Leonard Peltier: se 47 anni di prigione non sono abbastanza…

Daniela Bezzi

Era il 6 febbraio del 1976 quando, dopo un’impressionante caccia all’uomo, venne arrestato in Canada il nativo americano Leonard Peltier con un’accusa molto grave: l’uccisione di due agenti dell’FBI, Ronald A. Williams e Jack R. Coler, durante la sparatoria che qualche mese prima, 26 giugno 1975, era scoppiata a Pine Ridge, una riserva indiana poverissima degli Oglala Lakota, territorio sotto assedio da tempo. L’estradizione dal Canada, dove si era rifugiato, fu ottenuta con prove così fasulle che lo stesso governo canadese protestò formalmente in seguito con il governo degli Stati Uniti. Ma Peltier era ormai nelle mani di chi aveva individuato in lui il perfetto capro espiatorio.

Dopo un processo che definire macchinazione sarebbe poco, sulla base di testimonianze estorte con l’intimidazione, di perizie balistiche falsificate (come ha recentemente riconosciuto in un’intervista a The Guardian l’ex agente dell’FBI Coleen Rowley, ormai in pensione ma onesta abbastanza da riconoscere le motivazioni di vendetta di quel lontano procedimento giudiziario), Leonard Peltier venne condannato a ben due ergastoli che praticamente equivalgono a una condanna a morte.

La quantità di appelli, petizioni, richieste di clemenza che nel corso degli anni sono state reiterate al Governo americano da una folta schiera di personalità, da Desmond Tutu a Papa Francesco, da Madre Teresa a Nelson Mandela, sarebbe lunghissima, l’elenco dei Premi Nobel, artisti, scrittori, pop star, personalità della politica, organizzazioni attive sul fronte dei diritti umani, sarebbe lunghissimo e lo trovate qui. Tra le iniziative più recenti: la lettera che Amnesty International ha inviato di nuovo al Presidente Biden, per ribadire l’innocenza di Peltier.

Ma più che mai quest’anno, dopo quella lunga, entusiasmante Walk to Justice che si è snodata lo scorso autunno per oltre 1000 km da Minneapolis fino a Washington DC  e dopo il Rise Up Tour che le tre native americane Jean Roach, Carol Gokee e Lona Knight hanno effettuato in Europa passando anche per l’Italia, la data del 6 febbraio è stata ricordata in parecchie città europee, oltre che americane, con le più diverse, colorate, partecipate iniziative per caldeggiare ancora una volta la fine di questa detenzione così evidentemente vergognosa.

Ed ecco negli ultimi giorni e ancora adesso mentre chiudo queste note, le foto degli striscioni, dei cartelli, dei messaggi, postati sui social dai vari comitati in difesa di Leonard Peltier, per dire in inglese, francese, tedesco, italiano un unico messaggio: FREE Leonard Peltier!

Striscione rosso sangue con sfondo di Tour Eiffel illuminata nella notte di Parigi, che si alterna alle immagini che arrivano da Rapid City, da Fargo, da Santa Fe, da Albuquerque, da San Josè, per poi di nuovo portarci a Francoforte, a Dusseldorf, a Berlino e altre città della Germania, e di nuovo eccoci a San Francisco, naturalmente a Minneapolis, Sacramento, Washington DC… e quindi a Roma, con una bella serie di appuntamenti istituzionali… e nell’alto Lazio, tra Viterbo, Vetralla e altri comuni, dove il «Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera» coordinato da Beppe Sini, ha organizzato un vero e proprio ciclo di incontri fin dal giorno prima della ricorrenza, domenica 5 febbraio.

Per concludere in bellezza ieri sera, nella bellissima, centralissima Piazza Duomo di Milano, con la Banda degli Ottoni che faceva da contrappunto ai tuonanti interventi di Andrea De Lotto, e i turisti che si facevano riprendere davanti al lunghissimo striscione arancione che quest’anno affiancava nella richiesta di liberazione per Leonard Peltier e Julian Assange, anche il nome di Alfredo Cospito, nelle condizioni che sappiamo.

