e in cui è urgente prendere decisioni o predisporre politiche regolatorie. Il coinvolgimento in processi decisionali su tali temi, che riguardano la vita di molte persone, pone a chi fa ricerca scientifica una sfida particolarmente difficile, per le implicazioni che tali tematiche hanno in termini di rischio, sicurezza e precauzione.

Gli scienziati sono in affannoDa qui l’esigenza di nuovi approcci di indagine al confine tra scienza e politica. E da qui emerge l’idea che sia necessario prendere atto della pluralità di legittime prospettive in gioco nelle questioni in esame – sempre più complesse – e coinvolgere una cerchia più ampia di soggetti, anche esterni alla comunità scientifica: infatti in tutte le circostanze in cui i valori degli interventi sul piano sociale sono in discussione, la posta in gioco è alta e le decisioni urgenti, l’approccio scientifico tradizionale risulta inadeguato a fornire una conoscenza affidabile e obiettiva di supporto alle decisioni politiche.  Da questa consapevolezza emerge la proposta dell’approccio della scienza post-normale (PNS)[1], che è oggetto di un volume da poco pubblicato.

Rispetto alla maggioranza degli scienziati, che pur con consapevole senso critico difendono criteri e metodi della scienza cosiddetta ‘normale’, nello scenario della scienza post-normale i criteri di selezione dei dati, le metodologie di indagine, le ipotesi adottate nei modelli sono operazioni valutative, quindi devono includere il dialogo con gli ‘stakeholders’, cioè i portatori di interessi, le cui prospettive  ed esigenze devono essere ascoltate e valorizzate. A elaborare risposte o soluzioni dovrebbe esserci, quindi, una “comunità estesa di pari” che includa, accanto agli esperti riconosciuti in una data materia, anche scienziati latori di prospettive minoritarie o di altri settori, cittadini interessati ed altri possibili portatori di interessi.

Una scienza ‘umile’

Come sottolineano due delle autrici del libro, Alba L’Astorina e Cristina Mangia, a oltre trenta anni dalla sua prima formulazione la PNS ha raccolto intorno alle proprie idee una comunità multidisciplinare che dibatte sui suoi temi in convegni internazionali e nelle pubblicazioni della letteratura scientifica; ha ispirato politiche pubbliche e ha introdotto narrazioni alternative sull’uso della scienza nelle istituzioni europee.  L’approccio ha dato, inoltre, spunto a nuove pratiche di ricerca ed educative nei più vari ambiti disciplinari.

Silvio Funtowicz, che con Jerry Ravetz ha proposto la scienza post-normale all’inizio degli anni ’90 del 900, attualmente chiarisce non solo che cosa è, ma anche che cosa non è la scienza post-normale.

La scienza post-normale non è un nuovo metodo scientifico né un nuovo paradigma che cerca di diventare la nuova normalità scientifica. È un insieme di idee, concetti, intuizioni che hanno a che vedere con le pratiche della ricerca e della politica”.

Come osserva uno degli autori del libro, Andrea Saltelli, la PNS è una scienza umile, non solo perché afferma i limiti della sua applicabilità agli scenari in cui ricorrano le sue condizioni (incertezza, posta in gioco, pluralità di valori) ma anche perché si dichiara programmaticamente né indipendente dai valori né neutrale, rinunciando alla pretesa imparzialità del metodo e del sapere scientifico.

Su poche semplici idee la PNS offre certezze: “non è possibile separare i fatti dai valori; non è possibile osservare in maniera oggettiva la realtà; la scienza non può fornire da sola tutte le risposte alle sfide che caratterizzano il nostro tempo, ma deve creare alleanze con una comunità estesa di pari”. Forse è questa dichiarazione di umiltà che la rende ‘scomoda’…

La scienza Post-Normale e il CSSR

Non ricordo di quale testo in particolare ci parlò Nanni Salio, allora Presidente del CSSR, dopo la pubblicazione dei primi libri e articoli firmati da Funtowicz e Ravetz[2]. Lettore instancabile, Nanni leggeva con curiosità e passione pubblicazioni di discipline e argomenti diversi, di vari ambiti linguistici e culturali, ‘scovando’ continuamente idee, visioni, prospettive fuori dalle narrazioni mainstream. Con entusiasmo ci parlò di questi autori e tradusse in italiano parti dei loro testi, nella speranza (delusa) di trovare qualche editore disposto a pubblicarli.

