L’Occidente adesso sta militarizzandosi a morte per la seconda volta

Jan Oberg

Possano altri imparare per evitare quel destino

La prima Guerra Fredda si è svolta fra l’Est e l’Occidente occidentale [sic] e l’Est l’ha persa con la disfatta dell’URSS e del Patto di Varsavia; entrambi costruiti – più o meno fedelmente – sul pensiero meccanico occidentale, l’uno su Marx e altri filosofi social/comunisti, l’altra torcendo il filosofo morale Adam Smith in un profeta del mercato d’utilità individualista come mano divina, e accoppiandolo con vari tipi di pensiero sulla democrazia parlamentare liberale.

Il sistema sovietico ed est-europeo era giunto alla fine della propria storia, ma che dire del suo gemello occidentale, il sistema USA-UE? Che non era solo sopravvissuto o aveva “vinto”, ma aveva anche costretto l’URSS a spendere una proporzione insostenibile delle proprie risorse nell’apparato militare.   E adesso il Secondo Occidente è destinato a fare lo stesso.

La tesi che sostengo è che l’Occidente – il sistema basato su USA-UE, per non infiorarla – sta ora cadendo nella stessa trappola fatale che lo ha condotto al declino e alla prossima caduta civile e culturale. Accade per il suo stolto pensiero di confronto a muso duro, drogato dalle armi, la sua arroganza e relative mire di dominio a pieno spettro, del tutto fuori fase con il mondo reale in emersione. L’Occidente non è minacciato ina alcun modo vitale da chicchessia, è tutta una sua proiezione psico-politica, una paranoia, indicativa di un profondo, forse inconscio, destino irrazionale manifesto [allusivo al Destino Manifesto, base ideologica carsica USA da due secoli – ndt].

Essere il numero Uno in un sistema è pericoloso sempre, senza eccezione. Si viene ossessionati dall’insegnare e padroneggiare, evitando d’imparare ed essere umili di fronte ai conseguimenti altrui, fidandosi del pensiero di gruppo – che non può aver tutto torto – e finendo per strafare oltre la sfera in cui si può ancora pensare d’avere un vantaggio comparativo: cioè il militarismo e la programmazione di guerre sempre crescenti (benché le guerre si siano perse). Una mentalità permanente da guerrieri accoppiata all’attuazione crescente di un’economia bellica. Il brillante studioso Michael Klare intitolò il suo libro del 1972 Guerra senza fine. Io da decenni chiamo tutto ciò CMIMA – il Complesso Militar-Industrial-Mediatico-Accademico – che conduce a un militarismo senza fine.

Ma il militarismo comporta ben più che le armi, che insieme alla guerra sono solo sintomi di conflitti nel profondo e di un malessere di civiltà a 360°. che è qualcosa di cui i militaristi, i media e la politica, come peraltro nello stesso movimento pacifista non si sono mai davvero resi conto. E da un punto di vista pacificatore, ha tanto effetto quanto un medico che scambi i sintomi per le cause.

Nel 1978, sotto la guida di Johan Galtung, allora presidente del dipartimento di Ricerche su conflitti e Pace dell’Università di Oslo, pubblicai un libretto theoretico con il titolone ”Il nuovo ordine militare internazionale: la vera minaccia alla sicurezza umana. Saggio su armamento globale, militarismo strutturale e sicurezza alternativa”. (Da digitalizzare fra breve. si veda anche di Fischer, Nolte e Oberg, Vincere la pace: strategie ed etica per un mondo denuclearizzato, 1989).

Passavo in rassegna virtualmente tutte le teorie esistenti sul militarismo da Alfred Vagts in avanti e decisi di definire il militarismo in quattro componenti:

  • Isomorfismo crescente fra le sfere civile e militare della società, che si tratti d’integrazione simmetrica o meno. La sfera civile è sempre più influenzata da quella militare – che si può impiegare per trattare profughi, diritti umani, cambiamento di altri governi perché ci siano più simili, etc – e la sfera militare adotta sempre più tecniche civili nella gestione, comunicazione e nel modo di argomentare la propria politica d’interesse, tra l’altro.
  • Monopolio radicale dei militari – ispirato dal concetto di ed by Ivan Illich di monopolio radicale in cui le élite (qui quelle del CMIMA) privano la gente d’iniziativa e di autentica sicurezza offrendo i propri ‘servizi’ professionali, utile di fatto a sé piuttosto che alla cittadinanza.
  • Vulnerabilità sociale di tutti gli altri settori rispetto a quelli difendibili dai militari – un esempio attuale: la pandemia Covid – non c’era difesa né sicurezza quando accadde poiché la sicurezza è sostanzialmente definita da ciò che si può ottenere con mezzi militari – ciò che non vale per clima, salute, problemi sociali e sfide culturali.
  • Manifesta insicurezza come risultato di tutto ciò, del pensare basandosi sulla deterrenza militare nazionale anziché sul civile individuale-globale, orientato alla pace e basato sulla sicurezza comune; o magari una difesa difensiva civil-militare in cui le due componenti non siano mai mischiate ma separate nel tempo e nello spazio.
    E dove porta l’insicurezza percepita? A invocare e accettare sempre più armamenti, ovviamente sulla base della produzione permanente di ‘nemici’ più o meno  inventati. In breve, il perfetto moto perpetuo che sprofonda sempre più la società nella dipendenza inarrestabile, nel declino sanitario e autodistruzione finale.

