Un inciampo nella Memoria

Elena Leotta

La Giornata della Memoria esiste perché c’è qualcosa da ricordare. La Shoah è lo sterminio sistematico del popolo ebraico messo in atto dai Nazisti del Terzo Reich tra il 1939 e il 1945, con l’obiettivo di creare un mondo più puro. Questo avvenimento storico sembra appartenere a un periodo molto lontano nel tempo, ma sono passati solo 79 anni da quelle atrocità. E ancora più recente è l’istituzione del Giorno della Memoria e quindi la presa di responsabilità da parte dello Stato italiano, risalente al 20 luglio del 2000.

La data scelta per la commemorazione non è casuale, perché il 27 gennaio 1945 venne liberata Auschwitz. Molti prigionieri, però, rimasero tali e per loro iniziò un nuovo calvario verso la Germania dell’Ovest, la “Marcia della Morte”. Tra loro, c’era anche Liliana Segre, oggi senatrice a vita. Nonostante la scarsità di energie e le difficoltà fisiche, Segre ricorda sempre nei suoi racconti che nessuno poteva permettersi il lusso di fermarsi  o di cadere perché al minimo tentennamento le guardie erano pronte ad ucciderli. 

La deportazione nei campi di concentramento e lo sterminio erano precedute da violenze psicologiche, legittimate dall’emanazione delle delle Leggi Razziali nel 1938. Da quel momento, gli ebrei furono privati di qualsiasi diritto e libertà: non potevano sposarsi con Italiani, non potevano lavorare nei settori pubblici e furono obbligati a chiudere le loro attività. Queste leggi rovesciarono anche i principi naturali della vita dei bambini, come la libertà di muoversi e conoscere. Furono espulsi dalla scuola e da tutti gli spazi pubblici; vennero allontanati dai coetanei; venne negato loro il piacere di gustare un gelato, come racconta Fulvio Janovitz. Ogni pomeriggio d’estate era abituato a fare merenda con un buon gelato, ma un giorno quando tese la moneta alla signora della gelateria, questa indicandogli il cartello nuovo di zecca appeso dietro il banco, glielo negò. Nel cartello, c’era scritto “In questo esercizio è vietato l’ingresso ai cani e agli ebrei”.

Anche all’interno dei campi nessuno mostrò indulgenza nei confronti dei bambini, erano considerati “inutili bocche da sfamare” e infatti venivano nutriti poco, separati dalle loro famiglie, obbligati ai lavori forzati, e alcuni furono meschinamente ingannati, tra loro, c’era Sergio De Simone. Aveva appena otto anni quando gli venne posta una domanda che segnò il suo destino. “ Chi vuole vedere la mamma?”, chiese un medico ai bambini che dormivano in una baracca del campo. Sergio fece un passo avanti, e dopo poco, fu spedito nel campo di concentramento di Neuengamme, dove venne sottoposto a terrificanti sperimentazioni mediche. In seguito, a pochi giorni dalla Liberazione, Sergio venne barbaramente ucciso nei sotterranei della scuola amburghese di Bullenhuser Damm.

È bene ricordare che, la furia nazista non colpì solo gli ebrei ma anche omosessuali, oppositori politici, persone affette da malattie e la popolazione rom. Il loro destino, per molti aspetti, fu molto simile a quello della popolazione ebraica. Durante il regime Nazista, le autorità tedesche sottoposero le persone Rom all’internamento, al lavoro forzato, destinandole, infine, allo sterminio. 

Questo, e molto altro ancora, fu la Shoah. Il dolore che ha causato è immenso e inenarrabile, e un giorno dedicato alla Memoria è fondamentale ma non sufficiente.È importante che ci sia un giorno dedicato alla memoria, ma a parer mio non basta. E’ essenziale che quanto successo sia raccontato dalle voci di chi ha vissuto quel dolore e dalle persone che sono eredi di quelle voci. E’ necessario che si educhi al rispetto dei diritti umani, che si racconti il passato affinché non si ripeta più. Ed è necessario che se ne faccia una causa di vita personale affinché si possa imparare da ciò e non ripetere gli stessi errori e affinché si possa far ricredere chi, ancora oggi, nel 2023, mette in dubbio la veridicità dei fatti. Sarebbe bello poter dire che tutto quel dolore non è mai accaduto, ma purtroppo non è così. Purtroppo è tutto vero e non può essere ignorato, né tantomeno dimenticato. 

La città di Torino, come molte altre città italiane, ospita l’installazione delle Pietre d’Inciampo, create dall’artista Gunter Demnig proprio per contrastare l’oblio e rinnovare quotidianamente la Memoria sulla tragedia delle deportazioni naziste, avvenute durante la Seconda guerra mondiale. All’apparenza, sembrano dei sampietrini coperti da una lamina di ottone, poste davanti alle abitazioni delle vittime delle persecuzioni. Sulla loro superficie è inciso a mano il nome, il cognome, la data di nascita, il luogo delle deportazioni e la data di morte.

Quest’anno, è stata installata a Trieste la prima Pietra d’Inciampo dedicata a un cittadino rom, Romano Held. Era nato a San Pier d’Isonzo, il 21 gennaio 1927, da Alberto Held, un sinto italiano, e Maria Hudorovic, una romnì istriana. La sua famiglia ha vissuto nella zona di Trieste fino agli anni ‘40 quando, per sfuggire alla persecuzione nazista, sono fuggiti a Fagagna, vicino Udine. Il 1 maggio 1944, Romano fu arrestato e deportato a Dachau, all’età di 17 anni. 69525. Questo era il numero di matricola con cui è stato identificato fino all’aprile del 1945, quando fu liberato. Tornato a Trieste, Romano ha ricominciato a suonare nelle piazze della città, ma le sue condizioni di salute peggioravano di giorno in giorno. Morì a Trieste nel 1948, a soli 21 anni.

La Pietra d’Inciampo che porta il suo nome è stata posata nel luogo in cui suonava, in piazza della Libertà, ed è il risultato di un percorso importante – curato dall’UCRI, Unione delle Comunità Romanès in Italia – di riconoscimento della storia, dell’identità e dell’orgoglio rom.

Il Centro Studi Sereno Regis è felice di aver ospitato ieri sera lo spettacolo “Coming out etnico: orgogliosi di essere Rom e Sinti”, scritto e diretto da Ivana Nikolic, artista rom e attivista per i diritti umani. Rinnoviamo il nostro sostegno alla comunità Rom e a tutte le comunità oppresse. Sam Barikane Roma! Proud to be Roma!


 

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