In questi anni (1990 – 1995) Nanni prese contatto con Jerry Ravetz e Silvio Funtowicz, dando avvio a una collaborazione che si sviluppò nei decenni successivi, e costituì l’impulso a incontri, seminari, convegni che fecero del CSSR un luogo di riflessione e approfondimento importante sulla PNS. Negli anni successivi l’approccio transdisciplinare della PNS favorì la collaborazione con IRIS, un piccolo Istituto di Ricerca Interuniversitaria sulla Sostenibilità, fondato nel 2003 sull’onda dell’entusiasmo da alcun* ricercatori e ricercatrici,  sia accademici che non accademici – persone provenienti da ambiti scientifici, umanistici, artistici, educativi e altri campi,  che condividevano un interesse comune nell’esplorazione di questioni relative al concetto di sostenibilità da un’ampia gamma di prospettive, oltre i confini disciplinari. Era l’ambiente ideale per sviluppare il percorso suggerito dalla PNS!

Tra le iniziative realizzate dal CSSR e IRIS ricordo – in particolare – un workshop realizzato nel dicembre 2007: “Scienza e conoscenza come beni comuni per un futuro sostenibile”: una giornata di studio sul complesso processo di creazione, legittimazione e condivisione di conoscenze rilevanti nella definizione e nella gestione delle questioni socio-ambientali, complesse e controverse. Tra i/le partecipanti vi erano scienziati (Marcello Cini), artiste (O’Thiasos Teatro Natura), e giovani ricercatrici e ricercatori che ora ritroviamo tra le firme del volume ‘Scienziati in affanno’ (Ângela Guimarães Pereira, Laura Colucci, Alice Benessia).

Scienza post-normale e nonviolenza

Tra i dialoghi che la PNS ha avviato negli anni con il CSSR non poteva mancare uno sguardo alla nonviolenza.

Jerry Ravetz, in particolare, alla nonviolenza ha dedicato un articolo specifico[3], in cui ricorda che fino a pochi decenni fa la ricerca scientifica veniva sviluppata entro uno scenario in cui il ruolo – il ‘compito’ – della natura “era quello di essere controllata, dominata, sfruttata o espropriata, essendo implicitamente considerata fonte infinita di materie prime, e pozzo infinito di discarica dei rifiuti.”   L’idea di rispetto o reverenza per la Natura era considerata un residuo di un vecchio modo di pensare. E adesso, improvvisamente – ci fa notare Ravetz in questo articolo – scopriamo che la scienza non ci offre risposte – né semplici né risolutive. C’è dunque da chiedersi “se, e in quali modi, non sia la scienza a dover essere trasformata, se deve aiutarci nella ricerca della sostenibilità e sopravvivenza”.

La nostra civilizzazione basata sulle conquiste della scienza si trova di fronte a due contraddizioni. L’insostenibilità dello stile di vita della porzione benestante dell’umanità pone problemi etici in termini di diritti e povertà che la tecnoscienza non è in grado di risolvere.  Inoltre, ora che la scienza è uscita dalle mura dei laboratori, e modifica direttamente la vita della gente, l’economia, la natura, i suoi effetti non possono più essere controllati né predetti.  Viviamo consapevolmente in una età di ‘conseguenze non previste’, di ‘ignoranze ignorate’: non possiamo più praticare la solita scienza cui eravamo abituati.

