HUMANS of the Balkans – Lubiana 3

Benedetta Pisani

HUMANS of the Balkans – Lubiana 3. Diciotto giorni nei Balcani, per incontrare persone e ascoltare le loro storie. Da Lubiana a Tirana, 55 ore di autobus e tanta voglia di condivisione.

Capitolo 3 – Amiche di ostello: Una giornata con Gabriela

Le persone vanno e vengono, L’evanescenza che si respira negli ostelli è strana. Una sensazione, al tempo stesso, nostalgica e accogliente. Ogni tanto, mi capita di immaginare come sarebbe vivere in un ostello, vivere quotidianamente la scarica di energie che porta chi arriva; la sua voglia di scoperta, l’apertura incentivata dalla temporaneità della sua permanenza. Quando va via, lascia sempre la traccia, leggera ma indelebile, di un’esperienza unica. Non ricordo tutti i nomi – e le facce – delle persone che ho incontrato nei corridoi di Hostel Zzz. In realtà, non ricordo neanche i nomi dei compagni e delle compagne di camera.

La mia memoria a breve termine ha sicuramente influito su questa defaillance (mi sarebbe piaciuto poter nominare, ad esempio, il soggetto con cui ho vissuto un fugace innamoramento… ma niente, tabula rasa); ma, a mia discolpa, devo dire che ogni sera compariva un volto nuovo, per poi scomparire il mattino seguente senza dire nulla. Due ragazze francesi mi hanno accolta quando sono arrivata, poi gli armadietti si sono svuotati e al loro posto sono arrivati due ragazzi inglesi, che preferivano usare il pavimento piuttosto che i cassetti. Capelli lunghi, stile hipster trasandato, con le ciabatte consunte appese allo zaino ancora più consunto e una schiscia contenente del cibo in stato di decomposizione. Tutto sommato carini e interessanti (sembrava interessante il 35% delle cose che dicevano, percentuale equivalente a quello che io comprendevo… ho ancora un po’ di problemi con l’accento british).

Apro il frigorifero e all’improvviso sento un ben scandito “Where are you from?”. Sobbalzo, pensavo di essere sola. “Italy”, rispondo involontariamente scontrosa. Lui si apre comunque in un sorriso gentile. “Lo sapevo, me lo sentivo. Ti ho vista ieri e volevo dirti che hai dei capelli pazzeschi, ma non parlo bene l’inglese e non volevo fare figure di merda”. Come me, anche lui – di cui chiaramente non ricordo il nome – stava viaggiando da solo. Sono certa che se la sia cavata benissimo, anche se non parla bene l’inglese.

L’unico nome che ricordo è quello di una ragazza cilena, con i capelli lunghissimi e luminosi che le incorniciano il viso familiare. Gabriela è stata la mia compagna di stanza solo per una notte, ma in pochi minuti di conversazione informale – di quelle che si fanno di solito tra persone che non si conoscono – si è creata una bella connessione. Sentivamo quasi l’esigenza di raccontarci quante più cose possibile, consapevoli entrambe di quella famosa evanescenza da ostello.

Gabriela è una viaggiatrice, si sente viva quando prepara lo zaino e parte per una nuova avventura. Ripensa alle strade che ha percorso, alle persone con cui ha parlato, al cibo che ha assaggiato per la prima volta. Oggi qui, domani lontana. “Can you imagine being there one day and wherever in the world tomorrow. Beautiful”. Ma per lei, il viaggio non è sinonimo di vacanza. Lei vuole essere presente a se stessa e nel mondo, non prendersi una pausa dalla sua vita e partire per luoghi lontani. “I am not on vacation. I’m just living my life”. Quando le nostre strade si sono incrociate per qualche ora, lei stava organizzando l’itinerario che l’avrebbe condotta in Cile, dalla sua famiglia.

Non vede i suoi da anni e l’idea di poter fare colazione tutti insieme e di lasciarsi coccolare un po’, la emoziona molto. È lo stesso pensiero che faccio io, ogni volta che torno a Napoli. Me la voglio godere, con la consapevolezza che non è l’unica casa che ho. Possiamo sentirci a casa ovunque, ma è raro che accada. Sicuramente, Lubiana è stata e rimarrà sempre casa mia. La sera di quell’unico giorno trascorso in compagnia di Gabriela, decidiamo di superare insieme la pigrizia – altra caratteristica che ci accomuna – e scendiamo al bar dell’ostello. Chiediamo una birra, non la hanno (dove andremo a finire?!). Ci propongono un gin tonic come alternativa, lo prendiamo senza troppo indugio.

Brindiamo alla scoperta dell’indipendenza, alla libertà dei “solo trip” e alle donne che vogliono una vita diversa da quella che ci hanno detto di vivere. Brindiamo a chi scrive e a chi legge, a chi si lascia affascinare dalla novità. Suona la sveglia, sono le 23.30. I vestiti nell’asciugatrice dovrebbero essere pronti per tornare a riempire il mio zaino vuoto. Il giorno dopo, sarebbe iniziata una nuova avventura.


 

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