Il militarismo contemporaneo è fenomeno sociale piuttosto sofisticato, multidimensionale e multi-livello su cui nessuno virtualmente fa ricerca. Remoto è il tempo in cui si definiva per un uso eccessivo di armi, di un codice d’onore, duelli, marce, uniformi e parate sulle piazze centrali delle capitali.   Forse la miglior metafora odierna sarebbe un cancro con metastasi nel corpo sociale, non facili da scoprire con occhi innocenti, non allenati?

Così anormali mi paiono le ramificazioni regionali e globali di quanto si associa al termine ”Ucraina” – di fatto la guerra NATO-Russia dal 2022 – che bisogna parlarne in modi affatto diversi da quelli di quando scoppiò.

Spariti da virtualmente tutti i decisori e dalla vasta maggioranza di cittadini occidentali sembrano perlopiù le caratteristiche di cui andavamo fieri nella cosiddetta cultura occidentale: un ascolto equo di tutti i contendenti, autocritica, analisi/diagnosi, valutazione degli impatti, razionalità, diritti umani (per esempio verso gli innocenti cittadini russi cui s’infligge un castigo collettivo), copertura mediatica equilibrata con interpretazioni in concorrenza che suscitino dibattiti, prudenza politica, l’ antimilitarismo dei partiti politici di sinistra delle socialdemocrazie, la normale decenza e la condanna della menzogna pubblica e politica.

Inoltre, assistiamo a una costruzione confusionaria di narrazioni dimostrabilmente false, di politica emozionalista, mancanza di visione e previsione delle conseguenze delle proprie azioni addirittura a un orizzonte di un paio di settimane; di politica di panni e bandiere giallo-blu e altri simboli surrogato di qualunque sostanza, media mainstream/maelstrøm pro-bellici e pro-armamenti contro ogni criterio di servizio pubblico – e si potrebbe continuare.

C’è voluto circa un anno solo per distruggere ampie parti del modo di pensare dell’Occidente occidentale [sic] in essenza. 85% della popolazione mondiale vive in paesi che non sostengono le politiche dell’Occidente, sempre più isolato ma che crede ancora di parlare per la ‘comunità internazionale’.

Tragicamente, oltre le parole c’è che l’Occidente odierno vive di odio e guerra come principale, se non il solo, collante sociopolitico. (Sì, può frammentarsi quando la gente abbia sofferto abbastanza economicamente e comincia a capire quanto sia stata turlupinata dai propri media e politici). Altri molto più importanti temi per l’Occidente stesso e l’umanità vengono cancellati per mobilitare le risorse richieste dalla società militarista, dallo stato guarnigione. Nessun leader o governo agisce in base a una visione della buona società, del futuro desiderabile – invece è tutto un continuo cavarsela alla meno peggio e un fingere militarista.

C’è molto altro da dire. Io condivido solo le mie preoccupazioni profonde e i pensieri che mi abbrancano su come forse capire i tempi in cui viviamo. Al momento sono grato a David Loy, pensatore buddhista e membro della Fondazione per la Ricerca su Pace e Futuro, che ha suggerito che nella nostra cultura la gente sia preda di qualche specie di profonda sensazione di vuoto, di mancanza di senso e di comprensione – e in tale situazione scelga il militarismo come nuova religione secolarizzata – il reggersi insieme per almeno qualcosa anziché il nulla.

Quando ascolto i leader occidentali rifiutare ogni soluzione negoziata e diplomazia e affermare che la guerra è la via per la pace, credo che non lo si possa capire intellettualmente-analiticamente ma solo come credenza. E così, che la NATO sia la nuova Chiesa e i media, i politici, i ricercatori e i cittadini che credono nel militarismo ad ogni costo anche nostro costituiscano la congregazione con il paese di Dio come salvatore dalla loro parte nella lotta per liberarsi finalmente dell’altro – cattivo – fratello occidentale mettendo così insieme la forza immaginata/distopica per affrontare la Cina ed altro non-Occidente.

Non sono un credente. La mia analisi e intuizione mi portano a credere che l’Ucraina sia la Waterloo della religione militarista e voglia dire la fine del mondo dominato dall’Occidente. Se sopravviviamo alla sconfitta dell’Impero globale USA e per concomitanza della NATO, diventa pensabile, desiderabile e possibile un nuovo mondo molto più equilibrato, multipolare, cooperativo e pacifico. Non si può escludere che il 2023 mostri per dove si va.


EDITORIAL, 23 Jan 2023 | #780 | Jan Oberg, Ph.D. – TRANSCEND Media Service

Traduzione di Miki Lanza per il Centro Studi Sereno Regis


 

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