Ruta Canaria: dall’umanità sofferente alla farmacia

Gigi Eusebi

A parte un ennesimo turno pasti con i senza dimora (o con scarsa dimora) in città, pomeriggio muy frio al campo profughi Las Raices di Tenerife, che meriterebbe un report a parte. Struttura di “contenimento” statale, in un ex campo militare, come tutti i centri dove vengono inviati i migranti sulla Ruta Canaria, di fianco all’aeroporto di Tenerife. Circa mille persone dentro (e fuori), alcuni da settimane, altri da mesi, quasi tutti dell’Africa “nera” occidentale, prevalenza senegalese.

Nel campo non si può entrare, gestione di un ong immanicata con il governo, gli “ospiti” possono uscire di giorno fino alle 22.00, ma devono camminare 30/40′ per arrivare in paese, a La Laguna, fa un freddo cane, sono poco vestiti, mangiati e curati, soldi pochi o nulli. Ci sarebbe un altro campo in zona, Las Canteras, un pò meglio strutturato, per location e temperature (qui invece si dorme in tendoni e quando piove parecchio, come nell’ultimo w-end, si allaga mezzo campo). Ma Las Canteras è chiuso da settimane e pure a Las Raices si parla di trasferimenti imminenti in altre isole canarie.

C’è una rete solidale informale poco articolata, ognuno gira in ordine sparso, con però un’umanità commovente. Persone della zona che portano cibo, cioccolato, the caldo, vestiti, cellulari, che registrano nelle rubriche centinaia di numeri di cell per offrire appoggio, cercano avvocati attivisti per mandare avanti ricorsi e cause, o medici per cure rapide all’aperto nello spiazzo davanti all’entrata.

Di fatto questi campi sono delle specie di CPR meno repressivi di quelli nostrani, le persone possono uscire, il rischio di essere rimandati nei loro paesi di origine è relativamente basso, la maggioranza prima e soprattutto poi riesce ad arrivare sulla “peninsula“, (Madrid, Siviglia, Barcellona) e da lì tentare di iniziare una nuova vita, in Spagna o nel nord Europa.

Anche oggi come a La Palma nella zona dell’eruzione, ero accompagnato ad un ex cestista, Zeven, 1,95mt, disoccupato, vive lì vicino, ospita a casa sua dalle 4 alle 5 persone, passa 8/10 ore al giorno subito fuori dal campo, dove ci si ritrova con i migranti. Tutte le mattine e tutti i pomeriggi arriva con cioccolata calda in cinque thermos, biscotti, scarpe da ginnastica, batterie di cellulari, di tutto e di più. Lo hanno battezzato “papà Africa”, ormai è un’istituzione, fa più lui ed i suoi pochi amici che buona parte dei gruppi nostrani (che ottengono a volte premi ed onorificenze umanitarie…). Zeven and friends hanno creato una piccola associazione di sostegno, “Hay Raices” (ci sono radici), gioco di parole tra il nome del campo ed il mettere radici nella migrazione.

E’ scattato un feeling reciproco con Zeven e molti ragazzi africani. Le poche cose apprese  sul Senegal, qualche frase in arabo, il francese, le attività che svolgiamo da anni alla frontiera alpina della Val di Susa, sono valse come lasciapassare. Abile e arruolato.

Da “papà Africa” a Luis, “oncle (zio) Africa”

Ora viene il bello, anzi l’osceno, spaccato della “quotidianità” di umanità sofferenti, tra i sommersi come tra i salvati, per citare Primo Levi.

Abbiamo passato il pomeriggio a decifrare chat di WhatsApp e video/foto espliciti tra gente del posto, di ambo i sessi (non solo due, di sessi) e qualche ragazzo prestante che soggiorna nel campo. Nello spiazzo davanti all’entrata de Las Raices non ci sono solo volontari che danno una mano, ma nella boscaglia subito dietro avvengono incontri fugaci… Di fatto ci sono abitanti del posto che offrono cibo, commissioni come lavare gli abiti o seguire delle pratiche di richiesta di asilo, o qualche decina di euro, o sim di cellulari, in cambio di sesso. Molti rifiutano, alcuni bloccano i numeri dei “seduttori”, ma qualcuno ci sta…

In quell’ottica di giocarsi l’unica “fiche” alla roulette russa di cui scrivevo nelle traversate della “Ruta Canaria” del precedente report, dove uno su quattro non ce la fa e affoga nell’oceano.

C’è di peggio. Donne del posto che “chiedono” lo stesso servizio di cui sopra e una volta soddisfatte vanno alla polícia a denunciare di essere state violentate.

Tra “papà Africa”, una ragazza avvocata e per l’occasione “oncle Africa”, oggi abbiamo cercato, oltre a distribuire cioccolata calda e biscotti, di scaricare e copiare i messaggi hot, per farli transitare verso successive denunce. Anche perché alcuni ragazzi, per la vergogna, cancellano tutto, impedendo di andare a fondo sulla questione.

Un paio di immagini di ragazzi coinvolti in quanto sopra descritto.

La farmacia

Oggi andiamo in farmacia… non per problemi di salute ma per “intercambiar” con uno dei più originali progetti sociali di Tenerife. A San Isidro, villaggio del sud popolato da immigrati, in parte anche europei (la comunità italiana è una delle più numerose), versante sud-est del Teide.

Ruta Canaria

António, farmacista titolare e ideatore della proposta, e Mba Bee, psicologo guineano da 12 anni qui, dirigono le operazioni. L’idea è di offrire un servizio… multitasking, non solo con le medicine ma con educazione alla conoscenza del proprio corpo, delle radici etniche, dell’operare in comunità con i “vecinos” della propria zona. Si svolgono corsi e riunioni su svariati temi, si presta il retrobottega per riunioni di quartiere, è stata allestita una mini libreria all’interno della farmacia dove si possono leggere, prendere o portare testi utili a tutti. Ho lasciato volentieri una ricerca sul razzismo che mi era stata donata da un docente universitario.

Leggere è la miglior medicina“, recita un cartellone all’interno.

Mba Bee, psicologo, si prende cura delle mille ansie, stress, traumi di chi che dopo anni di odissee per deserti e mari, campi profughi, approda a San Isidro, specie gli africani. Antonio, il “boss”, sviluppa il progetto, coordina la gestione ed una fondazione parallela, Fundec, creata per ottenere anche finanziamenti e donazioni. Si tessono reti di collaborazione con altre farmacie spagnole che condividano questo format.

Per ora sono sei, quattro alle Canarie, una a Murcia, l’altra in Estremadura. La strategia è di creare una rete più estesa. Se qualcuno avesse contatti con “farmacêuticos attivisti” che vogliano o possano collaborare…

Un progetto con queste caratteristiche è una novità, girando per il sud del mondo, specie in America Latina, avevo intercettato tante realtà di base, nei villaggi, nel campo, in area indigena, alle frontiere migranti, nelle periferie delle città dove però si lavora con postazioni sanitarie di pronto e rapido intervento, non con strutture organizzate ed all’apparenza “normali”.

Questa farmácia (seguono foto), insieme ad altre attività, verrà appoggiata con parte del contributo ricevuto in questi giorni.


 

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