Le incertezze crescenti della scienza

Elena Camino

Perché fidarsi della scienza?

Nell’ambito della rassegna di ‘Biennale Tecnologia’ organizzata dal Politecnico di Torino a novembre del 2022 una nota studiosa americana, Naomi Oreskes, ha tenuto una lezione dal titolo “Perché fidarsi della scienza?”.  Nella locandina di presentazione dell’evento si leggeva: “I medici sanno di cosa parlano quando ci dicono che i vaccini sono sicuri? Dobbiamo prendere alla let­tera gli esperti quando ci parlano del riscaldamento globale? Un’au­dace e convincente difesa della scienza ci svelerà perché gli aspetti sociali della conoscenza scientifica costituiscono il suo principale pun­to di forza e la motivazione per cui possiamo affidarci a lei.”

Naomi Oreskes, docente di Storia della Scienza, e docente di Earth and planetary Sciences alla Harvard University, si è occupata a lungo del tema della veridicità e affidabilità della conoscenza scientifica: nel libro ‘Mercanti di dubbi’ tradotto nel 2019 a cura delle Edizioni Ambiente, l’Autrice aveva descritto come un manipolo di scienziati ha nascosto la verità, dai danni del fumo al riscaldamento globale, manipolando le proprie conoscenze e mettendole a disposizione delle industrie e dei decisori politici, allo scopo di screditare la comunità scientifica e costruire dubbi e incertezze. Nel 2021 è stato tradotto – presso la Casa Editrice Boringhieri – il suo ultimo libro, con il titolo ‘Perché fidarsi della scienza?’, ed è di questo argomento – sempre più attuale e problematico –  che la scienziata ha tenuto la sua  lezione al Politecnico.

Il suo libro è stato accolto con favore dalla comunità scientifica: tra i commenti di esperti e studiosi ne seleziono uno, particolarmente ‘deciso’ nella sua affermazione: «In un’epoca di fake news e fatti alternativi, in cui le opinioni e l’ideologia vincono sull’evidenza empirica e sul metodo scientifico, come deve rispondere la scienza? Il titolo di questo libro incredibilmente importante pone una delle domande più urgenti del nostro tempo, perché se non ci fidiamo della scienza l’umanità è spacciata». (Jim Al-Khalili, Fellow of the Royal Society, fisico e autore di Il mondo secondo la fisica e La fisica del diavolo).

Pur esprimendo delle riserve sulla validità del ‘metodo scientifico’ come strumento principe della ricerca scientifica,  l’Autrice difende  la superiore affidabilità delle conoscenze scientifiche rispetto ad altre forme di conoscenza; a suo parere  tale superiorità è da attribuire al processo sociale che le produce, cioè al sistema di controllo e verifica messo in atto dalla comunità scientifica stessa al suo interno.

Uno studio di caso: la tecnologia 5G e la salute

Sempre più le domande che vengono poste alla scienza riguardano problemi complessi e controversi, che investono molti ambiti disciplinari e sollecitano conoscenze trasversali. A dare risposte sono chiamati studiosi che affrontano i problemi da punti di vista diversi, spesso difficilmente integrabili tra loro; inoltre le modalità di indagine richiedono strumenti sempre più costosi, spesso disponibili solo a centri di ricerca tecnologicamente avanzati e finanziati per lo più da privati. 

Un caso-studio citato nei giorni scorsi in una conversazione tenuta al Centro Studi Sereno Regis (sui Campi EM a radio-frequenza) è quello relativo al moltiplicarsi della quantità e varietà di onde elettromagnetiche a radio-frequenza, soprattutto negli spazi urbani, in seguito all’implementazione dell’ ”internet delle cose”,  un sistema informatico tra oggetti  “intelligenti”, tra loro interconnessi in modo da scambiare le informazioni possedute, raccolte e/o elaborate. 

Per esempio, secondo l’Osservatorio Smart City dell’ANCI (Associazione Nazionale dei Comuni Italiani), la smart city – letteralmente “città intelligente” – è una città che gestisce ed eroga i servizi pubblici con l’aiuto delle nuove tecnologie (soprattutto la rete internet) per migliorare la vivibilità al suo interno e fa proprie informazioni e saperi provenienti da vari ambiti per migliorare la propria efficienza e sostenibilità (sociale e ambientale). Nella smart city è presente un elevato livello di connettività, sono raccolte ingenti masse di dati (per esempio sul traffico, sulla qualità dell’aria, sulla geolocalizzazione dei parcheggi per le persone disabili, sull’utilizzo di un certo servizio ecc.) che migliorano i servizi in tempo reale e permettono alle amministrazioni una gestione sempre più efficiente del tessuto urbano.

La connettività richiesta per realizzare una situazione ‘smart’ è resa possibile dall’utilizzo del sistema detto ‘5G’, cioè di ‘quinta generazione’, che utilizza onde di una specifica porzione dello spettro di onde elettromagnetiche, i cui effetti – sull’uomo e in generale sui viventi – sono da anni oggetto di controversie scientifiche. Alcuni anni fa (2017) è stato pubblicato un ‘Appello’, firmato da centinaia di ricercatori che chiedevano alle pubbliche autorità europee di sospendere l’installazione di queste reti di collegamento informatico, e di sperimentarne preliminarmente in modo approfondito le conseguenze sulla salute pubblica.