Ravetz propone una progressiva trasformazione della coscienza tra gli scienziati,  in grado di aprire la strada a discorsi alternativi della scienza, in cui le problematiche etiche siano riconosciute e non – come adesso – ignorate o cancellate.  Tra i possibili esempi che cita, Ravetz sceglie il pensiero di Gandhi, e propone una lista degli attributi della scienza basati sul concetto di ‘satyagraha’[4]. Essi includono: la consapevolezza della propria ignoranza e della propensione all’errore; la disponibilità ad apprendere da chiunque, esperto o cittadino qualunque; l’assunzione di responsabilità per le conseguenze non previste delle proprie scoperte o invenzioni; la possibilità di fare del male in nome del bene …

Nel suo contributo al testo ‘Scienziati in affanno?’[5] Ravetz introduce un’altra parola che rimanda alla nonviolenza: è la parola ‘compassione’. Secondo Ravetz possiamo immaginare la complessità come una situazione in cui non esiste una prospettiva privilegiata nella ricerca della conoscenza. La consapevolezza di questo concetto apre la strada a un’euristica molto più ricca, che comprende il concetto di ‘contingenza’ (la particolarità di una situazione che si incontra quando si agisce), poi quello di ‘incertezza’, di ‘complessità’, poi di ‘contraddizione’ (nel senso di problemi, o sfide, che non possono essere risolte all’interno del paradigma esistente), e si conclude con la ‘compassione’.   Con ‘compassione’ – spiega Ravetz – non intendo un’emotività nei confronti della sofferenza, ovunque essa si manifesti, quanto piuttosto una consapevolezza che gli Altri, per quanto repellenti siano i loro punti di vista, sono esseri senzienti, che lottano come me, e che hanno anche la loro Storia.

Una carrellata transdisciplinare e una conversazione a più voci

Scorrendo l’indice di questo ampio e articolato testo, emerge una varietà di sguardi sulla scienza post-normale: dalla ricostruzione della storia ormai trentennale di questo approccio, alle sue applicazioni in diversi ambiti professionali (la sanità, l’educazione, l’ambiente…) alla diffusione in differenti contesti nazionali e internazionali. Una riflessione che sottende tutti gli interventi è la sfida a democratizzare la scienza, un passo necessario per rendere coerente la riflessione etica e praticabile la ricerca concreta di giustizia.

La parola ‘affanno’ nel suo duplice significato – letterale e metaforico – mi sembra molto adatta a ispirare non solo il mondo scientifico – ma la società tutta, a mettere in atto un personale e collettivo satyagraha.

Il 13 febbraio prossimo, dalle 15 alle 18, presso il Centro Studi Sereno Regis, autori e autrici del libro ‘Scienziati in affanno?’ converseranno con il pubblico, per illustrare la loro ricerca e condividerne i tanti interrogativi.


Note

[1] Funtowicz S. & Ravetz J., Uncertainty, complexity and post-normal science, Environmental Toxicology and Chemistry, Vol. 13, No. 12, pp. 1881-1885, 1994.

[2] Uncertainty and Quality in Science for Policy, Springer 1990;  Uncertainty, complexity and post-normal science, Environmental Toxicology and Chemistry, Vol. 13, No. 12, pp. 1881-1885, 1994; Science for the Post-Normal Age, Futures, 25 (7), 739-755, 1993).

[3] Ravetz, J., 2006. Towards a non-violent discourse in science. In Klein Goldewijk, B., Frerks, G. (Eds.), New Challenges to Human Security: Empowering Alternative Discourses, Wageningen Academic Press, Netherlands.

[4] La parola deriva dai termini in sanscrito satya, la cui radice sat significa Essere/Vero, e agraha. Le traduzioni italiane che più si avvicinano al significato di Satyagraha sono “vera forza”, “forza dell’amore” o “fermezza nella verità”. Il termine porta con sé l’idea di ahimsa, cioè assenza di danneggiamento. In Italia lo stesso concetto è identificato con il nome di Nonviolenza e ha visto le sue radici ad opera di Aldo Capitini. (dal Dizionario di italiano).

[5] Scienza post-normale: il nostro futuro. La scienza post-normale tra intuizioni originarie e prospettive future.


 

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