Non poteva mancare in questa corale richiesta di Clemenza, il presidio valsusino di San Didero, che dal giugno scorso è stato intitolato proprio a lui, Leonard Peltier, e che durante il Rise Up Tour di ottobre aveva ospitato la prima tappa del passaggio in Italia con un’affollatissima assemblea. Ed ecco che la settimanale apericena del Movimenti NoTav di ogni martedì sera, è stata un’occasione per invocare a caratteri cubitali non solo la libertà per Leonard Peltier, ma anche quella di una giovane compagna, Francesca, che solo poche ore prima era stata tradotta al carcere Le Vallette di Torino, ennesima vittima di un’accanimento giudiziario incompatibile con qualsiasi parvenza di democrazia, in Italia come in US.

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Dal carcere in Florida dov’è rinchiuso, ormai anziano, sfiancato, ancora molto provato dal Covid contratto negli scorsi mesi, Leonard Peltier ha fatto avere alla sempre più ampia comunità di sostenitori in giro per il mondo, un lungo messaggio, di cui riportiamo qualche brano.

La mia detenzione è solo un esempio del trattamento che il nostro popolo ha dovuto subire fin dall’arrivo di Cristoforo Colombo (…) la storia ci insegna che hanno annientato il nostro popolo, si sono appropriati della nostra terra e delle nostre risorse. Se la legge era a nostro favore, hanno ignorato la legge. O l’hanno cambiata secondo i loro piani. (…)

Potrei continuare a parlare dei maltrattamenti subiti dal nostro popolo, come del mio caso, ma l’hanno già detto le Nazioni Unite: il motivo per cui gli Stati Uniti mi tengono rinchiuso, è perché sono un Indiano d’America.

L’unica cosa che mi rende diverso dagli altri Indiani d’America che sono stati maltrattati, derubati delle loro terre, tenuti in prigione, è che il mio caso è stato almeno messo agli atti del tribunale. La violazione dei miei diritti è stata dimostrata in tribunale. La falsificazione di ogni prova usata per condannarmi è stata dimostrata in tribunale. Lo stesso Consiglio delle Nazioni Unite, composto da 193 nazioni, ha chiesto la mia liberazione, constatando che sono un prigioniero politico…”

Una liberazione che per la verità il Comitato Internazionale ILPCD, che da tempo lavora in difesa di Leonard Peltier, avrebbe sperato di ottenere già intorno a Natale, non solo sulla scorta delle (per niente vaghe) promesse di riconciliazione, che Joe Biden aveva espresso nei confronti delle Nazioni Native Americane in campagna elettorale (ne avevamo già parlato in questo articolo qualche mese fa), ma appunto sulla base del recente pronunciamento delle Nazioni Unite cui fa riferimento il messaggio di Peltier, che senza mezzi termini riconosce la totale arbitrarietà della sua lunga detenzione, sollecitandone al più presto la fine. Ma quando?

Citiamo ancora qualche passaggio dal messaggio di Peltier:

“Nel mio caso di prigioniero politico non è necessario uno scambio di prigionieri. Lo scambio che devono fare è passare dall’ingiustizia alla giustizia. Non importa ormai quale sia il vostro colore e la vostra etnia: se una cosa simile è successa a me, può succedere anche a te, la Costituzione degli Stati Uniti è appesa a un filo…”

 E non solo quella degli Stati Uniti, verrebbe da dire…

Per chi vive a Milano, si parlerà di nuovo di Leonard Peltier domani sera, giovedì 9 febbraio, dalle ore 19,30 in poi alla Trattoria Popolare di Via Ambrogio Figino 15 (angolo Viale Certosa). E sarà una cena “nello spirito del Cavallo Pazzo” come conclude lo stesso Peltier in finale di messaggio, congedandosi con un “Doksha” che è il modo degli indiani Sioux per dire “Arrivederci… Ci vediamo…” FREE Leonard Peltier!!! FREE Leonard Peltier!!!


 

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