Noi sottoscritti, più di 180 scienziati e medici provenienti da 37 paesi, proponiamo una moratoria per il roll-out della quinta generazione – la 5G – della telecomunicazione, fino a quando i potenziali pericoli per la salute umana e l’ambiente non saranno stati completamente studiati da scienziati indipendenti dall’industria. La tecnologia 5G aumenterà notevolmente l’esposizione ai campi elettromagnetici a radiofrequenza (RF-EMF) rispetto alla 2G, 3G, 4G, Wi-Fi, ecc. già esistenti. RF-EMF sono state dimostrate dannose per l’uomo e per l’ambiente. La tecnologia 5G porta a un massiccio aumento dell’esposizione alle radiazioni wireless…

Altrettanto numeroso è il fronte degli scienziati che hanno testimoniano l’innocuità della rete 5G, e sottolineano i vantaggi che questa nuova organizzazione informatica porterà al benessere dei cittadini (in termini di salute, organizzazione, efficacia dei servizi ecc.).  A livello legislativo sono ancora in vigore (da parecchi anni) le linee guida fornite dall’ICNIRP (International Commission on Non-ionizing Radiation Protection), basate su dati scientifici raccolti da gruppi di ricerca che hanno finora riconosciuto la presenza di effetti termici, ma non biologici a queste onde, e ne hanno dichiarato l’innocuità[1].

L’Appello EU 5G è stato rilanciato per 6 anni, anche alla luce di nuovi dati scientifici emersi in recenti ricerche, che suggeriscono la presenza di possibili danni biologici nell’uomo e in animali sperimentali esposti alle onde utilizzate nel sistema 5G. L’Appello è rimasto finora senza risposta. Un articolo di rassegna pubblicato di recente su una rivista scientifica, tra i cui autori ci sono anche i promotori dell’Appello, accusa esplicitamente l’Unione Europea di far valere gli interessi economici a scapito della salute: The European Union prioritises economics over health in the rollout of radiofrequency technologies. (L’Unione europea dà la priorità all’economia rispetto alla salute nell’introduzione delle tecnologie a radiofrequenza).

Gli Autori di questo articolo sottolineano che una recente Dichiarazione dell’UE sui diritti e sui princìpi digitali, che stabilisce che l’obiettivo è di porre le persone al centro della transizione digitale, pone tuttavia l’enfasi non sulla salute della gente, ma sui diritti che riguardano l’accesso all’intelligenza artificiale, alla robotica, all’internet delle cose… quasi che la salute e il benessere umano siano messi in secondo piano rispetto alla possibilità di avere accesso alle innovazioni tecnologiche.  La controversia qui accennata – ben lontana dall’essere risolta –  mette in luce le difficoltà dei decisori pubblici nel prendere decisioni in cui le informazioni che ricevono al mondo scientifico  sono raccolte in circostanze in cui le domande di ricerca sono formulate sulla base delle diverse prospettive deli studiosi (economiche, finanziarie, sociali o mediche): domande quindi che trovano risposte diverse a seconda delle priorità con le quali vengono individuati e raccolti i dati scientifici.

Il principio precauzionale e ‘la mancanza di una completa certezza scientifica’.

Il caso illustrato rappresenta solo una delle sempre più frequenti situazioni in cui l’introduzione di una innovazione tecnologica altera in modo sconosciuto qualche aspetto dell’ambiente, con conseguenze imprevedibili, che si possono manifestare anche a distanza di molto tempo.   Per affrontare queste situazioni in modo razionale e consapevole, e per tutelare non solo le comunità umane, ma l’ambiente in generale, da danni involontariamente provocati dal progresso tecnologico, già in occasione della Conferenza delle Nazioni Unite su Ambiente e Sviluppo, che si tenne Unite  Rio de Janeiro nel 1992  fu enunciata una prima formulazione del ‘Principio Precauzionale’.  La Dichiarazione di Rio sull’Ambiente e lo Sviluppo stabiliva, con 27 Principi, una serie di norme da rispettare per la difesa e la salvaguardia dell’ambiente. In particolare l’Articolo 15 affermava che “Al fine di tutelare l’ambiente, gli Stati adotteranno ampiamente un approccio cautelativo in conformità alle proprie capacità. Qualora sussistano minacce di danni gravi o irreversibili, la mancanza di una completa certezza scientifica non potrà essere addotta come motivo per rimandare iniziative costose in grado di prevenire il degrado ambientale”.

Il Principio di precauzione si basava sulla fiducia che la scienza – prima o poi – avrebbe potuto dare risposte certe alle domande di conoscenza poste dalla società. Ma con il passare degli anni emersero alcuni aspetti problematici. Con il moltiplicarsi degli impatti provocati dall’innovazione tecno-scientifica sul pianeta (dall’immissione di nuove molecole per uso farmacologico, alle produzioni di fitofarmaci nel settore agricolo, ai nuovi materiali per l’industria), gli ambienti naturali hanno reagito in modi diversi attivando reazioni complesse, spesso impreviste, dando luogo a fenomeni che si manifestarono anche dopo molto tempo, e in luoghi molto diversi, con drammatici effetti negativi.

Secondo una parte del mondo imprenditoriale, politico e anche scientifico attendere una completa certezza scientifica prima di autorizzare una innovazione tecnoscientifica avrebbe penalizzato eccessivamente lo sviluppo economico e industriale dei paesi, e frenato la corsa al progresso. Occorreva quindi trovare un compromesso tra l’esigenza di sicurezza e la necessità di sviluppo.  Il caso studio relativo all’attuale immissione di onde radio del sistema 5G ne è un esempio.

La scienza può dare sempre risposte certe?

Il problema, lungi dal trovare soluzione, è andato peggiorando. L’accelerazione dello sviluppo tecnologico e il moltiplicarsi delle proposte innovative sta sottoponendo il nostro pianeta a un numero crescente di condizioni ‘nuove’, alle quali le comunità umane e gli ecosistemi reagiscono – nell’immediato  o con il passare del tempo – con risposte sempre meno prevedibili e sempre meno reversibili. I cambiamenti climatici in atto ne sono un esempio su scala globale.

Forse la scienza poteva fare di più? In certi casi si. Nel 2013 l’Environment European Agency (EEA) pubblicò un interessante Report Late Lessons from Early Warnings (Avvertimenti precoci, lezioni tardive) – in cui gli Autori analizzavano le cause di decisioni improprie (perché non prese, o tardive, o condizionate da interessi) che portarono a conseguenze gravi per la salute umana o ambientale.  Ripercorrere gli eventi consentì di evidenziare che in ciascuno di quei casi erano stati presenti degli indizi preziosi che furono trascurati e che avrebbero potuto mettere in allarme i decisori ed evitare quegli errori.

Famosi furono il caso dei danni da amianto, la presenza di piombo nella benzina, gli effetti tossici di un farmaco, ecc.  I casi studio forniscono esempi in cui l’inazione normativa portò a conseguenze costose che non erano state previste. Ci furono anche esempi in cui “allerta precoce”, e persino avvertimenti “forti e tardivi”, furono ignorati; dove la gravità del pericolo fu sottostimata; dove azioni normative furono intraprese senza prendere in considerazione le alternative.

Nello studio di caso che riguarda la diffusione dell’”internet delle cose”, i firmatari dell’Appello 5G richiamano l’attenzione proprio su questa pubblicazione, e affermano che i dati scientifici che sono stati finora pubblicati possono essere considerati ‘indizi precoci’: tenerne conto potrebbe evitare drammatiche conseguenze future.

Verso una scienza incerta: scienziati in ‘affanno’

Tra pochi giorni (il 13 febbraio, dalle 15 alle 18) presso la sede del Centro Studi Sereno Regis di Torino, alcune studiose e studiosi presenteranno un libro che è stato da poco pubblicato dalla casa editrice del CNR – Consiglio Nazionale delle Ricerche), all’interno della Collana editoriale ‘Scienziati in affanno?’.  Il titolo di questo volume – il primo della serie – è “Scienza, politica e società: l’approccio post-normale in teoria e nelle pratiche”.

Il testo è liberamente scaricabile dal sito: http://www.cnr.it/it/scienziati-in-affanno#1PNS. Come si legge in una delle prefazioni, le tre studiose ideatrici della Collana hanno deciso di mettere assieme le loro diverse competenze per aprire uno spazio di osservazione sulle relazioni fra scienza, società e politica; uno spazio dove affrontare, condividere e dibattere studi e ricerche sui cambiamenti in corso nella produzione, nella applicazione e nella condivisione della conoscenza scientifica, mai come ora oggetto di discussione e ridefinizione pubblica. Il titolo della Collana invita, da un lato, a riconoscere l’affanno che a volte ricercatori e ricercatrici avvertono quando si trovano ad affrontare temi cruciali relativi al ruolo della scienza e della tecnologia per la società, specialmente nel dibattito pubblico; dall’altro, il punto di domanda apre al confronto e alla condivisione di idee, alla possibilità di cambiare prospettiva, per ragionare criticamente sul contributo che tutti possiamo dare per risolvere problemi che investono la società intera, di fronte a un mondo che si è rivelato così complesso che la scienza non è (più) in grado di fornire conoscenze certe.


Nota

[1] Nel maggio 2020 sono entrate in vigore le nuove linee guida, pubblicate dall’ICNIRP (International Commission on Non-Ionizing Radiation Protection), per l’esposizione a campi elettromagnetici nell’intervallo di frequenza compreso tra 100 kHz e 300 GHz (Guidelines for limiting exposure to electromagnetic fields (10 kHz to 300 GHz)). Secondo quanto dichiarato nella revisione sono stati presi in considerazione anche gli effetti non termici.


 

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